Dal Corriere di Taranto
In Consiglio si presentano i dirigenti di ASL, ARPA, un delegato del Commissario per le Bonifiche Vera Corbelli, il Presidente della Regione Emiliano. Nessun rappresentante, invece, per l’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), ente governativo la cui assenza converrà tenere a mente, perché tornerà più avanti nel dibattito.
Il primo a prendere la parola è il direttore generale dell’ARPA, Vito Bruno. Interpellato sui dati dei deposimetri (i rilevatori della quantità di diossina) di cui tanto si è parlato nelle ultime settimane, il capo dell’Agenzia Regionale per la Prevenzione e la Protezione dell’Ambiente conferma che un incremento significativo è stato rilevato solo in uno dei cinque deposimetri: quello posto all’interno
della Masseria Carmine (come noto, di proprietà del consigliere Vincenzo Fornaro e della sua famiglia). A questi rilevatori, come ha poi ricordato il dirigente provinciale di ARPA, Vittorio Esposito, dal 2016 se ne sono aggiunti altri interni allo stabilimento, i cui dati vengono comunicati periodicamente ad ARPA. Da rilevare che, secondo l’agenzia, i dati rilevati all’interno della fabbrica sono coerenti con quelli misurati nel resto della città.
Qualche dato in più viene dalla relazione del direttore generale della ASL, Stefano Rossi. Dopo aver ricordato ai presenti che da un decennio a questa parte la ASL effettua circa trecento controlli l’anno su cacciagione, pesci, verdure e tutti i prodotti alimentari prodotti nel territorio (e che il trend della presenza di diossina è quasi costantemente in calo da allora), l’avvocato Rossi afferma che il registro dei tumori curato dalla ASL autorizza a ritenere che vi sia una correlazione fra i livelli di produzione dello stabilimento e l’incidenza dei tumori. Attualmente, ricorda Rossi, i livelli della produzione sono ancora molto bassi rispetto alle potenzialità dello stabilimento. Altro terreno su cui la ASL, in collaborazione con altri enti e università, sta effettuando ricerche è la possibilità che l’inquinamento generi deficit cognitivi nei bambini. Dopo una prima indagine su un campione di trecento bambini (ancora non statisticamente rilevante) si mira ad ampliare lo spettro della ricerca.
La dirigente regionale Barbara Valenzano, poi, afferma che i dati di diossina rilevati alla masseria Carmine sono aumentati a parità di livelli produttivi dello stabilimento, il che farebbe pensare a malfunzionamenti dei dispositivi di prevenzione ambientale presenti negli impianti. La Regione, ricorda poi la Valenzano, si è pronunciata perché almeno una tonnellata annua della produzione di Mittal sia realizzata con l’idrogeno e non con il carbone. Una precisazione che dà il la all’intervento di Michele Emiliano.
Il presidente ripercorre con dovizia di particolari i suoi contrasti con i governi Renzi e Gentiloni; accusa le “lobby del carbone” di premere perché a Taranto non si sperimentino metodi di produzione più pulita; dichiara di essersi illuso, al pari di molti tarantini, che un governo a trazione pentastellata avrebbe davvero chiuso l’Ilva. Ora che questo non è avvenuto, però, secondo Emiliano non ha senso continuare ad insistere per la chiusura. E qui, per la prima volta, esplode, violento, il contrasto fra il pubblico e l’aula. Per diversi minuti né il presidente del Consiglio Lonoce né lo stesso Emiliano riescono ad avere la meglio sulle urla di chi proprio non vuole sentir parlare di migliorie, ma solo di chiusura. Si invoca a gran voce un’ordinanza da parte del sindaco. E allora cala un relativo silenzio quando è proprio Rinaldo Melucci, per ultimo, a prendere la parola. Il sindaco ci tiene a far sapere che «la bozza dell’ordinanza è già pronta». La bozza, prosegue, non potrà tradursi in un’ordinanza vera e propria finché non vi saranno dati certi che certifichino un’emergenza sanitaria in atto. Dati che, secondo Melucci e la sua maggioranza, ancora non vi sono (tutti i parametri, va ricordato, sono nei limiti di legge). Per questo, insiste il sindaco, fare un’ordinanza anzitempo esporrebbe l’amministrazione e la città al rischio di una stroncatura al TAR, oltre che il primo cittadino ad un’accusa di abuso d’ufficio.
È su questo punto che l’unità di intenti sin qui manifestata dai consiglieri va miseramente in frantumi. La seduta, su richiesta del sindaco, viene sospesa perché dalle quattro mozioni presentate se ne componga una sola, che venga votata all’unanimità del Consiglio. Durante la lunga sospensione dei lavori, però, è chiaro da subito che l’unità di intenti non c’è. Alla ripresa l’opposizione espone la propria mozione, che di fatto impegnerebbe il sindaco a prendere in considerazione sin da subito, partendo dai dati già disponibili, l’ordinanza di chiusura, in nome del principio di precauzione che autorizza questo tipo di provvedimento anche in caso di un rischio solo presunto. Dall’altro, la maggioranza, che invece vota e approva, assieme al gruppo “Indipendenti per Taranto”, una mozione che prevede di richiedere, entro trenta giorni, un parere scritto delle istituzioni scientifiche preposte, per poi trarne le dovute conclusioni (l’ordinanza di fermo impianti è menzionata esplicitamente). Una mozione che è valsa alla maggioranza l’accusa di prendere tempo.
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