Il documentario, accompagnato dalle musiche tradizionali della città e quasi tutto in dialetto tarantino per mantenere la forza e la rabbia degli interventi, ma sottotitolato in inglese per tentare di far conoscere il dramma della città anche fuori dall’Italia,...
La polvere è quella che per più di 50 anni è fuoriuscita dai camini dell’Ilva e che è entrata nei polmoni di operai e abitanti del Rione Tamburi, quartiere adiacente al polo industriale. La stessa polvere che ha contaminato la mitilicoltura e l’agricoltura, settori sui quali l’economia tarantina si è sempre fondata. Come racconta uno dei tarantini nel reportage, "lo stabilimento siderurgico è sorto proprio alle spalle del cimitero, forse già prevedevano di fare 11.850 morti".
Nel documentario si parla anche del rapporto tra Girolamo Archinà, direttore della relazioni istituzionali dell’Ilva, e il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, anche alla luce della pubblicazione dell’intercettazione di una telefonata tra i due risalente al 2010, che tante polemiche ha scatenato. Taranto non è però solo Ilva. C'è Taranto Vecchia, con le rovine della Magna Grecia, e il borgo marinaro abbandonato a se stesso, vittima di un’industrializzazione forzata. Ci sono le discariche, ben cinque, di rifiuti speciali, tra le più grandi d’Europa, oltre agli inceneritori. "Puoi fermare chiunque qui in strada e chiedere se ha avuto un morto di tumore in famiglia - dice un giovane ripreso nel documentario -: tutti ti diranno di sì".
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