martedì 3 ottobre 2017

La Cementir non è in condizione di rispettare le prescrizioni giudiziarie e quindi il problema ora e salvare i lavoratori dalla disoccupazione

Traffico di ceneriCementir già a giudizio
L’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Lecce denominata «Araba Fenice» che ha travolto dirigenti e quadri di Cementir, Ilva ed Enel, per un presunto traffico illecito di rifiuti è nata dopo il sequestro nel cementificio di Taranto di diverse discariche non autorizzate destinate allo stoccaggio, direttamente a contatto con il suolo, di rifiuti anche pericolosi come la loppa d’altoforno non deferrizzata, clinker e rottami ferrosi provenienti dalla vicina Ilva. 
L’indagine condotta dal sostituto procuratore della Repubblica Lanfranco Marazia ha coinvolto Mario Ciliberto, all’epoca dei fatti legale rappresentante della «Cementir Italia spa» e Mauro Ranalli, direttore dello stabilimento ionico, accusati di aver realizzato e gestito le aree dove venivano stoccati i rifiuti.
Intanto, il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Lecce Antonia Martalò ha dettagliatamente elencato le prescrizioni che Ilva, Enel e Cementir dovranno rispettare per evitare il blocco degli impianti.

Smaltimento rifiuti dell'Ilva, a giudizio i vertici Cementir

Il 7 marzo c'è stata la prima udienza Nel cementificio furono sequestrate discariche non autorizzate

FRANCESCO CASULA
Inizierà il 7 marzo il processo nei confronti dei vertici della «Cementir Italia spa» finiti alla sbarra nell’inchiesta avviata dopo il sequestro nel cementificio di Taranto di diverse discariche non autorizzate destinate allo stoccaggio, direttamente a contatto con il suolo, di
rifiuti anche pericolosi come la loppa d’altoforno non deferrizzata, clinker e rottami ferrosi provenienti dalla vicina Ilva.
L’inchiesta condotta dal sostituto procuratore della Repubblica Lanfranco Marazia ha coinvolto Mario Ciliberto, all’epoca dei fatti legale rappresentante della «Cementir Italia spa» e Mauro Ranalli, direttore dello stabilimento ionico, accusati di aver realizzato e gestito le aree dove venivano stoccati i rifiuti. Non solo. Per Ciliberto e Ranalli e per gli altri due indagati, Leonardo Laudicina e Paolo Graziani, direttori tecnici dello stabilimento tarantino, il pm Marazia ha contestato l’ipotesi di reato di truffa, perché in concorso tra loro, gli indagati avrebbero presentato una richiesta di Autorizzazione integrata ambientale depositando «documentazione attestante fatti non veritieri sui quantitativi di rifiuti in possesso dell’azienda e – si legge nell’carte dell’inchiesta – nell’omettere informazioni doverose sui siti ove giacevano gli stessi all’interno del perimetro dell’opificio industriale “Cementir” sede di Taranto».
Secondo la Procura, quindi, i vertici dell’azienda avrebbero depositato documenti falsi per ottenere l’Aia e avrebbero così indotto «in errore gli Organi di Vigilanza della pubblica amministrazione deputati all’esercizio delle funzioni di controllo, anche in riferimento alla constatazione e accertamento delle condizioni previste per il pagamento del tributo speciale, nonché le amministrazioni (regionale e provinciale) destinatarie dello stesso». Insomma la realizzazione senza autorizzazione di queste discariche sconosciute alle amministrazioni pubbliche, nelle quali, secondo il pm Marazia, avrebbero stoccato un totale di 14.532 tonnellate di loppa d’altoforno, secondo la Procura di Taranto avrebbe da un lato consentito alla Cementir di conseguire un guadagno illegittimo di 217mila euro per il mancato pagamento del tributo speciale a Regione e Provincia, e un danno della stesso valore per le amministrazioni pubbliche. Durante l’udienza preliminare decisiva potrebbe essere stata la perizia redatta dall’esperta Simona Sasso dell’Arpa che ha confermato la tesi accusatoria del pm Marazia sostenendo nella sua relazione che la loppa era da considerare un rifiuto e non sottoprodotto come invece avveniva per la Cementir Italia.
Il giudice per le udienze preliminari Pompei Carriere, infine, ha rinviato a giudizio anche la stessa Cemetir Italia spa ai sensi della legge 231 del 2001 come richiesta dal pm Marazia che ha affermato nell’accusa che il reato di truffa era stato «commesso nell’interesse o comunque a vantaggio dell’ente» da soggetti «preposti alla direzione dell’unità organizzativa autonoma, sul piano finanziario e funzionale, costituita dalla sede produttiva di Taranto».

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