Dobbiamo dire con chiarezza, pur in generale rispettando il lavoro di questo giornalista, che, diversamente da alcuni resoconti/commenti anche critici fatti in passato, in questo caso la pubblicazione sic et simpliciter dell'interrogatorio dell'Avv. Perli ne dà una rappresentazione di parte (dalla parte dell'Ilva), che non è la VERITA' vera.
A noi che abbiamo seguito buona parte di questo interrogatorio, ci è venuto "il sangue in testa" a sentire questo personaggio fare tranquillamente certe affermazioni.
Pertanto, prima di pubblucare stralci dell'articolo sul Corriere di Taranto di Gianmario Leone, ripubblichiamo parte di una nota fatta dallo Slai cobas sc a suo tempo (16 gennaio 2019):
"All'interno della fabbrica si poteva inquinare
Ieri si sono sentite da questo personaggio (l'Avv. Perli) affermazioni spudorate e gravi:
"L’Arpa
voleva che le centraline fossero posizionate all’interno per l’Ilva ma i
limiti valgono per l’area esterna non per i siti industriali... come se
si misurasse l’emissione posizionando la centralina all’imbocco di uno
scarico"
Quindi, al massimo, il controllo/monitoraggio del
benzoapirene si poteva accettare fuori dall'Ilva ma non dentro lo
stabilimento...
"E' scontato che vicino alla cokeria i livelli di
benzoapirene sono superiori... Poi, se si fossero controllati i livelli
di benzoapirene succedeva che i dati andavano ad Altamarea e...
Questo
squallido avvocato dei padroni, quindi, ammette che all'interno
dell'Ilva vi era eccome inquinamento, che gli operai potevano ammalarsi e
anche morire, ma... "nessun controllo doveva assere fatto".
E, ancora, si sono sentite altre affermazioni: "Le
scorie dell'acciaieria dell'Ilva non sono "rifiuti" ma "materia prima
secondaria", semiprodotti che si possono riutilizzare nella
lavorazione... quindi, non sono assogettabili alle norme sui rifiuti..."
Quindi, in Ilva nessuna legge doveva operare, nessun controllo!
E
quando a Perli gli viene contestato il termine "pilotare" relativamente
a verifiche ministeriali per il rilascio dell'Aia, questo
azzeccagarbugli ha spiegato, tranquillamente, che "pilotare" non
significa manipolare, ma "guidare"...; aggiungendo poi che anche con la
frase "l'Aia l'abbiamo scritta noi" si intendeva solo dire che essa si
basava sulla descrizione degli impianti e dell'attività lavorativa
indicate dal gestore...
Per poi terminare, dicendo che la famosa
frase di Fabio Riva "aumento di due tumori all'anno? Una minchiata!",
era da intendersi solo come "affermazione scientifica", dato che da un
punto di vista "scientifico" due casi in più sono "insignificanti"; e ha
concluso: "questi studi epidemiologici sono previsionali, non si
possono fare processi su studi previsionali".
Anzi, l'Ilva doveva
avere anche un "plauso" poichè l'Ilva dal 2004 è dotata
di certificazione di "buona qualità ambientale"...".
Dall'articolo di Gianmario Leone
...Di particolare interesse è stata l’udienza del dibattimento dedicata all’ascolto dell’avv. amministrativista Francesco Perli che dal 2002 ha seguito per conto della proprietà dell’Ilva diverse
importanti vicende tecniche e non solo. Purtroppo, come già accaduto in
altre circostanze, anche nel caso dell’avv. Perli si è verificato un gravissimo errore di trascrizione su un’intercettazione in particolare, sulla quale la Procura aveva di fatto fondato le sue maggiori accuse...
La prima questione toccata è stata la prima pratica gestita da Perli per conto di Ilva, ovvero quando nel 2004, davanti al TAR Puglia sezione di Lecce, si discusse del problema degli scarichi industriali di Ilva.
