Nella
1° parte abbiamo visto che l'operaio non vende al capitale il
lavoro, ma la sua forza-lavoro che per il capitalista è al pari di
una merce, ma particolare, perchè produce valore, lavoro gratis per
il capitale. Il capitalista non paga all'operaio il prezzo del suo
lavoro e del prodotto del suo lavoro, ma un salario che corrisponde
al prezzo della forza-lavoro, determinato, come qualsiasi merce, dai
costi della sua produzione, vale a dire dal tempo di produzione di
quei beni che all'operaio servono per andare il giorno dopo a
lavorare, a rifarsi sfruttare.
Da
"Lavoro salariato e capitale" di MARX
2° PARTE
"Il capitalista e l'operaio sono legati. “L’operaio va in malora se il capitale non lo occupa. Il capitale va in malora se non sfrutta la forza-lavoro”. “La condizione indispensabile per una situazione sopportabile dell’operaio è dunque l’accrescimento più rapido possibile del capitale produttivo... del potere del lavoro accumulato sul lavoro vivente. Accrescimento del dominio della borghesia sulla classe operaia”.
L’operaio,
quindi, “produce la ricchezza estranea che lo domina, il potere
che gli è nemico, il capitale... i mezzi di sussistenza
rifluiscono nuovamente verso di lui, a condizione che esso si
trasformi di nuovo in una parte del capitale...”.
“Sino
a tanto che l’operaio salariato è operaio salariato, la sua sorte
dipende dal capitale. Questa
è la tanto rinomata comunità di interessi tra operaio e
capitalista”.
“Se
cresce il capitale, cresce la massa del lavoro salariato, cresce il
numero dei salariati; in una parola, il dominio del capitale si
estende sopra una massa più grande di individui. E supponiamo pure
il caso più favorevole: se cresce il capitale produttivo, cresce la
domanda di lavoro e sale perciò il prezzo del lavoro, il salario”.
Ma
“il rapido aumento del capitale produttivo provoca un aumento
ugualmente rapido della ricchezza, del lusso, dei bisogni sociali e
dei godimenti sociali. Benchè dunque i godimenti dell’operaio
siano aumentati, la soddisfazione sociale che essi procurano è
diminuita in confronto con gli accresciuti godimenti del capitalista,
che sono inaccessibili all’operaio, in confronto col grado di
sviluppo della società in generale”. Quindi più si
sviluppa la ricchezza, la società e più, relativamente, si
impoverisce la condizione dell’operaio.
Inoltre,
il salario non è determinato solo dalla somma di denaro, dalla massa
di merci che può acquistare, ma da altri rapporti.
Primo,
il salario è determinato in rapporto al valore dei mezzi di
sussistenza. Se il prezzo dei mezzi di sussistenza aumenta, gli
operai nominalmente possono continuare a ricevere lo stesso salario
di prima, ma “per lo stesso denaro essi ricevevano in cambio meno
pane, meno carne, ecc. Il loro salario era diminuito non perchè
fosse diminuito il valore dell’argento (del denaro), ma perchè era
aumentato il valore dei mezzi di sussistenza”. “il prezzo
in denaro del lavoro, il salario nominale, non coincide quindi con il
salario reale, cioè con la quantità di merci che vengono realmente
date in cambio del salario”.
Secondo,
il salario è determinato anche dal rapporto col profitto del
capitalista. “questo è il salario proporzionale, relativo” che
esprime “il prezzo del lavoro immediato, in confronto con quello
del lavoro accumulato, del capitale”, “supponiamo, per esempio,
che il prezzo di tutti i mezzi di sussistenza sia caduto di due terzi
(per es. da 900 a 300 euro), mentre il salario giornaliero è caduto
solo di un terzo (per esempio da 900 a 600 euro)”. Quindi,
nonostante che il suo salario sia diminuito, l’operaio può
comprare più merci di prima. Ma ciononostante, “il suo salario
però è diminuito in rapporto al guadagno del capitalista. Il
capitalista pagando all’operaio un salario inferiore di un terzo
(prima 900 euro, ora 600 euro), aumenta il suo profitto di 300 euro.
“Il che vuol dire che per una minore quantità di valore di scambio
che egli paga all’operaio, l’operaio deve produrre una quantità
di valori di scambio maggiore di prima”. Se prima su 8 ore
l’operaio lavorava 4 ore per sè per reintegrare il suo salario, e
4 ore per il capitalista, ora, con la riduzione di un terzo del suo
salario, lavora 3 ore per sè e 5 ore per il profitto del
capitalista.
