mercoledì 10 settembre 2014

Ilva amianto le motivazioni della condanna a Riva e dirigenti aziendali

Ilva Taranto, condanna per l’amianto: “Gli operai morti potevano essere salvati”

A maggio il giudice aveva ritenuto colpevoli 27 ex dirigenti dell'azienda. Ora sono uscite le motivazioni: "Se avessero sottoposto i lavoratori a visite mediche adeguate, sarebbe stata diagnosticata una patologia che poteva essere un campanello d'allarme"

Fabio Riva
Gli operai dell’Ilva morti per mesotelioma pleurico a causa dell’amianto presente nella fabbrica potevano essere salvati se solo l’azienda, a conoscenza della problematica, avesse agito tempestivamente. È quanto scrive il giudice Simone Orazio nelle motivazioni della sentenza con la quale il 23 maggio scorso ha condannato 27 ex dirigenti della fabbrica – tra i quali Fabio Riva ex vice presidente del gruppo condannato a 6 anni di carcere – accusati di omicidio colposo e disastro ambientale. Nelle 268 pagine, infatti, il magistrato scrive che se i vertici dello stabilimento avessero sottoposto a visite mediche adeguate i lavoratori, queste avrebbero consentito di “diagnosticare una patologia (es. placche pleuriche) che poteva essere un campanello d’allarme per il mesotelioma e che certamente avrebbe obbligato il datore di lavoro a non esporre più il lavoratore, affetto da tale problematica di salute, alle fibre di asbesto” e quindi a “valutare la incompatibilità del lavoratore rispetto alle mansioni sino ad allora espletate e quindi anche rispetto all’esposizione ad amianto, motivo per cui in questi casi l’accertamento sanitario avrebbe permesso di adibire il dipendente ad altre mansioni, sottraendolo al pericolo di morte”.







Insomma, una “situazione di consapevole e lucida omissione” che secondo il tribunale “si è
perpetrata per decenni, essendo sotto gli occhi di tutti nel senso che l’inerzia è stata maturata e voluta sia da colore che avevano ruoli operativi e che pertanto erano a conoscenza delle inaccettabili condizioni in cui costringevano a lavorare i dipendenti sia da parte di color che avevano responsabilità manageriali, gestionali e di controllo finanziario data l’assenza dl alcuno stanziamento al riguardo”. Una scelta scellerata che, però, non ha colpito solo i lavoratori della fabbrica, ma si è trasformato nel disastro ambientale che ha colpito “tutta la popolazione di Taranto e dei comuni limitrofi, complessivamente pari a quasi trecentomila abitanti”.
Un disastro che è il frutto di “una logica di organizzazione dei fattori produttivi” e di “una pianificazione delle linee di politica del lavoro e della salute del lavoratori” determinate dalla “scelta compiuta dai vertici con la colpevole complicità del loro collaboratori”, ma certamente avvenuto anche grazie “all’inerzia degli altri pubblici poteri che avrebbero potuto e quindi dovuto far sentire la propria voce”....

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