(da Sole 24 ore del 3.12.13) - "...Bondi
sta attuando un riposizionamento strategico. La cultura industriale e
manageriale dei Riva è sempre stata fondata sulla produzione di
massa e su un controllo occhiuto dei costi, un dramma in acciaieria
se si perdeva un chilo (un chilo!) di ghisa. Una cultura da
price-maker. Da monopolista, in grado di riempire i magazzini e di
sopportarne il peso sui bilanci.
Ora, invece, all'Ilva provano a lavorare sulla qualità del prodotto. Sulla molteplicità dell'offerta. Andando a cercare i clienti, uno a uno. Anche se, questo, non è semplice. Perché il caos innescatosi nell'agosto del 2012 (e i comportamenti dei Riva, uno dei quali è ancora latitante in Inghilterra) ha contribuito a delineare una immagine di scarsa affidabilità dell'azienda, difficile da sradicare anche nell'attuale gestione. In particolare, l'obiettivo potenziale di vendita di 700mila tonnellate al mese non è mai stato raggiunto. La nuova posizione di competitor che insegue la concorrenza e cerca i clienti è resa fragile dalla neutralità ostile della pubblica amministrazione, dallo sbandamento dell'assetto proprietario e dalle ambiguità dei sindacati che, dopo anni di collusione con i metodi neo-coloniali dei Riva, anziché contribuire alla ristrutturazione dell'Ilva scelgono una vigilanza questurina. Il tutto con la spada di Damocle della magistratura...".
Ora, invece, all'Ilva provano a lavorare sulla qualità del prodotto. Sulla molteplicità dell'offerta. Andando a cercare i clienti, uno a uno. Anche se, questo, non è semplice. Perché il caos innescatosi nell'agosto del 2012 (e i comportamenti dei Riva, uno dei quali è ancora latitante in Inghilterra) ha contribuito a delineare una immagine di scarsa affidabilità dell'azienda, difficile da sradicare anche nell'attuale gestione. In particolare, l'obiettivo potenziale di vendita di 700mila tonnellate al mese non è mai stato raggiunto. La nuova posizione di competitor che insegue la concorrenza e cerca i clienti è resa fragile dalla neutralità ostile della pubblica amministrazione, dallo sbandamento dell'assetto proprietario e dalle ambiguità dei sindacati che, dopo anni di collusione con i metodi neo-coloniali dei Riva, anziché contribuire alla ristrutturazione dell'Ilva scelgono una vigilanza questurina. Il tutto con la spada di Damocle della magistratura...".
Questa sembrerebbe la filosofia del piano industriale attuale dell'Ilva. Che porta ad un ridimensionamento rilevante della produzione, a una produzione legata al "cliente" in una difficoltà generale al'interno della concorrenza del mercato mondiale.
Si dice che questo piano punta sulla qualità piuttosto che sulla quantità come prima, ma è una "qualità" che dovendo seguire i tempi del "cliente" comporta per gli operai non una riduzione del carico di lavoro, ma una sua intensificazione nei periodi di acquisizione di commesse, legata a un'incertezza/oscillazione generale rispetto al mantenimento e stabilità del posto di lavoro e del salario.
In tutto questo gli operai sono solo degli "strumenti" che devono servire ed essere a disposizione della strategia dell'Ilva. Una congrua parte di loro sarà superflua e verrà tagliata per il ridimensionamento oggettivo della produzione; l'altra parte che dovrebbe restare verrà supersfruttata nei periodi "buoni" per l'Ilva, con tutti i problemi conseguenti della sicurezza (che anche con una messa a norma degli impianti "perfetta" -cosa che non accadrà sicuramente - rimarrebbero, perchè una gran parte degli infortuni, delle morti rimarrà come ora legata all'organizzazione, ritmi di lavoro, lavoro in ogni condizione, taglio dei costi "superflui" -e i principali sono quelli legati a garantire la sicurezza - con capi "più realisti del re" esecutori delle logiche aziendali, ecc.), e ridimensionata - in termini di lavoro e salario - nei periodi di magra.
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