Si è tenuto oggi un incontro tra i rappresentanti dello Slai Cobas e
la consigliera per l'attuazione del programma di Governo della Regione,
Titti De Simone, affiancata dal Prof. Peragine dell'Università di Bari,
uno dei tecnici consultati per la stesura della legge.
Al di là della cordialità e disponibilità di ascolto, nei fatti il contenuto dell'incontro ha confermato che il provvedimento previsto dalla legge regionale in via di elaborazione è molto lontano dal dare risposte generali e utili alla drammatica esigenza di reddito della massa dei senza lavoro in Regione.
"Non è nelle possibilità economiche della Regione, e nemmeno nelle sue competenze, in assenza di un quadro normativo di riferimento nazionale, varare un provvedimento che possa dare un reddito a tutti i disoccupati", ci è stato detto.
E ancora:
"Il nostro è un progetto molto più ridotto e concentrato sulla lotta alla povertà estrema. Stiamo impiegando il massimo di risorse che abbiamo a disposizione, senza tagliare su altri servizi: 70 milioni l'anno per i prossimi 5 anni, un vero salto di qualità, rispetto ai 4 milioni una tantum stanziati per i Cantieri di Cittadinanza".
Ma bisogna avere un concetto molto a ribasso della "dignità" per ritenere che un massimo 600 euro per una famiglia di 5 persone, cioè poco più di 100 euro al mese a persona, possa valere a restituire "dignità" a chi non ha reddito. Se vogliamo dare alle cose un nome corrispondente alle loro realtà, chiamiamola elemosina, magari, visto che punta a contro la povertà estrema, chiamiamola "elemosina estrema"
Alle nostre obiezioni la consigliera ha risposto:
"Mi rendo conto che non lo si può considerare un reddito sufficiente, ma con le risorse che abbiamo non possiamo dare di più e, comunque, nella mia esperienza di amministratrice ho conosciuto invece tante famiglie per le quali 600 euro al mese avrebbero rappresentato una svolta. Ed è questo l'obiettivo della legge, contrastare quelle situazioni di povertà estrema. Proprio per garantire che questo sostegno vada prima e solo a chi ne ha davvero più bisogno di altri, abbiamo dovuto restringere la platea alle famiglie che non superano i 3000 euro di reddito ISEE familiare. Solo così possiamo garantire che queste risorse, scarsissime è vero, raggiungano davvero i più poveri ed evitare o "falsi positivi", e cioè quei soggetti che, pur avendo reddito 0, sono parte di famiglie tutt'altro che povere e possono contare sul loro sostegno. Rimuovere questo criterio significherebbe beneficiare indistintamente anche chi non ne ha bisogno e togliere risorse ai più poveri".
Proprio su questo punto, considerare il reddito familiare e non la condizione individuale di mancanza di lavoro e di reddito come criterio per accedere al "reddito di dignità", i rappresentanti della regione sono sembrati più sordi ai nostri argomenti.
Da una parte, hanno negato qualsiasi intento ideologico di affermazione della centralità della famiglia, dicendo: "per noi si tratta solo di adottare una misura di riferimento della povertà effettiva", dall'altro si sono trincerati dietro il solito discorso delle risorse scarse.
Detto in parole povere: se hai poco da dare, è giusto darlo solo a chi non ha niente.
Ma è difficile negare che invece il chiaro messaggio delle legge è: "se non hai una famiglia o ne hai una davvero in miseria, ti aiuto con quella misieria che ho a disposizione".
Quando abbiamo fatto presente che questa impostazione è estremamente penalizzante per quei giovani che vogliono andare via dalla famiglia, acquisire un'indipendenza, ma che proprio per la mancanza di lavoro o reddito non possono farlo e che ancora più penalizzante è per le donne, alle quali un reddito collegato alla persona e non alla famiglia permetterebbe in molte occasioni di liberarsi di situazioni familiari fortemente oppressive o anche violente, ci è stato candidamente risposto:
"L'ambizione di questa legge non è garantire l'indipendenza economica o compensare la mancanza di reddito, per fare questo occorre il lavoro, politiche di sviluppo, cose che non si possono ottenere con una legge della Regione Puglia"
In conclusione, da questo incontro emerge chiaramente che quello che si è tentato di dipingere come "un primo passo verso il reddito garantito per tutti", come già i "cantieri di cittadinanza", ricopre in realtà una cosa ben diversa: elemosina estrema contro miseria estrema.
Soprattutto, conferma che la lotta per la vertenza per il salario garantito non passa per le "consultazioni per contribuire a migliorare un progetto di legge" ma per la costruzione di un percorso di lotta dura e generale che parte dalle realtà disoccupati che stanno già lottando.