Perli ha inizialmente voluto che precisare che gli incarichi ricevuti
dalla proprietà di Ilva sono sempre stati specificatamente su singole
questioni (sono state questioni perlopiù di carattere giudiziale). “...Dopo le vicende del 2012, prima il presidente Ilva Bruno Ferrante, poi
il commissario straordinario Enrico Bondi, confermarono il mio incarico.." ha dichiarato l’avv. Perli.
Perli ha quindi iniziato a
ripercorrere tutte le tappe del suo impegno nella cause riguardanti
l’Ilva,
partendo dalla lontana vicenda del 2002 che riguardava le acque di scarico del siderurgico...
Perli ricorda in aula che ad un certo punto la Provincia di
Taranto fece un’ordinanza in cui chiedeva ad Ilva di osservare i limiti
prescrizionali degli scarichi industriali – previsti allora dalla Legge Merli – a piè di ciascun impianto. “Naturalmente
il complesso industriale dell’Ilva è un complesso molto articolato,
contiene tantissimi impianti. La Provincia di Taranto, a un certo punto,
fece un’ordinanza in cui innovava rispetto alle autorizzazioni di cui
Ilva era già dotata per gli scarichi industriali e pretese che la
società rispettasse i limiti prestazionali a piè, sotto ogni impianto – ricorda Perli -. Io impugnai questa questione davanti al Giudice Amministrativo di Lecce e vinsi,
perché feci notare che in realtà il sistema di trattamento delle acque
reflue di Ilva aveva non solo degli impianti a piè di ciascun impianto
ma aveva anche due impianti terminali finali...“.
A questo punto l’avv. Perli... che al sistema di smaltimento delle acque reflue dell’Ilva è allacciato
anche l’impianto di trattamento delle acque di una parte importante del
Comune di Taranto che si chiama “Bellavista Gennarini”. “Questi
due impianti (che si chiamano “di chiarificazione finale”) che hanno un
trattamento di tipo meccanico, quindi – come dire? – recuperano gli
inquinanti più rilevanti prima degli scarichi a mare, non venivano in
questo modo considerati ai fini del rientro dei limiti. La differenza è
fondamentale: perché mentre l’Ilva a piè di ciascun impianto non poteva
osservare i limiti prescrizionali della Legge Merli, a valle degli
impianti di trattamento finale – prima degli scarichi a mare – osserva i
limiti prescrizionali della Legge Merli... la
misurazione – lo prevede la norma di Legge – la devi fare dove escono
dallo stabilimento le acque reflue e a valle di tutti gli impianti di
trattamento. Se un’industria ha più impianti di trattamento, la
misurazione dei limiti di Legge la fai a valle. La Provincia, non
convinta di questa tesi, fece Appello al Consiglio di Stato...
(che) fece una sentenza confermativa del giudizio di
primo grado rampognando un po’ anche la Provincia, perché dice “Le
misurazioni si devono fare a valle di tutti gli impianti di
trattamento. Perché voi pretendete che l’operatore industriale rispetti i
limiti all’interno del proprio stabilimento prima ancora che ci sia il
trattamento finale?”...
La famosa vicenda della discarica ‘Mater Gratiae’
Qualche anno dopo, come ricorda Perli, scoppia la vicenda sulla discarica ‘Mater Gratiae’, che tanti problemi causerà anche ai vertici della Provincia di Taranto. “...L’Ilva
aveva già ottenuto la valutazione di impianto ambientale positiva per
la realizzazione di questa discarica e aveva la necessità di attivare la
discarica...". L’avvocato Perli ricorda come l’Ilva
non riusciva ad ottenere dalla Provincia di Taranto l’autorizzazione
alla messa in esercizio della discarica che aveva già in gran parte
realizzato. “...
Allora incominciai e feci una messa in mora... La Provincia di Taranto non si espresse. “Allora
impugnai quello che tecnicamente si chiama “silenzio-rigetto” davanti
al Giudice Amministrativo. Chiesi anche l’istanza di sospensione
cautelare, perché la discarica precedente che Ilva utilizzava si stava
esaurendo e quindi si sarebbe bloccato lo stabilimento. Il Giudice
Amministrativo mi accolse l’istanza di sospensione con
propria ordinanza, ordinò alla Provincia di Taranto di esprimersi.