“La
parte del capitale in rapporto alla parte del lavoro è cresciuta. La
distribuzione della ricchezza sociale fra capitale e lavoro è
diventata ancora più diseguale. Il capitalista, con lo stesso
capitale, comanda una maggiore quantità di lavoro. Il potere del
capitalista sulla classe operaia è aumentato; la posizione sociale
del lavoratore è peggiorata, è stata sospinta un gradino più in
basso al di sotto di quella del capitalista”.
Quindi,
salario e profitto stanno in rapporto inverso. “Il profitto sale
nella misura in cui il salario diminuisce e diminuisce nella misura
in cui il salario sale”.
“Il
salario relativo può diminuire anche se il salario reale sale
assieme al salario nominale, al valore monetario del lavoro, a
condizione che esso non salga nella stessa proporzione che il
profitto. Se, per esempio, in epoche di buoni affari il salario
aumenta del 5 per cento mentre il profitto aumenta del 30 per cento,
il salario proporzionale, relativo, non è aumentato, ma diminuito”.
Quindi, “per
quanto il salario possa aumentare, il profitto del capitale aumenta
in modo sproporzionatamente più rapido”.
“Dire
che l’operaio ha interesse al rapido aumento del capitale significa
soltanto che quanto più rapidamente l’operaio accresce la
ricchezza altrui, tanto più grosse sono le briciole che gli sono
riservate”, tanto più la
classe operaia forgia “essa stessa le catene dorate con le quali la
borghesia la trascina dietro di sè”.
L’accrescimento
del capitale è frutto soprattutto dell’aumento della forza
produttiva; questa aumenta innanzitutto “con una maggiore divisione
del lavoro, con una introduzione generale e un perfezionamento
costante del macchinario”. Ma la concorrenza su scala sempre più
mondiale dei capitalisti porta a ricominciare sempre questa strada:
ancora “maggiore divisione del lavoro, più macchinario, una scala
più grande su cui vengono sfruttate la divisione del lavoro e il
macchinario”.
“La
legge non gli concede tregua (al capitalista) e gli mormora senza
interruzione:Avanti! Avanti!”.
“Ma
come agiscono queste circostanze, le quali sono inseparabili
dall’aumento del capitale produttivo, sulla determinazione del
salario?”.
La
più grande divisione del lavoro rende capace un operaio di fare il
lavoro di cinque, di dieci, di venti; essa aumenta quindi di cinque,
di dieci, di venti volte la concorrenza fra gli operai, sia perchè
si vendono più a buon mercato, sia perchè “uno fa il lavoro di
cinque, di dieci, di venti...”.
“Inoltre
nella stessa misura in cui la divisione del lavoro aumenta, il lavoro
si semplifica. L’abilità dell’operaio perde il suo valore. Egli
viene trasformato in una forza produttiva semplice, monotona, che non
deve far più ricorso a nessuno sforzo fisico e mentale. Il suo
lavoro diventa lavoro accessibile a tutti”, e “quanto più il
lavoro è semplice, quanto più facilmente lo si impara, quanto
minori costi di produzione occorrono per rendersene padroni, tanto
più in basso cade il salario, perchè come il prezzo di qualsiasi
altra merce, esso è determinato dai costi di produzione... l’operaio
cerca di conservare la massa del suo salario lavorando di più, sia
lavorando più ore (lavoro straordinario), sia producendo di più
nella stessa ora”.
“L’umanità
del capitalista consiste in più lavoro possibile al prezzo più
basso... i padroni tentano di ridurre il salario, senza portare
nessuna modifica nominale, ma, per esempio, accorciando la pausa per
i pasti fanno lavorare un quarto d’ora in più, ecc.” (da Appunti
sul salario).
Ma
“più egli (l’operaio) lavora, meno salario riceve, e
ciò per la semplice ragione che nella stessa misura in cui egli fa
concorrenza ai suoi compagni di lavoro, egli si fa di questi compagni
di lavoro altrettanti concorrenti, che si offrono alle stesse cattive
condizioni alle quali egli si offre, perchè, in ultima analisi, egli
fa concorrenza a se stesso, a se stesso in quanto membro della classe
operaia”.