Una lotta fuori dalle regole, finchè dentro le regole troviamo solo elemosina e miseria.
Al di là della cordialità e disponibilità di ascolto, nei fatti il contenuto dell'incontro ha confermato che il provvedimento previsto dalla legge regionale in via di elaborazione è molto lontano dal dare risposte generali e utili alla drammatica esigenza di reddito della massa dei senza lavoro in Regione.
"Non è nelle possibilità economiche della Regione, e nemmeno nelle sue competenze, in assenza di un quadro normativo di riferimento nazionale, varare un provvedimento che possa dare un reddito a tutti i disoccupati", ci è stato detto.
E ancora:
"Il nostro è un progetto molto più ridotto e concentrato sulla lotta alla povertà estrema. Stiamo impiegando il massimo di risorse che abbiamo a disposizione, senza tagliare su altri servizi: 70 milioni l'anno per i prossimi 5 anni, un vero salto di qualità, rispetto ai 4 milioni una tantum stanziati per i Cantieri di Cittadinanza".
Ma bisogna avere un concetto molto a ribasso della "dignità" per ritenere che un massimo 600 euro per una famiglia di 5 persone, cioè poco più di 100 euro al mese a persona, possa valere a restituire "dignità" a chi non ha reddito. Se vogliamo dare alle cose un nome corrispondente alle loro realtà, chiamiamola elemosina, magari, visto che punta a contro la povertà estrema, chiamiamola "elemosina estrema"
Alle nostre obiezioni la consigliera ha risposto:
"Mi rendo conto che non lo si può considerare un reddito sufficiente, ma con le risorse che abbiamo non possiamo dare di più e, comunque, nella mia esperienza di amministratrice ho conosciuto invece tante famiglie per le quali 600 euro al mese avrebbero rappresentato una svolta. Ed è questo l'obiettivo della legge, contrastare quelle situazioni di povertà estrema. Proprio per garantire che questo sostegno vada prima e solo a chi ne ha davvero più bisogno di altri, abbiamo dovuto restringere la platea alle famiglie che non superano i 3000 euro di reddito ISEE familiare. Solo così possiamo garantire che queste risorse, scarsissime è vero, raggiungano davvero i più poveri ed evitare o "falsi positivi", e cioè quei soggetti che, pur avendo reddito 0, sono parte di famiglie tutt'altro che povere e possono contare sul loro sostegno. Rimuovere questo criterio significherebbe beneficiare indistintamente anche chi non ne ha bisogno e togliere risorse ai più poveri".
Proprio su questo punto, considerare il reddito familiare e non la condizione individuale di mancanza di lavoro e di reddito come criterio per accedere al "reddito di dignità", i rappresentanti della regione sono sembrati più sordi ai nostri argomenti.
Da una parte, hanno negato qualsiasi intento ideologico di affermazione della centralità della famiglia, dicendo: "per noi si tratta solo di adottare una misura di riferimento della povertà effettiva", dall'altro si sono trincerati dietro il solito discorso delle risorse scarse.
Detto in parole povere: se hai poco da dare, è giusto darlo solo a chi non ha niente.
Ma è difficile negare che invece il chiaro messaggio delle legge è: "se non hai una famiglia o ne hai una davvero in miseria, ti aiuto con quella misieria che ho a disposizione".
Quando abbiamo fatto presente che questa impostazione è estremamente penalizzante per quei giovani che vogliono andare via dalla famiglia, acquisire un'indipendenza, ma che proprio per la mancanza di lavoro o reddito non possono farlo e che ancora più penalizzante è per le donne, alle quali un reddito collegato alla persona e non alla famiglia permetterebbe in molte occasioni di liberarsi di situazioni familiari fortemente oppressive o anche violente, ci è stato candidamente risposto:
"L'ambizione di questa legge non è garantire l'indipendenza economica o compensare la mancanza di reddito, per fare questo occorre il lavoro, politiche di sviluppo, cose che non si possono ottenere con una legge della Regione Puglia"
In conclusione, da questo incontro emerge chiaramente che quello che si è tentato di dipingere come "un primo passo verso il reddito garantito per tutti", come già i "cantieri di cittadinanza", ricopre in realtà una cosa ben diversa: elemosina estrema contro miseria estrema.
Soprattutto, conferma che la lotta per la vertenza per il salario garantito non passa per le "consultazioni per contribuire a migliorare un progetto di legge" ma per la costruzione di un percorso di lotta dura e generale che parte dalle realtà disoccupati che stanno già lottando.
Una lotta fuori dalle regole, finchè dentro le regole troviamo solo elemosina e miseria.
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