“Ordinare di esprimersi” non vuol dire di accogliere la domanda di Ilva... il TAR pretese
che la Provincia di Taranto concludesse il procedimento entro il 15 dicembre del 2009. Il responsabile del procedimento era il Dottor Romandini... Al 15 dicembre 2009 il dr. Romandini si espresse e fece un provvedimento di diniego “che io impugnai... Il Giudice Amministrativo esaminò questa nuova censura e, “dopo tre o quattro mesi, accolse nel merito la decisione…
i motivi aggiunti, quindi la mia impugnazione. Dopodiché la Provincia
era ancora inerte e, quindi, io feci un atto di diffida... Anche qui non ha provveduto al provvedimento... Però, a questo punto, poi intervenne anche il Ministero che disse: “Va
beh, considereremo questo discorso delle discariche all’interno del
procedimento dell’AIA”...
Lo strano caso della sentenza del Tar sul caso “benzopirene” del 2010
...L’episodio singolare è che in sede cautelare l’Ilva vinse – dopo la discussione al TAR – il ricorso... Ma nell’ordinanza uscì per errore – invece di “accogliere” – “rigetta il ricorso”.
...Ci fu un
procedimento di rettifica – “di correzione materiale” si dice –
dell’ordinanza, fu corretta l’ordinanza materialmente“.
Tutto inizia, per chi ne ha memoria, il 4 giugno 2010, quando ARPA
Puglia produce una relazione in cui sostanzialmente diceva che il livello del benzoapirene emesso dall’Ilva era troppo alto. Il monitoraggio dei dati era 1,3 nanogrammi a metro cubo d’aria. Sulla base di questo provvedimento, di questa relazione dell’ARPA Puglia ci fu un provvedimento di limitazione dell’attività emissiva e quindi dell’attività industriale di Ilva” che
io naturalmente, su incarico di Ilva, impugnai davanti al TAR Puglia
Lecce chiedendo l’istanza di sospensiva – che ho raccontato prima – che
fu accolta e poi la sentenza di merito che fu assolutamente favorevole
ad Ilva. In questa sentenza di merito fu accolta la mia argomentazione
giuridica, cioè che il limite di Legge per il benzoapirene non
era 1 nanogrammo a metro cubo d’aria – come pretendeva e sosteneva
l’ARPA Puglia – ma era 2,5 nanogrammi a metro cubo d’aria. Quindi,
siccome quello rilevato dalla stessa ARPA Puglia – nella stazione di via
Machiavelli mi pare – era di 1,3 nanogrammi a metro cubo d’aria, il
benzoapirene dell’Ilva era assolutamente nei limiti di Legge“.
Quindi che cosa era avvenuto? “È avvenuto, c’è una direttiva
comunitaria
la quale prevede che entro una certa data si raggiunga il limite di 1
nanogrammo a metro cubo d’aria. Ma questo 1 nanogrammo a metro cubo
d’aria per il benzoapirene è definito dalla direttiva comunitaria un
valore obiettivo, che è diverso dal valore prescrizionale. Il valore
prescrizionale è un obbligo di Legge e, se non lo rispetti, sei fuori
norma. Il valore obiettivo è un valore da conseguire entro una
determinata data attraverso delle misure naturalmente di riduzione delle
emissioni inquinanti, perché uno stabilimento industriale deve
progressivamente ridurre il proprio impatto ambientale... 1 nanogrammo a metro cubo d’aria è scattato nel 2013,
perché la direttiva comunitaria prevede che quella fosse la data di
raggiungimento del limite temporale per osservare 1 nanogrammo a metro
cubo d’aria... poi
l’ARPA Puglia, dopo questa relazione del 4 giugno 2010, fece una
seconda relazione in cui rincarava ulteriormente la dose ma seguendo una strada
che era costruita su delle fondamenta assolutamente prive di qualsiasi
valore giuridico... non è assolutamente vero che il Ilva
abbia operato o che il Governo abbia cambiato il limite prescrizionale
col Decreto Legislativo 155 del 2010 che ha recepito una seconda
direttiva comunitaria che, in realtà, non riguarda il benzoapirene ma
riguarda altri quattro inquinanti importanti: perché il Governo
italiano, con quel decreto legislativo, ha – sì – considerato anche il
benzoapirene ma ha riconfermato esattamente la disciplina che c’era
prima e, quindi, l’obiettivo di 1 nanogrammo a metro cubo d’aria...
