mercoledì 5 giugno 2019

ArcelorMittal Taranto - il nuovo padrone mette in cassa integrazione 1400 operai per 13 settimane

Solo lo Slai cobas per il sindacato di classe Taranto lo aveva preannunciato, analizzando correttamente la crisi - mentre Palombella e sindacati interni dicevano altro...

Sotto il volantino distribuito all'ArcelorMittal Taranto dallo Slai cobas per il sindacato di classe il 21 maggio scorso
Ex Ilva, ArcelorMittal mette 1.400 operai dell’acciaieria di Taranto in cassa integrazione per oltre 4 mesi


Nemmeno un anno dalla firma dell'intesa sindacale davanti al ministro dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio, i nuovi padroni dell'ex Ilva tornano sui loro passi e tagliano del 17% la forza lavoro che si erano impegnati a reintegrare nell'impianto pugliese, dove avevano riassorbito 8.200 dipendenti. Cala la richiesta del mercato, cala il numero di operai. ArcelorMittal ha deciso di spedire 1.400 dipendenti dello stabilimento di Taranto in cassa integrazione per 13 settimane. A nemmeno un anno dalla firma dell’intesa sindacale davanti al ministro dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio, i nuovi padroni dell’ex Ilva tornano sui loro passi e tagliano quindi di poco più del 17% la forza lavoro che si erano impegnati a reintegrare nell’impianto pugliese, dove avevano riassorbito 8.200 dipendenti. La decisione avrà effetto dai primi giorni di luglio e  comporterà la fermata di treno nastri 1, colata continua 5, e laminazione a freddo.
La causa – spiega l’azienda – è dovuta alle “critiche condizioni” del mercato che hanno spinto a rallentare la produzione nell’acciaieria jonica da 6 a 5 milioni di tonnellate. “È una decisione difficile – spiega l’amministratore delegato di ArcelorMittal Italia, Matthieu Jehl – ma le condizioni del mercato sono davvero critiche in tutta Europa. Ci tengo a ribadire che sono misure temporanee, l’acciaio è un mercato ciclico”.Il 6 maggio scorso ArcelorMittal aveva manifestato l’intenzione di tagliare temporaneamente la produzione di acciaio in Europa con una riduzione di 3 milioni di tonnellate annue. Nello specifico era stata annunciata la sospensione della produzione degli stabilimenti di Cracovia in Polonia, la riduzione nelle Asturie in Spagna e il blocco dell’aumento della produzione dell’ex Ilva di Taranto che ArcelorMittal Italia contava di portare a 6 milioni di tonnellate nel 2020.
“Grave, inopportuna e sbagliata” viene definita la decisione dal segretario generale della Uilm, Rocco Palombella. Le ripercussioni, tra l’altro, sostiene il leader dei metalmeccanici della Uil, “ci sono anche per gli altri stabilimenti ex Ilva d’Italia dove si utilizzeranno piano di smaltimento ferie per far fronte alla riduzione dei volumi produttivi”. Secondo Palombella, “non si era mai verificato prima che a pochi mesi dall’acquisizione un’azienda facesse ricorso alla cassa integrazione ordinaria

ArcelorMittal, attacca, “è un grande produttore di acciaio, visti gli oltre 90 milioni di tonnellate di produzione annue, pertanto chiediamo con fermezza che in Italia mantenga inalterati i livelli produttivi previsti dal piano industriale, come dall’accordo stipulato il 6 settembre 2018 al ministero dello Sviluppo economico”. La decisione, aggiunge annunciando che verrà chiesto il ritiro della cassa integrazione, “sarebbe un segnale sbagliato per i lavoratori di ArcelorMittal, ma soprattutto lancerebbe un messaggio di disperazione per quelli in Amministrazione Straordinaria che vedrebbero allungarsi ulteriormente i tempi di reintegro in azienda”. 

volantino Slai cobas     
LA SITUAZIONE DI ARCELORMITTAL NELLA CONTESA MONDIALE
E le conseguenze per gli operai

