Solo coloro in possesso di tessera giornalistica e dunque regolarmente iscritti all’Albo potranno essere presenti in occasione delle sedute del Consiglio comunale. E per i giornalisti una serie di restrizioni palesemente capziose. Il diktat proviene proprio dal più elevato presidio cittadino. Una posizione sconcertante che pare voler esautorare i testimoni di verità talvolta scomode. Ci chiediamo cosa pensino le opposizioni di questo modus operandi?
All’indomani del grave episodio che ha visto coinvolto il nostro operatore Luciano Manna protagonista della esternazione di un potere che sa di abuso ora il Comune di Taranto con un affondo degno di quei paesi da egida totalitaria tira fuori un asso dalla manica. Quest’oggi infatti da Palazzo di Città hanno comunicato che solo coloro in possesso di tessera giornalistica e dunque regolarmente iscritti all’Albo potranno essere presenti in occasione delle sedute del Consiglio comunale. Oltre a tutta una serie di restrizioni adottate anche nel numero di giornalisti che potranno assistere dopo previa autorizzazione della Presidenza del Consiglio. Motivo per cui anche agli stessi giornalisti potrebbe essere precluso l’accredito. Un tiro mancino dettato ci parrebbe quasi dall’ansia/obbligo di esautorare i “detrattori” rei di raccontare verità, talvolta scomode, e accordare più felicemente (o quasi) l’ingresso ai soli “addetti”. Fa senz’altro specie che a promuovere azioni di questo tipo non sia una giunta di destra ma un’amministrazione di sinistra che ama definirsi progressista.
Restiamo di certo sgomenti nel constatare fino a che punto la politica nel suo esercizio si pieghi alle logiche di chi ritiene che chiudere la porta alla democrazia, stropicciarla o peggio obnubilarla sia utile agli scopi. Vorremmo ricordare che secondo quanto indicato dalla normativa (art. 35 legge n. 69/1963) per iscriversi nell’elenco dei pubblicisti “è necessario aver svolto un’attività giornalistica continuativa e regolarmente retribuita, per almeno due anni”. Certamente risulterebbe difficile espletare tale attività se fosse precluso il tirocinio obbligatorio. Un gap arduo da superare in un caso come quello citato. Per chi già opera come giornalista la questione assume forma ancor più sostanziale nella sua gravità. In generale però basterebbe citare l’articolo 21 della Costituzione per comprendere che tali sono derive rispetto alle quali lo stesso Ordine dovrebbe intervenire.
Da qui risultano ancora più emblematiche (e karmiche ahimé) le parole pronunciate dal comandante dei Vigili urbani solo due giorni fa dall’aula consiliare e indirizzate al nostro collega: “Tu sei un giornalista particolare”. Il nodo gordiano si scoglie qui in quella sola espressione “particolare”.
Se è vero senza risultare pletorici che a Taranto le ragioni del diritto e dei valori di giustizia, imparzialità, onestà, equità (in un indice infinito) sembrano aver smarrito la strada maestra o peggio siano stati silenziati con un veleno inoculato da gestioni colonistiche e predatorie oramai sedimentate, è altrettanto vero che la pericolosa parabola tracciata deve trovare la sua estrema sintesi.
Quanto mai opportune le parole del maestro Camilleri in questi giorni provato dalla salute malferma quando scrive: “Questo è davvero un brutto passaggio nella storia italiana che temo non abbia paragoni con altri periodi. Un paese che torna indietro, come i gamberi. È come se avesse cominciato a procedere in senso inverso, smarrendo le importanti conquiste sociali che aveva realizzato in passato”. Certi diktat che puzzano di repressione, che hanno quel fetido odore di costrizione e bavaglio non ci piacciono.
Respingiamo con forza i tentativi di chi pretende di sventolare la bandiera delle prerogative personalistiche a danno di più elevati statuti, di valori massimi e condivisi per e dal comune bene. Ci rifiutiamo di soggiacere alle logiche di chi pensa ancora che Taranto sia terreno di conquista, un Far West nelle quali la legge del più forte la fa da padrona. Emancipiamoci dall’orrore di coloro che vogliono imbrigliare anche solo sottesamente, mestamente o persino efficacemente la libertà di documentare, testimoniare e fotografare ciò che accade attorno a noi. Ignorare tali strategie sarebbe la fine. Queste forme di emarginazione che adotta la politica delle “veline” esclusive non può trovare accoglimento, né spazio prolifico su cui germinare.
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