L’azienda passa alle vie di fatto dopo quanto annunciato la scorsa estate. Ma le colpe aziendali non possono ricadere sui lavoratori. 
Stato di agitazione in tutti gli stabilimenti e il 7 intera giornata di sciopero proclamata da Uil e Cgil (con la Cisl che dopo aver detto sì si sfila in serata).
 La vertenza Natuzzi rischia un nuovo cortocircuito. La tensione nell’aria da giorni nei siti dell’azienda, le assemblee dei sindacati con i lavoratori nelle ultime ore, non lasciavano presagire nulla di buono, visto anche quanto comunicato dall’azienda già durante l’estate. A far da detonatore, una nota ufficiale dell’azienda inviata ieri ai ministeri del Lavoro e dello Sviluppo economico, alle Regioni di Puglia e Basilicata, ai sindacati generali e di categoria delle due regioni, oltre che delle province in cui si trovano i siti produttivi della Natuzzi e per conoscenza alla sezioni di Confindustria di Bari, Taranto e Matera.
Motivo della missiva, dal titolo “procedura di licenziamento collettivo ex art. 4 e 24 Legge
223/1991
del 26 luglio 2016“, l’annuncio da parte dell’azienda di essere impossibilitata a riassorbire, anche solo temporaneamente, all’interno del ciclo produttivo i 154 lavoratori su un totale di 173, che ha ottenuto da parte del tribunale del Lavoro di Bari prima e dalla Cassazione poi, il reintegro in servizio in azienda a causa dell’accertata illegittimità del licenziamento collettivo che l’azienda operò il 13 ottobre del 2016 nei confronti di 330 lavoratori (di questi 140 accettarono l’incentivo all’esodo, altri 40 entrarono a far parte della newco nello stabilimento di Ginosa che non è ancora partita, mentre i restanti 175 rifiutarono l’ingresso nella newco e decisero di imboccare la via dei ricorsi). Dunque, dovendo procedere al reintegro forzato dei lavoratori di cui sopra, dovranno esserne licenziati altrettanti, attraverso l’applicazione dell’art.17 della Legge 223/1991. Che prevede, secondo le leggi attualmente vigenti in Italia, la possibilità dell’impresa di procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro di un numero di lavoratori pari a quello dei dipendenti reintegrati: per il gruppo  Nazutti questa “è l’unica misura che l’azienda è nelle condizioni di assumere per ottemperare alle sentenze del Giudice e non compromettere la continuità dell’impresa“.
L’azienda poi, nel corso della serata di oggi, ha tenuto a precisare come questi non siano ‘nuovi licenziamenti’, perché rientreranno “nel perimetro dei 1.918 collaboratori concordato con le Organizzazioni Sindacali negli Accordi siglati il 3 marzo e il 10 ottobre 2015“. E che la comunicazione odierna rientra in una “delle misure illustrate con assoluta trasparenza dal Gruppo nel corso della Cabina di Regia tenutasi al Ministero dello Sviluppo Economico lo scorso 26 giugno, necessarie alla luce delle ordinanze di reintegra emesse del giudice del lavoro presso il Tribunale di Bari (attualmente 154 reintegrati su 173). Natuzzi è stata sempre chiara con le Organizzazioni Sindacali e le Istituzioni circa l’insostenibilità economica e industriale di inserire a tempo pieno altri 173 lavoratori – già in cassa integrazione a zero ore da molti anni – all’interno del proprio ciclo produttivo” si legge ancora nella nota.
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Il problema però, è ben più complesso. La tesi dell’azienda, da mesi, è la seguente: dovendo riassorbire 173 lavoratori, sono costretta a sospendere il piano industriale presentato nel novembre del 2016, che prevedeva nuovi investimenti e la riapertura del sito di Ginosa, che può impiegare sino a 215 unità. Quello che però l’azienda volutamente non dice è che quel reintegro, non è un torto o un sopruso che si fa al gruppo Natuzzi, ma un diritto legittimo dei lavoratori, che hanno avuto ragione sia nel primo che nel secondo grado di giudizio, vincendo le loro cause presso il tribunale del Lavoro di Bari le cui sentenze sono state poi confermate in via definitiva dalla Cassazione. Dunque, se l’azienda ha illegittimamente licenziato centinaia di lavoratori, per cui ora è obbligata al reintegro in servizio, non può certamente rispettare le sentenze dei giudici facendo ricadere su altre centinaia di lavoratori la mannaia del licenziamento.
