Stralci dal Corriere di Taranto di Gianmario Leone

Il decreto legge del 30 aprile 2019 n. 34 Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi“, più conosciuto come ‘Decreto Crescita‘, approvato venerdì scorso dalla Camera dopo che il Governo ha posto la fiducia, non ha visto tra le modifiche agli articoli una revisione del famoso art. 46. Riguardante una norma sull’ex Ilva, per ‘abolire’ la così detta ‘immunità penale’.
Ricordiamo che il decreto dovrà essere commutato in legge entro il prossimo 29 giugno.
Dunque, il testo non ha subito alcuna modifica rispetto a come è stato presentato e approvato dal Consiglio dei Ministri e pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 2 maggio (Serie Generale n.100 del 30-04-2019).
Sul caso, come tutto ciò che riguardi l’ex Ilva, è stato fatto un gran caos mediatico che ha di fatto, ancora una volta, cambiato la realtà dei fatti. Una bagarre alla quale non si è sottratto nessuno ed alla quale hanno partecipato ministri, deputati, senatori, consiglieri regionali e governatore della Puglia, sindacati, consiglieri comunali, associazioni ambientaliste, giornalisti nazionali e locali. Tra chi sostiene che la norma sia stata cancellata, chi ritiene che sia rimasta tale e quale, chi la ritiene indispensabile e chi la ritiene incostituzionale. Come al solito tutti si ergono a eccellenti conoscitori della giurisprudenza, del diritto penale, dell’economia pur non avendo quasi mai alcun titolo e alcuna competenza per esprimere giudizi sensati. Ma tant’è.
(leggi il nostro articolo https://www.corriereditaranto.it/2019/05/02/mittal-immunita-penale-resta-cambia-lapplicazione3/)
La norma è stata riscritta, non abolita
La vicenda invece, se si fosse detta la verità in tutte queste settimane, è stata sempre la stessa sin dalla sua origine così come abbiamo scritto sin dal primo momento lo scorso 2 maggio. Restando puntualmente inascoltati.
La norma sulla così detta ‘immunità penale’ (tra l’altro dicitura che non è mai apparsa in alcun decreto legge ma ideato nel corso degli anni) è stata semplicemente riscritta. Questo significa che
affermare che non esista più e sia stata abolita non corrisponde al vero, come invece afferma il vicepremier Di Maio e la stragrande maggioranza di esponenti politici del Movimento 5 Stelle. Soltanto il ministro per il Sud Barbara Lezzi, finalmente, quest’oggi ha detto come stanno le cose.(leggi l’articolo https://www.corriereditaranto.it/2019/06/25/ex-ilva-lezzi-immunita-diminuisce-progressivamente-non-siamo-ostili-a-mittal/)
Dunque, ricapitoliamo ancora una volta la vicenda sperando che sia chiara una volta e per tutte. Ricordiamo che la norma in questione fu introdotta anni addietro, con il decreto legge del 5 gennaio 2015, n. 1 “Disposizioni urgenti per l’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della citta’ e dell’area di Taranto”.
La norma fu inserita nel comma 6 dell’articolo 2 di quel decreto legge e testè affermava: “L’osservanza delle disposizioni contenute nel Piano Ambientale di cui al D.P.C.M. 14 marzo 2014, nei termini previsti dai commi 4 e 5 del presente articolo, equivale all’adozione ed efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione, previsti dall’articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, ai fini della valutazione delle condotte strettamente connesse all’attuazione dell’A.I.A. e delle altre norme a tutela dell’ambiente, della salute e dell’incolumita’ pubblica. Le condotte poste in essere in attuazione del Piano di cui al periodo precedente non possono dare luogo a responsabilita’ penale o amministrativa del commissario straordinario e dei soggetti da questo funzionalmente delegati, in quanto costituiscono adempimento delle migliori regole preventive in materia ambientale, di tutela della salute e dell’incolumita’ pubblica e di sicurezza sul lavoro“.
Cosa dunque è cambiato rispetto a quella norma? Le modifiche introdotte dall’articolo 46 del Decreto Crescita sono le seguenti:
a) al primo periodo, dopo la parola «Piano» e’ inserita la parola «Ambientale», le parole «nei termini previsti dai commi 4 e 5 del presente articolo» sono sostituite dalle parole «come  modificato e integrato con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 settembre 2017» e le parole «e  delle altre norme a tutela dell’ambiente,della salute e dell’incolumita’ pubblica» sono abrogate; 
b) al secondo periodo, dopo la parola «Piano» e’ inserita  la parola: «Ambientale», dopo le parole «periodo  precedente» sono inserite le parole: «nel rispetto dei termini e delle modalita’ ivi stabiliti,» e le parole«, di tutela della salute e dell’incolumita’ pubblica e di sicurezza sul lavoro» sono abrogate;  
c) il terzo periodo e’ sostituito dal seguente: «La disciplina di cui al periodo precedente si applica con riferimento alle condotte poste in essere fino al 6 settembre 2019». 
Di fatto dunque, la norma resta, seppur modificata. Come avevamo avuto modo di anticipare infatti, la norma viene circoscritta al Piano Ambientale e per questo sarà applicata impianto per impianto, ancorandosi ai tempi previsti dall’Aia per la messa a norma delle singole aree. Questo significa che mentre prima l’estensione riguardava l’attuazione del Piano Ambientale sino alla sua conclusione, adesso l’immunità scadrà ogni qual volta terminerà il termine previsto per l’attuazione di ogni singolo intervento. 
Il nuovo iter parità dal 7 settembre, come specificato nel decreto. Questo è il motivo per il quale il vicepremier Di Maio afferma che scadrà il 6 settembre. Ma a cadere non sarà l’intera norma, ma soltanto quella del 2015. 

