La morte di Claudio e Francesco non può
essere archiviata. In questi giorni Claudio e Francesco vengono
uccisi una seconda volta.
Dapprima ci ha pensato Ferrante a
sporcare la loro memoria ricordandoli in comizi e messe da lui tenuti
e presenziati; nelle messa questo squallido maggiordomo del padrone
ha unito il ricordo dei due operai al “pensiero sofferente” per
padron Riva e famiglia “privati della loro libertà”.
E’ inutile dire che in questi giorni
anche istituzioni, stampa, ecc. nessuno escluso, si sono ben guardati
dal ricordarsi dei due operai morti.
Ma quel che è peggio è ciò che sta
avvenendo di fatto in fabbrica.
Dopo la morte di Claudio e Francesco e
la grande e coraggiosa lotta degli operai del Mof e degli altri
operai che l’hanno sostenuta per annullare l’accordo del 2010 sul
mono operatore nel reparto, e nonostante le promesse dell’azienda e
di Vendola che di questa lotta si sarebbe tenuto conto per modificare
la situazione al Mof, non è invece successo nulla. Si vuole far
restare tutto come prima e i sindacati, Fiom in testa, insistono che
o al Mof si lavora così o niente, e che l’accordo del 2010 è e
resta valido.
Questa è la sostanza della cosa, tutto
il resto sono fronzoli. Per loro Claudio è morto invano, gli operai
hanno sbagliato a lottare e non vanno legittimati né come diritto di
sciopero né come organizzazione sindacale.
Ma così non può e non deve essere!
Costi quel che costi, questa storia non può finire così!
Lo Slai cobas con precisione e serietà
già nei giorni della lotta ha detto chiaramente quello che l’azienda
deve fare e gli operai devono fare. Non è un problema di sigla
sindacale o di semplice solidarietà, ma di serietà e
determinazione. O in questa fabbrica le cose si cambiano oppure non
ci sarà limite al peggio.
Per questo invitiamo a riprendere lo
stato di agitazione e al massimo subito dopo le feste, a riprendere
seriamente il blocco del reparto, se l’accordo è ancora in piedi e
se non viene radicalmente cambiata la situazione.
Non c’è solo il problema
dell’accordo al Mof che deve saltare – la cosa vale anche per i
gruisti, per gli altri reparti – c’è anche la legge da
rispettare in quelle rarissime volte che essa tutela le condizioni
del lavoro in sicurezza. La sentenza del 5 novembre in Cassazione lo
ha ribadito, e questa deve essere fatta rispettare rigidamente
all’Ilva per mille ragioni che tutti sappiamo, e proprio in questa
situazione in cui sicurezza e messa a norma sono condizioni
indispensabili non solo per la tutela degli operai ma anche per la
esistenza stessa della fabbrica.
Slai cobas per il sindacato di classe
ILVA
Taranto via Rintone 22 –
slaicobasta@gmail.com
– T/F 0994792086 – 3475301704 (attivo anche in questo periodo di
feste).
TA. 23.12.12
All.1
Spett.le
Direzione ILVA S.p.A
Al
presidente Dr. Ferrante Bruno
Al
Direttore di stabilimento, Dr. Buffo
All’Ing.
Antonio Colucci (C.A.MOF)
Al
Resp. Della Sicurezza aziendale
epc
Al presidente Regione Puglia, Vendola
All'Ass.
Nicola Fratoianni
al
Sig. PREFETTO di Taranto
OGGETTO:
situazioneMOF.
Risulta
alla scrivente Organizzazione Sindacale che nonostante le
assicurazioni del Dr. Ferrante, pubblicate anche dagli organi di
informazione, per cui l’azienda avrebbe disposto la presenza di due
operatori in quasi tutte le attività con mezzi come quello sul quale
lavorava Claudio Marsella, tale indicazione viene disattesa
costringendo come prima i lavoratori ad operare da soli.
Si
chiede, pertanto, ai dirigenti Ilva in indirizzo di intervenire,
fornendo adeguate nuove disposizioni ai responsabili del Mof e
controllando che vengano eseguite.
Nello
stesso tempo si fa presente che:
- ai sensi dell’art. 18 D.Lgs 81/08 e D.Lgs 106/09, codesta Ditta è obbligata a far operare i lavoratori del Mof in condizioni di massima sicurezza;
- sempre ai sensi del TU 81 i lavoratori hanno il diritto dovere di astenersi dal lavoro in situazione di pericolo in attesa che tale situazione venga rimossa;
- ogni pressione da parte di capi costituisce di per sé un elemento di insicurezza psicologica dei lavoratori che costituisce rischio alla salute e alla vita degli stessi;
- i lavoratori del Mof hanno presentato una precisa piattaforma che riguarda l’insieme delle condizioni di lavoro e che su questa si chiede un incontro;
- in attesa di effettivo intervento che rimuova tutte le situazioni di pericolo, lo Slai cobas appoggia ogni iniziativa degli operai
Slai cobas per il
sindacato di classe Taranto
Calderazzi
Margherita
347-5301704
slaicobasta@libero.it
lettera
proposta ai LAVORATORI DEL MOF
Alla
Direzione ILVA S.p.A
Al
presidente Dr. Ferrante Bruno
Al
Direttore di stabilimento, Dr. Buffo
All’Ing.
