sabato 24 gennaio 2015

Blocchi e proteste. Chi sono i nemici di Taranto? - Una lettera di un operaio Ilva

(dal blog sierlandia)
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Pubblichiamo un contributo esterno di Fabio Boccuni, operaio Ilva.
Può succedere, in un determinato periodo storico e in una particolare città, che improvvisamente le vittime diventino carnefici, creando cortocircuiti nei comportamenti, nelle analisi e nel linguaggio di una comunità che, alla lunga, smette di essere tale (o forse non lo è mai stata del tutto) coinvolgendo in tale intorpidimento intellettuale molti dei suoi cittadini più lucidi, attivi e sensibili.
E’ ciò che in questi giorni... succede agli operai degli appalti dell’Ilva  di Taranto, ai quali, a fronte di un pasticcio del governo sul  settimo decreto Ilva che con l’avvio dell’amministrazione straordinaria rischia di far saltare le spettanze arretrate che le ditte appaltatrici vantano nei confronti di Ilva e con la regia malvagia di confindustria Taranto e del suo presidente, é stata paventata la minaccia di licenziamenti, prima con l’illegittima messa in libertà, e ora con una farraginosa procedura di un qualche ammortizzatore sociale di cui ancora non si sa l’esito.
Succede a loro perché, proprio per questa situazione, gli operai hanno deciso di scioperare, bloccando la città...
Sono lavoratori e padri di famiglia che in alcuni casi non percepiscono stipendi da mesi. Sono lavoratori  che ogni giorno lavorano  per 8/12 ore, spesso con contratti precari e in condizioni difficili sia pur migliori di quelle del passato.
Sono i superstiti. Perché molti altri, dall’inizio del 2008 ad oggi, quel lavoro lo hanno perso nel silenzio generale  dei più. Sono quelli che la crisi dell’Ilva l’hanno pagata più di tutti, in termini occupazionali. Sono gli Antonio Mingolla e i Ciro Moccia morti ingiustamente sul e per il lavoro, dei quali ci riempiamo la bocca solo quando conviene e che troppo spesso dimentichiamo, ma che potrebbero essere, in un futuro, non troppo lontano, anche tutti gli altri lavoratori dell’Ilva .
Questi lavoratori stanno provando a reagire,  certo in modo confuso e magari anche discutibile, complice la regia occulta di chi vuole “soffiare sul fuoco”. Ma in qualsisai comunità che si rispetti non sarebbero stati isolati e abbandonati dalla città,  avrebbero  piuttosto goduto della solidarietà che si deve  ad una categoria vittima, debole e bisognosa d’aiuto. Sarebbero stati sottratti dalle grinfie di chi, come confindustria, tenta di usarli come testa di ariete per i loro interessi. Lo abbiamo visto a Terni come a Genova.  Ma Taranto non è Terni e non è Genova.                       
A Taranto, a torto o a ragione, bloccare la città  è diventata una cosa mal digerita se di mezzo ci sono i lavoratori Ilva... Come se la perdita di posti di lavoro non fosse un ulteriore schiaffo alla cittadinanza tutta.
Si chiede a questi operai di “redimersi” e chiudere loro stessi la propria fabbrica. Per questi lavoratori e per la loro vicenda drammatica, la città non si è scomposta  più di tanto... operai-taranto-bloccano-ponte-girevole
Questi operai, ma anche i dipendenti diretti  da tempo, vengono accusati, e a volte condannati, di essere complici e assassini. Perché si ritiene che con la loro prestazione d’opera contribuiscano ad ammazzare la gente, spesso i loro stessi cari, come se tutte le colpe dei padroni fossero ascrivibili ai propri dipendenti.
Immaginate un po’ se questo ragionamento fosse traslato all’evasione fiscale in Italia: quante povere commesse, segretarie e dipendenti di multinazionali e altri dovrebbero sentirsi complici delle malefatte dei loro padroni, quando in realtà ne sono vittime?
Soprattutto ci si dimentica che lottare dall’interno è cosa ben diversa e difficile che giudicare dall’esterno...
Troppo spesso i  paventati licenziamenti  vengono liquidati con sufficienza : «che tanto ci sono un sacco di disoccupati, molti dei quali  hanno perso il lavoro a causa di quella fabbrica…e che i disoccupati e i lavoratori son tutti uguali e per quegli altri nessuno manifesta», permettendo e favorendo con questo tipo di ragionamenti un livellamento verso il basso, una guerra fratricida tra singoli in cui l’unico obbiettivo è salvarsi il culo.
Gli operai vengono accusati di avere scarsa sensibilità ambientale e di disertare le manifestazioni per l’ambiente, cosa palesemente falsa: la sensibilità sull’ambiente e la salute è un tema che trova sempre  maggiore interesse tra gli operai, a volte mitigato dalla paura della chiusura della fabbrica. Una sensibilità che per certi versi rimane inespressa e silenziosa: nelle manifestazioni ambientaliste si marcia senza farsi troppo vedere, perché se non sei per la chiusura vieni a malapena tollerato nel corteo e, comunque, guardato con occhi sospettosi.
Ci si dimentica spesso che le fabbriche, gli operai le hanno sempre difese, che gli interessi possono essere diversi tra padrone e lavoratore, ma non tra fabbrica e lavoratore: insieme devono produrre quello di cui abbiamo bisogno nel miglior modo possibile. Ci si dimentica che i processi produttivi andrebbero dominati  per far si che si possa così rispettare la natura...
È in questo contesto da torre di babele  che non bisogna perdere la capacità di distinguere tra vittime e carnefici, tra sfruttati e sfruttatori.
È dalla solidarietà, dalla reciproca comprensione, non solo enunciata a dispetto delle rispettive posizioni sulla visione di città spesso distanti e inconciliabili tra loro, che questa comunità potrà tornare ad essere coesa.
Altrimenti, di questo passo, finiremo con l’augurarci vicendevolmente un tumore o un licenziamento, e non è detto che sia la cosa peggiore che possa capitarci.
Fabio Boccuni

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