...Dopo di che è stato affrontato il caso sul posizionamento delle centralinea di rilevamento degli inquinanti di ARPA Puglia all’interno del siderurgico, ed il perchè l’Ilva si rifiutò di installarle. “L’Articolo
2 della direttiva comunitaria dice che i limiti per la valutazione
della cosiddetta “aria ambiente” valgono per la troposfera, non valgono
per l’aria dei luoghi di lavoro e delle industrie. Per l’aria dei luoghi
di lavoro e delle industrie vale un’altra Legge e valgono degli altri
limiti più alti. Perché i dipendenti
di un’industria possono essere sottoposti anche a dei limiti superiori
perché dispongono dei dispositivi di protezione individuale e perché
l’esposizione loro agli inquinanti avviene per un periodo più limitato.
Un ciclo di lavoro dura sei ore, mentre invece un cittadino che abita in
una zona di alto inquinamento per emissioni industriali – come può
essere il quartiere Tamburi, ad esempio – è esposto per ventiquattro ore
su ventiquattro ore. Quindi – tanto per capirci – i limiti per la
qualità dell’aria dentro l’industria sono più alti rispetto a quelli
esterni all’industria perché vengono poi compensati dalla durata
temporale“, ricorda Perli.
La norma di Legge quindi dice che la direttiva comunitaria e il
Decreto 155 del 2010 vale solo per gli ambienti esterni e che non si
possono fare le misurazioni negli ambienti interni. “A un certo
punto ARPA Puglia... pretendeva di mettere delle centraline
anche all’interno dell’Ilva... vicino alla cokeria. È chiaro che si presumeva che, in quelle
misurazioni, i valori di benzoapirene fossero più elevati ma non erano
quelli previsti dalla Legge. Sarebbe stato come misurare il
benzoapirene con un apparecchio che si pone a 50 centimetri dal tubo di
scarico di una marmitta di un autoveicolo... ...Ho spiegato prima che ci sono i dispositivi
di protezione individuale dei lavoratori; hanno minore periodo di
esposizione e, quindi, possono supportare dei dosaggi maggiori...“.
Perli ha anche affrontato il caso della mancata copertura dei
parchi minerali. Il BREF in vigore fino al 2011 – quando è stata
rilasciata l’AIA di Ilva – non prevedeva la copertura dei parchi ma
prevedeva, per i grandi parchi, delle opere di mitigazione ambientale... Neanche il BREF successivo, del 2012, ha previsto la copertura dei parchi. Poi l’Ilva fece anche una rete di barrieramento che fu difficilissima da fare perché il Comune di Taranto, con una mano, pretendeva che Ilva mitigasse – giustamente – l’emissione delle polveri e, con l’altra, non ci rilasciava l’autorizzazione edilizia per realizzare il barrieramento. Siamo andati avanti due o tre anni sul tira e molla...
“Allora adesso voi vi farete una domanda e vi domanderete perché Arcelor Mittal invece sta realizzando quella costruzione enorme per
la copertura dei parchi e direte “Ma allora non è vero quello che dice
lei, Avvocato, perché la copertura dei parchi si può fare”. Due le mie
osservazioni... primo – che i parchi sono stati
ridimensionati perché hanno modificato – credo – il ciclo produttivo per
cui hanno messo un serbatoio più piccolo che
viene riempito più spesso... Il secondo aspetto è che la dimensione è più
piccola...“.