Perchè fu introdotta la norma
Di fatto si riportano indietro le lancette del tempo al 2012. Bisognerebbe infatti ricordarsi che l’immunità andava a colpire quanto deciso nel lontano 2012 in tema di revisione dell’AIA del 2011. Ovvero che ogni qual volta nelle loro ispezioni trimestrali per verificare il regolare stato di attuazione degli interventi, i tecnici di ISPRA ed ARPA Puglia avessero registrato dei ritardi o delle inadempienze, quest’utime si sarebbero prima commutate in diffide da parte del ministero dell’Ambiente e poi in multe onerose nei confronti della società Ilva, qualora anche le diffide fossero cadute nel vuoto. Di fatto era questo l’aspetto che si andava a congelare con l’introduzione dell’immmunità penale, in quanto la mancata attuazione delle prescrizioni ambientali diventava un vero e proprio reato penale, proprio perché l’inquinamento prodotto dall’Ilva comportava il verificarsi di  episodi di malattie e morti nei lavoratori e nei cittadini...

...la Corte costituzionale, in occasione della sentenza n. 58 del 2018, si era espressa “criticamente nei riguardi del cosiddetto ‘decreto Ilva’ del 2015, che aveva consentito la prosecuzione dell’attività di impresa degli stabilimenti, in quanto di interesse strategico nazionale, nonostante il sequestro disposto dall’autorità giudiziaria per reati inerenti la sicurezza dei lavoratori, conseguentemente di chiarando illegittimi sia l’articolo 3 del decreto-legge 4 luglio 2015, n. 92, sia l’articolo 1, comma 2, della legge 6 agosto 2015, n. 132, e 21-octies del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83“. Non veniva però cassato dalla Corte il comma 6 dell’articolo 2, ovvero proprio quello sulla norma dell’immunità penale

Le nostre considerazioni
Chi ha seguito l’intera vicenda Ilva legata alla cessione in affitto con obbligo di acquisto del gruppo alla multinazionale ArcelorMittal, sa perfettamente che tipo di interlocuzione è avvenuta tra tutte le parti in causa: governo, MiSE, sindacati e azienda. E se da un lato è vero come afferma il vicepremier Di Maio che ‘l’immunità penale’ non sia stata mai inserita nel contratto stipulato lo scorso anno, è altrettanto vero che in tutte le riunioni svolte sino al 6 settembre scorso, la multinazionale ha sempre dichiarato come imprescindibile la norma del decreto 2015. E in nessuna circostanza dal governo e dal MiSE è arrivato l’avvertimento sul fatto che nel prossimo futuro quella norma sarebbe stata cambiata. Questo lo sanno molto bene lo stesso Di Maio, i sindacati e la stessa multinazionale.
Affermare quindi mesi dopo, come fa il vicepremier e molti esponenti del Movimento 5 Stelle, che la legge va rispettata, suona quanto meno strano. Perchè se da sempre Di Maio e i suoi ministri avessero ritenuto incostituzionale quella norma, avrebbero dovuto sin da subito dirlo ad ArcelorMittal. E avvertirla che nei mesi a venire si sarebbe intervenuti per via legislativa per cambiarla. Sostenere che la multinazionale a febbraio sia stata avvisata dal MiSE non ha alcuna valenza. Anche perché a supporto di questa tesi vengono portati la condanna della CEDU dello scorso 24 gennaio e la richiesta di chiarimento del gip di Taranto Ruberto dello scorso 8 febbraio sulla norma in questione, che riguardano comunque eventi antecedenti l’arrivo della multinazionale dell’acciaio. Dunque si cambia una norma solo in virtù di due eventi che con la cessione del gruppo non c’entrano assolutamente nulla.