Antonio Colucci (C.A.MOF)
Al
Resp. Della Sicurezza aziendale
epc
al
Sig. PREFETTO di Taranto
In
riferimento
alle
misure prevenzionistiche nei luoghi di lavoro, di cui al capo III,
art. 15, D.Lgs 81/08 e s.m.i. D. Lgs 106/09;
ai
sensi dell’art. 18 stesso decreto, che indica gli adempimenti gli
obblighi del datore di lavoro;
in
riferimento ai requisiti di sicurezza enucleati nell’allegato V del
decreto sopra indicato – compresi i requisiti tecnici di sicurezza
di cui ai punti 2.6, 2.7, 2.8, 2.9 dello stesso all. V - a cui
devono rispondere i locomotori, tra i quali la dotazione di
dispositivi di comando e di emergenza che consentano di arrestarne il
funzionamento tempestivamente, in presenza di rischi esistenti nonché
in caso di necessità;
ai
sensi dell’art. 63 del decreto, per quanto attiene i luoghi di
lavoro, che dispone l’obbligo di rispetto delle condizioni di
sicurezza indicate nell’allegato IV (illuminazione, camminamenti,
spazi di movimentazione di veicoli in generale e di persone);
COMUNICHIAMO
CHE IN ASSENZA DI MISURE DI SICUREZZA CHE POSSANO COMPORTARE UN
PERICOLO IMMEDIATO,
IN
PARTICOLARE IN MANCANZA DEL SECONDO OPERATORE,
AI
SENSI DI QUANTO STABILITO DAL D.LGS 81/08,
CI
ASTERREMO DA EFFETTUARE OPERAZIONI A RISCHIO IN ATTESA
DELL’ATTUAZIONE DI TALI MISURE.
Importante sentenza della Cassazione che dobbiamo rispettare e imporre di rispettare in tutti i reparti ilva da subito !
"Ci si può rifiutare di lavorare se manca la tutela della salute"
Il
5 novembre è uscita un'importante sentenza della Cassazione, in un
certo senso innovativa, anche perchè non parla solo di "sicurezza"
ma anche di tutela della salute.
E' una sentenza che può essere utilizzata anche in presenza di altre sostanze pericolose per la salute, pensiamo ai lavoratori dell'Ilva.
E' una sentenza che può essere utilizzata anche in presenza di altre sostanze pericolose per la salute, pensiamo ai lavoratori dell'Ilva.
"Il datore che non adotta le misure necessarie di tutela della salute sul lavoro è da considerare inadempiente rispetto al lavoratore. Questa condotta giustifica dunque, in base al l'articolo 1460 del Codice civile, il rifiuto di lavorare in ambienti non sicuri e fa permanere, a carico del primo, l'obbligo di retribuire chi si sia astenuto in ragione di quell'inadempimento. È l'interpretazione che si desume dalla sentenza della Cassazione n. 18921 del 5 novembre 2012 (sezione Lavoro).
Il caso riguarda una parte del personale di una grande officina, nei cui locali erano state svolte lavorazioni che avevano determinato un inquinamento da amianto. Nonostante la bonifica realizzata dal datore, i dipendenti, preoccupati anche dai contenuti di un verbale di sopralluogo svolto da specialisti della società, chiedono la sospensione del lavoro e ulteriori interventi. Il datore li nega e i lavoratori si astengono dal continuare a lavorare, pur rendendosi disponibili a farlo in altri locali aziendali. Intervenuto il giudice penale, il pericolo alla salute è scongiurato e le maestranze decidono di ritornare in azienda. Il datore, a quel punto, rifiuta, però, di pagare la retribuzione per il mese e mezzo di astensione.
Inevitabile
il ricorso da parte dei dipendenti al giudice del lavoro: essi
sostengono che la loro condotta fosse da considerare legittima
reazione all'inadempimento di obblighi di sicurezza gravanti sul
datore e chiedono il pagamento della retribuzione. I due giudizi di
merito si concludono positivamente per i ricorrenti. La decisione di
secondo grado, in particolare, si basa su perizie che evidenziano
difetti nell'organizzazione delle operazioni di bonifica con
conseguente dispersione di residui di amianto nei locali di lavoro.
Proprio
questo aspetto, secondo i giudici, rappresenta il nucleo
dell'inadempimento del datore sugli obblighi previsti dall'articolo
2087 del Codice civile e giustifica, sul piano giuridico, il rifiuto
di lavorare dei prestatori. La società ricorre in Cassazione. La
Corte sottolinea, principalmente, due profili. In primo luogo, i
giudici d'appello hanno bene interpretato l'articolo 2087 del Codice
civile, secondo cui ogni datore deve adottare le misure necessarie a
tutelare l'integrità fisica dei prestatori di lavoro: essi, infatti,
hanno censurato il datore per la violazione delle regole di
comportamento che la stessa società aveva fissato ed emanato per
eliminare/ridurre i rischi. La decisione di merito, inoltre, rivela
una corretta applicazione del l'articolo 1460 del Codice civile, in
base al quale, nei contratti con prestazioni corrispettive come è
quello di lavoro, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di
adempiere la propria obbligazione, se l'altro non adempie.
In
questo senso, i giudici hanno valutato la condotta dei lavoratori
come reazione al l'inadempimento datoriale.
La
Corte dunque ha rigettato il ricorso e condannato la ricorrente".
5.11.2012
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