Come lo Slai cobas sc ha da sempre analizzato e cercato di informare e allertare gli operai, siamo di fronte da tempo ad una crisi mondiale della siderurgia che è una crisi di sovrapproduzione, non perchè si produce troppo acciaio per i bisogni delle popolazioni del mondo, che anzi, avrebbero un bisogno enormemente superiore dell’attuale produzione, quanto perché si produce per il profitto dei padroni e per il mercato mondiale in preda ad un’acuta guerra commerciale alimentata negli ultimi tempi dal protezionismo imperialista di Trump e dalla contesa con la Cina.
Era del tutto evidente che questo si sarebbe riversato in maniera diretta o indiretta sull’Europa dell’acciaio sia sulla concorrenza nel mercato europeo, sia sull’esportazione di acciaio da parte dei monopoli europei. In questo contesto l’Europa, attraversata per altro da contraddizioni interne acutissime, ha cercato di proteggere il suo mercato; ma di fatto ci riesce molto relativamente.
Secondo quanto dichiara la Federacciai si è sperato che i dazi americani riorientassero i flussi verso l’Europa, ma è stato un fenomeno assolutamente temporaneo. In realtà l’acciaio è una materia prima di un prodotto finito, vedi ad esempio le automobili, e quindi di fatto se c’è crisi nell’auto – e c’è crisi – la produzione dell’acciaio non si può espandere, alla faccia del protezionismo.
In questo quadro l’ArcelorMittal è entrata di fatto nell’occhio del ciclone, come lo Slai cobas con articoli, documenti, materiali diretti e volantini alla fabbrica, analizza da tempo e le cui informazioni sono un punto di riferimento reale dell’autonomia operaia nel pensiero, nella valutazione e nell’azione.
ArcelorMittal dipende molto dal settore auto e vive una gigantesca contraddizione. Da un lato è una multinazionale globale, primo produttore nel mercato mondiale dell’acciaio, e quindi ha un interesse in tanti mercati nel mondo, sia come produttore sia come venditore, dall’altro in Europa, sia con la denominazione sia con l’acquisizione dell’Ilva si dipinge come produttore interno e quindi interessato alle misure protezionistiche che l’Europa stabilisce per l’acciaio europeo. Per questo ora denuncia la debolezza del mercato europeo che secondo i dati subisce un calo nei primi tre mesi del 2019 del 2%, a fronte di un incremento mondiale del 4,5% il cui beneficiario principale è la Cina. Ma ArcelorMittal, che si lamenta dell’insufficiente protezione commerciale della UE e della concorrenza sleale dei paesi extra europei, dimentica che le concessioni ricevute nell’acquisizione dell’Ilva – dall’immunità parlamentare all’accordo sindacale che viola le leggi sul lavoro, ecc. - sono anch’esse favori che si identificano come concorrenza sleale per gli altri produttori dell’acciaio... Per Am, come per tutti i padroni, la “concorrenza sleale è sempre quella degli altri nei suoi confronti, mai la propria e su questo trovano l’accordo pieno dei sovranisti Salvini/Di Maio di turno, e dei sindacalisti neo corporativi e aziendalisti del gruppo, dalla Uilm/Fim di Taranto alla Fiom di Genova.

In questo contesto mondiale l’annuncio in questi giorni del taglio della produzione di 3 milioni di tonnellate in Europa è la logica conseguenza di tutto questo.
AM addebita la necessità di questo taglio all’aumento dei costi di energia, ma soprattutto “all’aumento senza precedenti delle importazioni dai paesi extra UE verso i mercati del sud Europa; e all’aumento dei costi dell’energie, su questo eloquentemente AM include gli effetti della normativa ambientale sulla CO2. Quindi, si vede chiaro come ogni normativa o miglioramenti ambientali da parte dei padroni dell’acciaio è visto come un aumento del costo che si traduce in un danno sul mercato e nei livelli di produzione.
Tutto questo conferma con chiarezza l’analisi e l’azione dello Slai cobas sc che senza rimuovere il sistema del capitale, la produzione per il profitto produce peggioramenti di sicurezza e ambiente - ma nel capitalismo questa è l’unica produzione possibile, in una certa misura senza alternative.
Ora ArcelorMittal, dimenticandosi di essere di proprietà indiana e di aver costruito il suo impero proprio contando sulla riduzione del costo del lavoro e dei costi di produzione in India come nei paesi del Terzo mondo dove ha insediato i suoi impianti, si traveste da potenza europea e rivendica che si sostenga anche fuori dell’Europa gli stessi costi della CO2 “affinchè non venga concesso un vantaggio sleale ai concorrenti extra europei”.