(leggi anche http://www.corriereditaranto.it/2017/06/27/2-natuzzi-torna-la-paura-lazienda-minaccia-licenziamenti-ferma-gli-investimenti-sindacati-agitazione/)
Del resto, il reintegro in servizio di questi lavoratori, comporterà un esborso economico non indifferente per il gruppo Natuzzi: almeno 13,5 milioni di euro che l’azienda già quest’estate dichiarò di aver messo da parte, in ragione dell’impatto economico/finanziario derivante anche dagli altri contenziosi inerenti le differenze retributive per mancata rotazione CIG nel corso degli ultimi 10 anni, visto che parliamo di lavoratori che da anni sono collocati o in solidarietà oppure vengono occupati seguendo orari ridotti. Ed anche per questo che l’azienda ha bloccato il piano investimenti per un totale di 38 milioni di euro: 27,7 per la ristrutturazione delle fabbriche e altri 10 per l’acquisto di nuovi materiali. Secondo il contratto di programma, Natuzzi avrebbe dovuto ricevere 11 milioni di contributo a fondo perduto e altri 16 con finanziamento agevolato.
La strada da seguire, dunque, è ben diversa. Perché in realtà, l’unico modo per risolvere l’impasse in cui si trova l’azienda, è investire su tutti i siti del gruppo realizzando il piano industriale presentato lo scorso anno, riaprire il sito di Ginosa che potrebbe riassorbire senza problemi i 200 lavoratori che da mesi ‘ballano’ tra il licenziamento e il reintegro, e rilanciare l’azienda sul mercato. Dal quale inevitabilmente l’azienda rischia di essere tagliata fuori nei prossimi anni, in assenza di investimenti. Il che, poi, è vero in parte, visto che da alcuni mesi il gruppo Natuzzi, secondo fonti ben informate, ha riportato in Romania alcune produzioni. Inoltre, è bene sottolinearlo, i lavoratori già reintegrati non stanno lavorando: restano a casa pur venendo retribuiti dall’azienda.
La nota aziendale ha inevitabilmente riportato grande tensione nei lavoratori tra gli stabilimenti del gruppo. Con i sindacati che hanno immediatamente proclamato lo stato di agitazione in tutti i siti produttivi (Laterza, Santeramo Jesce 1, Matera Jesce 2 e Matera La Martella), indicendo una giornata di sciopero per il prossimo 7 dicembre. Iniziativa dalla quale però, nel corso della giornata odierna, si è sfilata la Filca Cisl, mentre Feneal Uil e Fillea Cgil hanno confermato agitazione e sciopero. E proprio il segretario generale della Fillea Cgil di Taranto, Francesco Bardinella, ribadisce le parole chiave della vertenza: “Il rilancio industriale passa dalla applicazione degli accordi sottoscritti un anno fa dal gruppo Natuzzi. Ovvero investire, realizzare il piano industriale, riaprire il sito di Ginosa. Lo spazio per fare tutto questo c’è, non farlo è una scelta deliberata del gruppo Natuzzi. L’azienda non può far ricadere sui lavoratori le sentenze, peraltro giuste, dei tribunali che hanno stabilito il reintegro di coloro che sono stati ingiustamente licenziati, dimostrando come l’azienda avesse torto su tutta la linea. Noi siamo pronti a discutere con l’azienda soltanto se quest’ultima rispetta i patti, altrimenti la nostra mobilitazione e quella dei lavoratori non si fermerà. Chiediamo anche che le Istituzioni intervengano per evitare che a pagare siano ancora una volta i lavoratori“.