E' da settembre che aspettavamo questa sentenza positiva per la battaglia contro i padroni assassini e contro l'azione "Salva-Ilva" dei governi, prima Renzi/Gentiloni, poi ripresa da Di Maio /Salvini, che con la scandalosa norma anticostituzionale sull'immunità penale del gennaio 2015, viene data di fatto un via libera all'Ilva e ora all'Arcelor Mittal di inquinare, di mettere a rischio in fabbrica e in città la vita di operai e popolazione di Taranto, di violare la sicurezza in fabbrica, senza che accada nulla in termini penali e amministrativi nè ai padroni nè ai soggetti da questi funzionalmente delegati per l’attuazione del piano ambientale.
Il gip del Tribunale di Taranto Benedetto Ruberto ha infatti disposto la trasmissione degli atti alla Consulta su una questione di legittimità costituzionale. La decisione del gip è stata assunta dopo la riunione di tre procedimenti penali. Questi riguardano inchieste sulle emissioni dello stabilimento siderurgico, in particolare i livelli di diossina da ricondurre alle polveri degli elettrofiltri dell’impianto di agglomerazione, i dati dell’Arpa relativi alle emissioni di PM10, PM 2,5 e benzene in area cokeria, la questione dell’inquinamento provocato dall’attività estrattiva praticata nella cava Mater Gratiae e delle criticità evidenziate dal comune di Statte con riferimento alla prosecuzione ed all’ampliamento di quella attività.
Il gip Ruberto ha sollevato questione di legittimità costituzionale in relazione agli articoli 2 comma 5 e 2 comma 6 del decreto legge 5 gennaio 2015, n. 1, convertito con modificazioni dalla Legge 4 marzo 2015, n. 20, per contrasto con gli articoli 3, 24, 32, 35, 41, 112 e 117 della Costituzione.
Tra la altre considerazioni nella sentenza il Gip Ruberto scrive: «Certamente e clamorosamente leso è anche il diritto alla salute di coloro che abitano nei pressi dello stabilimento, essendo stato accertato che elevati livelli di inquinamento aumentano il rischio di contrarre malattie mortali. Anche per costoro l’assurdo prolungamento dell’attività autorizzata compromette irrimediabilmente un diritto fondamentale e inviolabile».
«Il termine di operatività dell’esimente - spiega il giudice delle indagini preliminari - è stato differito ai diciotto mesi successivi all’entrata in vigore del DPCM del 29 settembre 2017, secondo l’Avvocatura di Stato coincide addirittura con la scadenza dell’autorizzazione integrata ambientale (23 agosto 2023), ma nulla impedisce al legislatore una ulteriore proroga di queste scadenze». «Ciò significa - puntualizza Ruberto - che per undici anni dal sequestro dello stabilimento - 25 luglio 2012 - quell'impresa è stata messa nelle condizioni di continuare a produrre, con la garanzia, per i suoi gestori (e soggetti da essi delegati), di non dover essere chiamati a rispondere dei reati eventualmente commessi in violazione delle norme, di diritto comune, poste a presidio della salute, dell’incolumità pubblica e della sicurezza sul lavoro».
Il Giudice Ruberto, inoltre, ha aggiunto un'altra motivazione: la violazione del principio di uguaglianza, attraverso l'applicazione di norme in favore dei siti di "interesse strategico nazionale", in base alle quali si consente all'Ilva e ora ad ArcelorMittal di "commettere fatti-reati" che ad altri sono vietati. Ha pure rilevato la violazione degli obblighi internazionali assunti dall'Italia con la convenzione europea dei diritti dell'uomo, in materia di tutela della persona e del diritto alla vita. Nè la norma - come scrisse la Consulta nel 2013 - può rendere lecito a posteriori ciò che prima era illecito".
E' stata pertanto respinta la richiesta di archiviazione fatta dal PM Buccoliero a suo tempo sulla base di considerazioni oggettivamente di parte: dalla parte dell'Ilva, ritenendo gli accadimenti assenti di fatti penalmente perseguibili (?!); dalla parte del governo considerando che secondo quanto previsto dai decreto "salva-Ilva" e in particolare da quello 1/2015, le condotte incriminate fossero invece da considerare "scriminate"
Lo Slai cobas sc ancora il 30 gennaio - giorno in cui ha depositato la denuncia-querela contro l'Accordo Ilva/ArcelorMittal/Sindacati, contenente anche un punto importante sull'immunità penale - aveva nuovamente parlato con il Gip Ruberto, a cui nel giugno 2018 aveva inviato una richiesta sul NO all'archiviazione per l'emissione di diossina (trasmessa anche alla Corte Costituzionale), per sollecitare ad adottare una decisione contro l'immunità penale, anche alla luce della recente sentenza di Strasburgo.
Siamo, pertanto, contenti che si sia arrivati in questi giorni alla decisione di non procedere per l'archiviazione e inviare gli atti alla Consulta.