L’avv. Perli ripercorre anche la lunghissima
vicenda per la concessione dell’AIA (Autorizzazione Integrata
Ambientale) all’Ilva, che arrivò il 4 agosto del 2011, dopo un iter
burocratico durato diversi anni. “Il Consiglio di Stato ha
respinto… dopo un accurato esame di tutte le problematiche, ha respinto
completamente il ricorso del WWF dichiarando la piena e completa
legittimità dell’AIA di Ilva. La decisione interviene nel 2013,
quando tutte le note vicende giudiziarie tarantine sono già scoppiate... La seconda
impugnazione invece fu fatta da Ilva, perché Ilva impugnò
parzialmente l’AIA rilasciata il 4 agosto 2011. Il TAR accolse tutte le
mie censure parziali su quell’AIA, le annullò. Questa
sentenza dimostra che non è vero che l’Ilva abbia tramato, per ottenere
l’AIA, che fosse completamente soddisfatta da quell’AIA..."
Dopo di che, viene chiesto a Perli cosa significasse la dicitura utilizzata dall’accusa “Pur in presenza di tali criticità” l’Ilva ottenne l’AIA...
A questo punto l’avv. Perli spiega ai giudici della Corte d’Assise le procedure AIA... "...Verificai che l’Ilva era già in movimento perché c’erano stati degli atti di intesa con la Regione sostanzialmente, però non era stato fatto nulla di particolare” ammette candidamente l’avv. Perli.
Allora il Ministero dell’Ambiente, con decreto del novembre del 2005, decise che un “gruppo
di tecnici pubblici si sarebbe recato a Taranto, avrebbero studiato gli
impianti dello stabilimento e aiutato il gestore ad indicare quali sono
le migliorie necessarie per poter rendere l’impianto adeguato all’AIA”... Questo studio di duecento pagine, si
concluse indicando ad Ilva cinquantacinque interventi di adeguamento degli impianti
per rendere il complesso industriale di Taranto dell’Ilva più
rispondente alle esigenze ambientali e per consentire di superare
l’esame dell’AIA.
Il 27 febbraio del 2007 l’Ilva presentò la propria domanda AIA “impegnandosi,
con un atto unilaterale d’obbligo, a realizzare quei cinquantacinque
interventi che erano stati indicati da questo gruppo di lavoro. Dopodiché
l’AIA avrebbe dovuto essere, secondo Legge, rilasciata ad Ilva entro
trecento giorni dalla domanda presentata... Entro trecento
giorni non è stato rilasciato nulla. Lì è incominciato il grande
balletto dell’AIA, perché sembrava tutto fatto, tutto definito e tutto
indicato. A questo punto, gli enti pubblici incominciarono a chiedere
all’Ilva di anticipare la realizzazione di questi adeguamenti tecnici
importanti fintanto che andava avanti in parallelo il procedimento di
approfondimento dell’AIA.... L’Ilva realizzò tutti questi cinquantacinque interventi spendendo circa 927 milioni di euro... Senonché
l’Autorizzazione Integrata Ambientale non arrivava: non arrivava perché
sono incominciati gli ostracismi, le difficoltà, gli approfondimenti che
in realtà forse non erano del tutto necessari...”.
...“La
conferenza decisoria avvenne il 5 luglio o il 4 luglio
del 2011 e ci furono al Ministero… c’erano cento persone. Sentirono
prima le associazioni ambientaliste, poi sentirono il gestore, poi
sentirono tutti insieme, poi ci furono le contestazioni, poi la Regione
che pretendeva all’ultimo minuto di inserire delle altre cose. Ma erano
tutte modifiche – come dire? – non di carattere tecnico ma di carattere
politico: perché c’era evidentemente una forte pressione sociale,
politica e quant’altro. Poi, alla fine, furono recepite dal Ministero
alcune di queste pretese e modificarono all’ultimo momento l’AIA... Questa è la ragione per cui io poi ho impugnato al TAR quest’AIA: per
alcuni aspetti un’impugnativa parziale e per non so quanti punti – ma
basta leggere la sentenza – ho ottenuto il riconoscimento delle mie
buone ragioni da parte del Giudice Amministrativo“...