Ma come reagisce ArcelorMittal alla crisi. Secondo la ricetta di sempre, scaricandola su operai, su condizioni di lavoro, salari, occupazione, sicurezza e costi antinquinamento. Le prime vittime di tutto questo in Europa sono gli stabilimenti di Cracovia Polonia dove viene sospesa l’intera produzione e l’altra nelle Asturie Sin.
Ma chiaramente ora AM ha il suo più grande stabilimento a Taranto. Ed è qui che vengono al pettine i primi nodi. Da un lato diventa un illusione l’annuncio fatto da ArcelorMittal di raggiungere i 6 milioni di produzione nei primi 6 mesi di quest’anno – lo Slai cobas sc aveva denunciato questo annuncio di AM perchè voleva dire: far fare agli operai, alleggeriti di 2600 loro compagni di lavoro, più produzione; inoltre, i 6 milioni di produzione, senza che le pur tiepide misure di ambientalizzazione siano fatte, avrebbero un effetto doppiamente inquinante sulla città.
Ma ora gli annunci di riduzione reale della produzione non ci fanno certo contenti, perché questo significa che comunque gli effetti saranno rovesciati sui lavoratori - chiederanno la Cigs per gli operai AM.
L’altra cosa sono le fandonie dei collaboratori dei padroni, i sindacati firmatari dell’accordo del 6 settembre. Il sindacato maggioritario la Uil di Palombella proprio nei giorni scorsi si è autocelebrato con tanto di pranzo in fabbrica, annunciando come un trombone qualsiasi che ora avrebbe fatto la lotta per il manteni- mento dei volumi produttivi che avrebbe provocato, a suo dire, il rientro di una parte dei cassintegrati Ilva AS.

Mittal ha inserito nell’annuncio due altri argomenti, buoni solo per chi pende dalle sue labbra: governi, Istituzioni, sindacalisti, giornali “aiutati” con le sue inserzioni pubblicitarie. Primo, che anche in questo momento di crisi, “ambiente, salute e sicurezza restano le priorità e non si sarà impatto sugli investimenti previsti per il piano ambientale e industriale”. E’ chiaramente una favola! Basta guardare agli altri argomenti che usa. Dice ArcelorMittal che con lo slittamento dell’obiettivo dei 6 milioni non potrà avere quel ritorno dell’utile che aveva previsto già a giugno, dato che – sempre a suo dire – l’azienda continua a lavorare in questi mesi in perdita. Quindi, Mittal vuole dire che continuerà non solo a perdere ma ad aumentare i suoi livelli di perdita, mantenendo i cosiddetti “piani di investimento” annunciati?! E che, siamo di fronte a ‘babbo natale’! Secondo, Mittal dice: Ok, c’è la crisi buona occasione - questo lo diceva anche Riva - “Coglieremo questa opportunità per concentrarci sul miglioramento della qualità del servizio al cliente, così da essere più competitivi quando le condizioni del mercato cambieranno”. Per chi sa leggere vuol dire che i veri investimenti saranno su queste questioni, altro che piano ambientale. Circa i prezzi poi, e i loro effetti sui salari… lo vedremo successivamente.

21 maggio 2019
SLAI COBAS per il sindacato di classe
via L. Andronico 47 TA slaicobasta@gmail.com 3475301704
blog tarantocontro

Nessun commento:

Posta un commento