La mafia degli appalti
nella Marina è venuta chiaramente alla luce per effetto degli
arresti effettuati dalla Procura di Taranto di ufficiali in servizio
a Napoli, Roma e Taranto.
Un sistema consolidato,
come si è detto, di una prassi mafiosa che si trasferisce da un
comandante all'altro.
A fronte di questa
inchiesta è impossibile che le gerarchie della Marina Militare di
Taranto e a livello nazionale non conoscessero questo “sistema
consolidato”, ed è evidente, quindi, che ne sono complici e
conniventi, se non beneficiari.
La Marina e l'Arsenale
militare di Taranto non sono nuovi ad inchieste gravissime. Una
precedente inchiesta negli anni scorsi aveva messo in luce come
tutte le imprese appaltatrici lavorassero in condizioni di assoluta
insicurezza e nocività, sotto lo sguardo complice della Marina
Militare. Un'inchiesta che sostanzialmente è stata messa a tacere,
che non si sa che fine abbia fatto, della quale hanno subito i danni
esclusivamente i lavoratori.
All'epoca tutti i padroni
e padroncini ne erano complici e beneficiari.
A fronte di questo
clamoroso scandalo, da due giorni assistiamo all'altrettanto
scandaloso tentativo di Sindaco Stefano, amministratori, mass media
che, invece di unirsi alla denuncia, sviluppano una campagna a difesa
della Marina dipingendola come un corpo sano con qualche mela marcia.
Oscene e indegne risultano le dichiarazioni di Stefano che, a fronte della gravità dello scandalo, dice che si può “contare sulla Marina”... e continua: “puniamo i responsabili, ma i militari hanno salvato migliaia di persone”, alludendo evidentemente a quelli impegnati sul fronte immigrazione. Ma che c'entrano questi militari, rispetto ad un sistema di ufficiali, ad una Base navale che diventa covo di una grande malavita?
Gli imprenditori
taglieggiati, infatti, denunciano il reparto della Base navale della Marina
Militare di Taranto, diretto dal capitano di vascello, come grande
malavita della città.
La Base navale di Taranto
quindi è uno dei covi della grande malavita di questa città. La
Marina Militare non è solo una piovra che, altrettanto come l'Ilva,
occupa Taranto e ne ha provocato inquinamento e devastazione
ambientale, ma anche elemento dell'inquinamento morale e civile, di
cui bisogna liberare la città.
Su questo, però, vorremmo
davvero che forze ambientaliste e associazioni scendano in campo.
Mentre gli imprenditori,
quindi, vengono taglieggiati e finalmente sono costretti a
denunciare, indecente risulta la dichiarazione del Presidente della
Confindustria Cesareo che da tempo strilla e si fa paladino degli
imprenditori, presentandosi come espressione dell'imprenditoria
onesta e vilipesa. E a fronte di uno scandalo così clamoroso fa
dichiarazioni di questo genere: “Sono dispiaciuto per chi ha ceduto
ai ricatti. Sì, gli illeciti negli appalti esistono, ma attenti a
non gettare fango su tutte le imprese tarantine”.
E' lui con
dichiarazioni così minimizzatrici che sfiorano la collusione che
getta fango. Davvero Cesareo non sapeva quello che avveniva agli
imprenditori taglieggiati? Davvero Cesareo non ha avuto denunce da
imprenditori che pure dovrebbero essere iscritti alla sua
associazione? Anche su questo sarebbe
bene che la Magistratura non si fermi.
Gli imprenditori,
naturalmente, non vanno considerati in questo caso solo vittime ma
beneficiari di questo sistema su cui anch'essi hanno costruito in
questi anni le loro fortune.
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