L’errore dell’intercettazione
...il
Procuratore Argentino allora sostenne la tesi del rinvio a giudizio in
quanto, sulla base di alcune telefonate trascritte dalla Guardia di
Finanza, praticamente lo rappresentavano come – è stato tale definito –
“il pilota” che avrebbe condotto – una specie di Schumacher del Diritto
Amministrativo! – che aveva condotto determinati iter” afferma l’avv. Della Valle.
Soprattutto si fece leva su una telefonata particolare... dove a un certo punto si dice. “Perli: “Abbiamo…
abbiamo anche inquinato gli atti anche per quello nel ricorso”. Questa è
la frase che è stata molto sbandierata anche dalla stampa, eccetera.
Poi... la famosa
frase “L’abbiamo scritto noi”, perché ha spiegato già nel dettaglio in
sostanza come avveniva la procedura..."
L’avv. Perli a questo punto risponde seccamente: “Non dico inquinato: dico impugnato“. Apriti cielo. L’avv. Della Valle invoca subito la presenza di un grosso vulnus...
A quel punto la difesa presenta le sua richiesta: audizione nuovamente del perito...
...Sopraggiunto il perito dichiara: “Sì.
A seguito del riascolto, mi sento di affermare che c’è scritto…
“Abbiamo impugnato” è la parola giusta che viene pronunciata dagli
interlocutori, che si ascolta nella progressiva“...
...Verso la fine dell’interrogatorio, l’avv. Perli precisa ulteriolmente alcune vicende ambientali legate al siderurgico. “La
prima questione è che l’Ilva dal 2004 è dotata di certificazione di
buona qualità ambientale secondo l’EPA – che è l’ente americano per
l’ambiente – e secondo la normativa europea. Quindi dal 2004
l’Ilva è dotata dell’attestato di essere un impianto industriale che
consegue una buona qualità ambientale... Questa verifica viene fatta periodicamente –
ogni tre anni – da un ente pubblico che si chiama “Accredia”. L’Ilva dal 2004 fino al 2018 ha sempre
goduto del rinnovo di questa attestazione. Quando è scoppiata la vicenda
del processo – ricorda Perli – naturalmente Accredia si è
preoccupata molto che le sue autorizzazioni fossero state rilasciate
secondo un buon esame, in modo corretto... Quindi l’Ilva è l’unico stabilimento al mondo –
che io conosco – che ha un attestato degli enti americano ed europeo di
essere un ente di buona qualità ambientale e che, allo stesso tempo,
viene accusato di un disastro ambientale dell’importanza che voi sapete“.
...Perli ritorna sulla famosa questione della diossina prodotta dall’Ilva, denunciata nel 2005 dall’associazione Peacelink. “Ho
sentito questa cosa della diossina – del Registro INER-EPR… EPTR – che
sarebbe a dei livelli stratosferici: l’Ilva emetterebbe, non so se il
92% di tutta la diossina, il 98% di tutta la diossina d’Italia. Vorrei
spiegarvi che questo dato è tratto da un registro che è tenuto, si
chiama “Registro INER-EPTR” che è formulato su basi volontarie. Soltanto
il 10% delle aziende italiane fa la comunicazione annuale a questo
registro. In genere, questo 10% sono le grandi aziende: l’Eni, l’Agip, le raffinerie, l’Ilva... Quello che c’è scritto nel regolamento comunitario che
la pubblicazione in questo registro non ha alcun valore scientifico e
non attesta l’effettiva emissione di diossina nell’ambiente perché è
fatto su base volontaria e soltanto il 10% delle aziende italiane
pubblica i propri dati su questo registro. Oltretutto... i criteri di pubblicazione
sono diversi: c’è quello stimato, c’è quello verificato... quello dell’Ilva è stimato.
Cioè l’Ilva sostanzialmente ha fatto la proiezione teorica della
diossina emessa sulla massima produzione teorica possibile che sono
quindici milioni di tonnellate di acciaio l’anno, mentre invece la
produzione era – adesso è molto meno – intorno ai nove milioni, nove
milioni e mezzo“...
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