La
legge generale del mercato fa sì che “non possono esserci due
prezzi di mercato e domina sempre quello più basso (a quantità
eguale). Supponiamo 1.000 operai di uguale qualifica di cui 50 senza
pane; il prezzo non verrà determinato dai 950 che lavorano,
bensì dai 50 disoccupati. Ma questa legge del prezzo di
mercato grava più pesantemente sulla merce-forza lavoro, che su
altre merci, perchè l’operaio non può conservare la propria merce
in magazzino, ma deve vendere la sua attività vitale, oppure morire
per mancanza di mezzi di sussistenza” (da Appunti sul salario).
“Anche
l’introduzione di macchine sempre più perfezionate portano agli
stessi risultati perchè sostituiscono operai qualificati con operai
non qualificati, provocano il licenziamento di gruppi di operai”.
Ma
gli economisti ci raccontano che per gli operai licenziati,
soprattutto per i giovani operai, “si apriranno nuovi campi di
impiego”. “Ciò costituisce evidentemente una grande
soddisfazione per gli operai colpiti. Ai signori capitalisti non
mancheranno carne e sangue freschi da sfruttare; si lascerà ai morti
la cura di sotterrare i loro morti”. Perchè, comunque, loro, i
capitalisti, non vorrebbero mai licenziare cacciare via tutti gli
operai, perchè ”se tutta la classe dei salariati fosse
distrutta dalle macchine, che cosa terribile per il capitale, il
quale senza lavoro salariato (la fonte del suo profitto) cessa di
essere capitale”.
Ma
pur se gli operai licenziati trovano nuova occupazione “credete voi
che tale occupazione sarà retribuita come quella che è andata
perduta? Ciò sarebbe in contraddizione con tutte le leggi
dell’economia”.
“...Al
posto dell’uomo che la macchina ha eliminato, la fabbrica occupa
forse ora tre ragazzi e una donna. Ma il salario dell’uomo non
avrebbe dovuto bastare per tre bambini e una donna... per conservare
e accrescere la razza? (come dicono gli economisti) - No, questa
affermazione ”non prova altro, se non che ora vengono consumate
quattro volte più vite operaie di prima, per guadagnare il
sostentamento di una sola famiglia operaia”.
Per
di più le fila della classe operaia vengono ingrossate anche da
settori sociali non proletari che si impoveriscono, da strati più
alti della società che vengono buttati sul lastrico dalla
concorrenza, che “non hanno nulla di più urgente da fare che di
levare le braccia accanto alle braccia degli operai. Così la
foresta delle braccia tese in alto e imploranti lavoro si fa sempre
più folta, e le braccia stesse si fanno sempre più scarne”.
“In
ogni crisi, l’operaio è rinchiuso nel seguente circolo vizioso: il
datore di lavoro non può impiegare gli operai, perchè non riesce a
vendere il suo prodotto. Non può vendere il suo prodotto perchè non
trova acquirenti. Non trova acquirenti, perchè gli operai non hanno
altro da offrire in cambio che il loro lavoro e proprio per questo
non riescono a cambiarlo” (da Appunti sul salario).
“Infine,
nella misura in cui i capitalisti sono costretti, dal movimento che
abbiamo descritto, a sfruttare su una scala più grande i mezzi di
produzione giganteschi già esistenti, e a mettere in moto per questo
scopo tutte le leve del credito, nella stessa misura aumentano i
terremoti industriali... in una parola nella stessa misura aumentano
le crisi. Esse diventano più frequenti e più forti per il solo
fatto che, e nella misura in cui, la massa della produzione, cioè il
bisogno di estesi mercati, diventa più grande, il mercato mondiale
sempre più si contrae, i nuovi mercati da sfruttare si fanno sempre
più rari, poichè ogni crisi precedente ha già conquistato al
commercio mondiale un mercato fino ad allora non conquistato o
sfruttato dal commercio soltanto in modo superficiale. Ma
il capitale non vive soltanto del lavoro. Signore ad un tempo barbaro
e grandioso, egli trascina con sè nell’abisso i cadaveri dei suoi
schiavi, intere ecatombe di operai che periscono nelle crisi”.
Di
conseguenza “sempre più diminuiscono proporzionalmente i mezzi di
occupazione, i mezzi di sussistenza per la classe operaia, e ad onta
di ciò il rapido aumento del capitale è la condizione più
favorevole per il lavoro salariato”.
La
sorte del lavoro salariato è legata al capitale, come la corda
sostiene l’impiccato."...
(CONTINUA AL PROSSIMO GIOVEDI' ROSSO)
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