Riportiamo, di seguito, stralci dalla "richiesta" e alla "denuncia-querela", che in alcune motivazioni in un certo senso anticipa alcune delle motivazioni fatte dal Gip Ruberto.
Vogliamo solo aggiungere due considerazioni:
Ieri sui giornali, in televisione, dai politici, ai parlamentari locali, ad alcune associazioni - ad esclusione della lodevole attività da sempre fatta da PeaceLink e dal suo presidente Marescotti - tutti gioiscono e si danno meriti di primogenitura nell'aver anticipato loro questa battaglia - clamoroso e grottesco è per es. la parlamentare del M5S De Giorgi che si "dimentica" che il suo leader DI Maio ha reiterato nell'Accordo del 6 settembre l'immunità penale; o il Verde Bonelli alleato nelle ultime elezioni politiche proprio a quel partito di Renzi che aveva fatto il decreto 1/2015.
Infine, è chiaro che la battaglia legale non è conclusa, e che pertanto occorre mantenere alta la denuncia e mobilitazione; e in questo senso la denuncia-querela dell'Accordo del 6 settembre presentata dallo Slai cobas è un strumento importante.
DALLA RICHIESTA ALLA PROCURA, AL GIP E ALLA CORTE COSTITUZIONALE
"...Chiediamo che il 3 luglio c.a. non dobbiamo assistere ad una inaccettabile anomalia, per cui: viene sì accertato che la diossina proveniva dal ciclo produttivo dell'Ilva, raggiungendo, come descrive l'Arpa, livelli mai registrati e unici al mondo sulla base della letteratura scientifica disponibile; viene sì accertato che tale diossina ha investito persone, bambini; ma grazie all'immunità penale stabilita del Decreto legge del 5 gennaio del 2015 i responsabili dell'Ilva dello sversamento di quella diossina, che probabilmente ha causato altri malati, altri morti, deformazioni e i cui effetti distruttivi continuano nel tempo, NON SONO PUNIBILI.
Un decreto che non persegue i responsabili dell'attacco alla salute dei cittadini, che autorizza l'attività produttiva anche in presenza di deficienze impiantistiche che possono determinare pericolose emissioni di sostanze nocive, è una mostruosità, oltre che dal punto di vista umano, di civiltà, dal punto di vista della Giustizia.
L'articolo del decreto 1/2015 contraddice “i principi di riserva di giurisdizione e di obbligatorietà dell’azione penale” disciplinati dall’articolo 112 della Carta costituzionale.
Quanto sopra, tra l'altro, è apertamente in contrasto con la la recente sentenza della Corte Costituzionale, n.58 del marzo 2018, che in un passaggio recita: “Rimuovere prontamente i fattori di pericolo per la salute, l’incolumità e la vita dei lavoratori costituisce infatti condizione minima e indispensabile perché l’attività produttiva si svolga in armonia con i principi costituzionali, sempre attenti anzitutto alle esigenze basilari della persona”.
Chiediamo, pertanto, che il Gip di Taranto, in sede di valutazione della richiesta di archiviazione, valuti la possibilità di sollevare incidente di costituzionalità.
Alla Corte Costituzionale chiediamo di dichiarare l'illegittimità dell'art. 2 comma 6 del Decreto legge 5 gennaio 2015, nonchè degli articoli dei decreti legge seguenti che confermano ed estendono tale impunità. Questo norma è un oggettivo via libera ai responsabili legali dell'Ilva, a tutte le figure dirigenziali che gestiscono l'attività della fabbrica, a non preoccuparsi di portare avanti l'attività produttiva nella massima sicurezza per gli operai e per gli abitanti dei quartieri, in quanto risultano tutelati da una presunzione di liceità.
Questa norma va contro la difesa della salute delle persone stabilità dalla Costituzione.
Noi abbiamo accolto con speranza la sentenza di codesta Corte Costituzionale n.58 del marzo 2018, con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 3 del decreto-legge 4 luglio 2015, n. 92 - e degli artt. 1, comma 2, e 21-octies della legge 6 agosto 2015, n. 132 - che consentiva la prosecuzione dell'attività produttiva anche nell'impianto ILVA (Altoforno 2) sottoposto a sequestro penale.
In particolare riteniamo i seguenti passaggi di quella sentenza punti fermi, inderogabili sempre:
“il legislatore non ha rispettato l’esigenza di bilanciare in modo ragionevole e proporzionato tutti gli interessi costituzionali rilevanti, incorrendo in un vizio di illegittimità costituzionale per non aver tenuto in adeguata considerazione le esigenze di tutela della salute, sicurezza e incolumità dei lavoratori...”.
“il legislatore ha finito col privilegiare in modo eccessivo l’interesse alla prosecuzione dell’attività produttiva, trascurando del tutto le esigenze di diritti costituzionali inviolabili legati alla tutela della salute e della vita stessa (artt. 2 e 32 Cost.), cui deve ritenersi inscindibilmente connesso il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non pericoloso (art. 4 e 35 Cost.).
Noi riteniamo che la violazione di questi principi sia presente anche nel Decreto legge 1/2015...
