di Mario DILIBERTO
Fondi neri per le tangenti da versare all'ex presidente della Provincia di Taranto Martino Tamburrano. Per saziare quella che il gip Vilma Gilli nella sua ordinanza di 191 pagine, non esita a definire la bulimia di denari del presidente della Provincia.Una cupidigia talmente pressante da esasperare persino Pasquale Lonoce, imprenditore di San Marzano di San Giuseppe, che, nelle carte dell'inchiesta, appare tra i più fedele dei sodali. Proprio lui, infatti, senza sapere di essere ascoltato dai finanzieri, mentre parla con un altro indagato sbotta in un eloquente «...per me Martino è più mafioso di Totò Riina» arrivando pure a rincarare la dose con termini più coloriti. Frasi che vanno a
braccetto con altre esternazioni in cui l'imprenditore parla delle spese sostenute per la campagna elettorale della moglie di Tamburrano, candidata al Senato alle scorse politiche. A leggere gli sconfortati sfoghi di Lonoce, alla fine a lui quelle elezioni, in cui peraltro la signora Tamburrano non venne eletta, sarebbero costate la bellezza di 250.000 euro. Con cene offerte a sostenitori e simpatizzanti per le quali avrebbe sborsato anche 30.000 euro in un mese. Pochi flash per riassumere il quadro che emerge dagli atti della clamorosa inchiesta deflagrata ieri mattina, a suon di manette.
Al telefono le richieste di tangenti venivano spacciate persino come auguri di Pasqua. Almeno questa è l'interpretazione data dagli investigatori di uno dei numerosi colloqui captati con cimici e sistemi informatici, nei mesi in cui si è sviluppata l'inchiesta T-Rex.braccetto con altre esternazioni in cui l'imprenditore parla delle spese sostenute per la campagna elettorale della moglie di Tamburrano, candidata al Senato alle scorse politiche. A leggere gli sconfortati sfoghi di Lonoce, alla fine a lui quelle elezioni, in cui peraltro la signora Tamburrano non venne eletta, sarebbero costate la bellezza di 250.000 euro. Con cene offerte a sostenitori e simpatizzanti per le quali avrebbe sborsato anche 30.000 euro in un mese. Pochi flash per riassumere il quadro che emerge dagli atti della clamorosa inchiesta deflagrata ieri mattina, a suon di manette.
Dialoghi con i quali gli investigatori ritengono di aver smascherato il sistema con fulcro Martino Tamburrano, l'ex numero uno della Provincia di Taranto. Un inconfessabile intreccio di affari e mazzette costruito sulla gestione del business dei rifiuti e con buona pace del rispetto per l'ambiente. Un paradigma con il quale gli inquirenti diretti dal procuratore aggiunto Maurizio Carbone e dal sostituto procuratore Enrico Bruschi, hanno coniugato l'accidentato iter culminato nell'autorizzazione concessa dalla Provincia per l'ampliamento del terzo lotto della discarica di Torre Caprarica, in agro di Grottaglie. Il semaforo verde venne acceso dall'amministrazione Tamburrano il 5 aprile dello scorso anno, scatenando una marea di polemiche. Anche perché, in precedenza, sulla stessa richiesta dall'Ente era arrivato un niet, costruito proprio sulla non compatibilità ambientale del progetto. Quel verdetto, però, sarebbe stato capovolto a colpi di tangenti secondo l'accusa. Un flusso di denaro imponente aperto da Roberto Venuti, dirigente della società proprietaria del sito, con terminale proprio l'ex numero uno della Provincia. Per quell'autorizzazione, infatti, Tamburrano è accusato di aver intascato bustarelle da 5.000 euro al mese. Ma anche di aver incamerato una Mercedes da quasi 50.000 euro, e la promessa di un appartamento. Un patrimonio che rimbalza a ripetizione nei dialoghi intercettati e sulle cui tracce si sono lanciati i segugi delle Fiamme Gialle. Perché di quel fiume di soldi di cui si parla si è trovata poca traccia, al netto di quanto evidenziato dagli accertamenti bancari. Secondo la ricostruzione fatta dagli inquirenti, da paravento alle tangenti avrebbero fatto alcune fatture dall'importo sovradimensionato.
In pratica imprese di cui Lonoce è indicato come amministratore di fatto, avrebbero caricato sui costi per i servizi resi proprio alla società proprietaria della discarica. Grazie a questo escamotage e alle differenze tra costi reali e gonfiati si sarebbero creati fondi neri con i quali soddisfare le richieste del presidente.
Si è trovata, invece, quella prestigiosa Mercedes, pluriaccessoriata, intestata ad un'altra persona e per la quale era stato richiesto anche il permesso per transitare nelle corsie preferenziali. La vettura ieri mattina è stata posta sotto sequestro dalle fiamme gialle guidate dal colonnello Marco Antonio Antonucci. E l'impressione è che la caccia al tesoro sia soltanto all'inizio.
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