Un decreto che non persegue i responsabili dell'attacco alla salute dei cittadini, che autorizza l'attività produttiva anche in presenza di deficienze impiantistiche che possono determinare pericolose emissioni di sostanze nocive, è una mostruosità, oltre che dal punto di vista umano, di civiltà, dal punto di vista della Giustizia.
L'articolo del decreto 1/2015 contraddice “i principi di riserva di giurisdizione e di obbligatorietà dell’azione penale” disciplinati dall’articolo 112 della Carta costituzionale.
Quanto sopra, tra l'altro, è apertamente in contrasto con la la recente sentenza della Corte Costituzionale, n.58 del marzo 2018, che in un passaggio recita: “Rimuovere prontamente i fattori di pericolo per la salute, l’incolumità e la vita dei lavoratori costituisce infatti condizione minima e indispensabile perché l’attività produttiva si svolga in armonia con i principi costituzionali, sempre attenti anzitutto alle esigenze basilari della persona”.
Chiediamo, pertanto, che il Gip di Taranto, in sede di valutazione della richiesta di archiviazione, valuti la possibilità di sollevare incidente di costituzionalità.
Alla Corte Costituzionale chiediamo di dichiarare l'illegittimità dell'art. 2 comma 6 del Decreto legge 5 gennaio 2015, nonchè degli articoli dei decreti legge seguenti che confermano ed estendono tale impunità. Questo norma è un oggettivo via libera ai responsabili legali dell'Ilva, a tutte le figure dirigenziali che gestiscono l'attività della fabbrica, a non preoccuparsi di portare avanti l'attività produttiva nella massima sicurezza per gli operai e per gli abitanti dei quartieri, in quanto risultano tutelati da una presunzione di liceità.
Questa norma va contro la difesa della salute delle persone stabilità dalla Costituzione.
Noi abbiamo accolto con speranza la sentenza di codesta Corte Costituzionale n.58 del marzo 2018, con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 3 del decreto-legge 4 luglio 2015, n. 92 - e degli artt. 1, comma 2, e 21-octies della legge 6 agosto 2015, n. 132 - che consentiva la prosecuzione dell'attività produttiva anche nell'impianto ILVA (Altoforno 2) sottoposto a sequestro penale.
In particolare riteniamo i seguenti passaggi di quella sentenza punti fermi, inderogabili sempre:
“il legislatore non ha rispettato l’esigenza di bilanciare in modo ragionevole e proporzionato tutti gli interessi costituzionali rilevanti, incorrendo in un vizio di illegittimità costituzionale per non aver tenuto in adeguata considerazione le esigenze di tutela della salute, sicurezza e incolumità dei lavoratori...”.
“il legislatore ha finito col privilegiare in modo eccessivo l’interesse alla prosecuzione dell’attività produttiva, trascurando del tutto le esigenze di diritti costituzionali inviolabili legati alla tutela della salute e della vita stessa (artt. 2 e 32 Cost.), cui deve ritenersi inscindibilmente connesso il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non pericoloso (art. 4 e 35 Cost.).
Noi riteniamo che la violazione di questi principi sia presente anche nel Decreto legge 1/2015...
DALLA DENUNCIA-QUERELA CONTRO L'ACCORDO DEL 6 SETTEMBRE 2018
"- L'accordo, non escludendola, recepisce ed estende anche alla nuova proprietà l'immunità penale prevista dal decreto legge 5 gennaio 2015
Questo decreto stabilisce che i responsabili di infortuni, di danni alla salute non sono punibili.
Esso risulta, a parere della scrivente, fortemente lesivo dei diritti dei lavoratori e dei cittadini e di fatto istituzionalizza una “libertà” di delinquere per i responsabili dell'azienda, facendo venir meno un freno legislativo importante.
Tale immunità penale è inoltre, a parere della scrivente, incostituzionale, perchè in aperta violazione dei principi generali, di uguaglianza, universali, che devono essere alla base di una legge. Questa legge invece vale solo per 1 azienda e non per tutte le aziende, affermando di fatto il venir meno dello stesso spirito della "Legge" che deve, almeno formalmente, essere imparziale.
Viene pertanto legalizzata una discriminazione, stabilendo di fatto che un operaio dell'Ilva/ArcelorMittal è diverso da un operaio di un'altra fabbrica; come sono diversi i cittadini di Taranto che subiscono malattie per l'inquinamento provocato dalla fabbrica siderurgica dai cittadini di altre città.
Viene istituzionalizzato che ci può essere una fabbrica, una città al di sopra della legge, in cui sono sospesi i diritti costituzionali, democratici.
Anche dal punto di vista del capitale, questa legge afferma che i proprietari delle fabbriche in genere sono perseguibili per infortuni, malattie causate dall'attività lavorativa, mentre i proprietari della fabbrica ora di AM InvestCo No. Questa discriminazione ripropone pertanto una “concorrenza sleale” sia a livello delle aziende in Italia, sia sul piano europeo e mondiale."
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