Si è concluso il processo per la morte dell'operaio dell'indotto
AntoninoMingolla
dalla cronaca della gazzetta del
mezzogiorno
Si è chiuso con la condanna di tutti gli imputati, il
processo di primo grado per la morte di Antonino Mingolla, 47enne operaio di
Mesagne,dipendente della ditta Costruzioni metalliche tubolari (Cmt)
deceduto sul
lavoro il 18 aprile 2006 all'interno dello stabilimento Ilva. Il
giudice del tribunale di Taranto, Massimo De Michele ha condannato i sei
dirigenti finiti alla sbarra a pene comprese tra i due anni e due anni e sei
mesi di
reclusione. La pena maggiore è stata inflitta a Pietro Mantovani: per
il titolare della ditta Smi sas, subappaltatrice della Cmt, il tribunale
in composizione monocratica avrebbe riconosciuto una maggiore
responsabilità condannandolo alla pena di due anni e sei mesi. Due anni di
carcere, invece,
sono stati inflitti ad Alfredo De Lucreziis, tecnico d'area
energia manutenzione meccanica dell'Ilva, Antonio Assentato, capo cantiere
della ditta Cmt, Angelo Lalinga, responsabile di produzione, distribuzione
e
trattamento acque, soffiaggio vapore, aria e gas dell'Ilva,
Mario Abbattista, capo reparto energia, aria e gas dell'Ilva e Francesco
Ventruto, responsabile del servizio di prevenzione e protezione rischi per
la
sicurezza e salute durante il lavoro.
Le condanne decise dal
magistrato, infine, sono state superiori anche alle richieste formulate dal
pubblico ministero. Durante la sua requisitoria, infatti, il sostituto
procuratore della Repubblica Enrico Bruschi, aveva
chiesto al tribunale la
condanna di tutti gli imputati a una pena di un anno e otto mesi di carcere.
Per tutti l'ipotesi di reato contestata dalla procura ionica era di
cooperazione in omicidio colposo.
Quel 18 aprile 2006, Antonino Mingolla fu
investito da una nube tossica mentre era impegnato assieme ad altri suoi tre
colleghi nella sostituzione di una valvola alla rete gas «Afo» in prossimità
della centrale elettrica
Cet1, all'interno dello stabilimento siderurgico. Il
tribunale, quindi, ha accolto la tesi accusatoria della procura della
Repubblica secondo la quale la ditta Cmt avrebbe predisposto un generico
piano per la sicurezza «senza che a monte ci fosse una valutazione dei rischi
effettivamente connessi all'attività lavorativa e alla specifica definizione
delle modalità operative più idonee». Inoltre, nel piano in questione «non vi
è traccia
dello stretto coinvolgimento dei lavoratori in un efficace
processo conoscitivo dei rischi ai quali andavano esposti».
Mingolla e gli
altri operai furono investiti da sostanze tossiche probabilmente sprigionate
dalla tubazione a cui stavano lavorando: una vera e propria nube tossica
inodore, insapore e incolore contenente una cospicua
quantità di ossido di
carbonio. I soccorsi furono immediati, ma l'operaio mesagnese morì poco dopo
l'arrivo al pronto soccorso dell'ospedale «Santissima
Annunziata».
nota della rete
Antonino Mingolla è il marito di
Franca Caliolo, una delle fondatrici dell'associazione dei familiari 12
giugno e successivamente della rete nazionale per la sicurezza sui posti di
lavoro. e oggi attiva nelle donne
per taranto il 18 aprile 2009 la rete
nazionale organizzò a taranto una manifestazione nazionale di 5000 persone
contro morti sul lavoro e inquinamento che ha anticipato tutta la battaglia
odierna in corso, ma su posizioni nazionali e di classe e non localiste e
interclassiste
rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro
bastamortesullavoro@domeus.it
13
dicembre 2012
da repubblica
Operaio ucciso dal gas
killer Mancanza totale di sicurezza".
L'incidente mortale sull'Altoforno 1 nel
2006, costato la vita ad Antonio
Mingolla. Due anni anche ai dirigenti della ditta appaltatrice
Operaio ucciso dal gas killer condannati
responsabili Ilva
TARANTO - I responsabili dell'Ilva condannati con i
dirigenti di una delle ditte appaltatrici a due anni per concorso in omicidio
colposo, per la morte di un operaio, stroncato dal gas killer fuoriuscito
dall'Altoforno 1:
Antonio Mingolla, ucciso nel 2006 a 46 anni dalle
esalazioni che lo hannoinvestito mentre, in assenza di adeguate misure di
sicurezza, lavorava all'interno dell'Ilva.
La sentenza è arrivata nel
pomeriggio, e ad ascoltarla c'era anche la vedova Francesca Caliolo, parte
civile nel processo e, da allora, rappresentante della Rete nazionale per la
sicurezza sui posti di lavoro. Condannati per le gravi carenze sul fronte
della sicurezza che sono costate la vita all'operaio, dipendente di una ditta
esterna del siderurgico, sei tra uomini Ilva e responsabili dell'impresa
dell'indotto. Tra loro nessun dirigente di primo piano. Il sistema delle
deleghe a cascata li ha messi al riparo dalla giustizia.
Condannati
per il reato di concorso in omicidio colposo Alfredo De Lucreziis, tecnico
d'area energia manutenzione meccanica dell'Ilva; Antonio Assentato, capo
cantiere della ditta Cmt; Piero Mantovani, titolare della società "Smi sas",
ditta subappaltatrice della Cmt; Angelo Lalinga, responsabile di produzione,
distrubuzione e trattamento acque, soffiaggio vapore aria e gas dell'Ilva;
Mario Abbattista, capo reparto energia, aria e gas dell'Ilva; e Francesco
Ventruto, responsabile del servizio di prevenzione e protezione rischi per la
sicurezza e salute durante il lavoro.
L'operaio, il giorno
dell'incidente, stava smontando una grossa valvola, quando fu ucciso da un
gas potentissimo, nell'area dell'Altoforno 1, la centrale elettrica chiusa
nei giorni scorsi per manutenzione, come primo passa nell'adeguamento dettato
dalla nuova Aia. Antonio Mingolla, padre di due figli, di Mesagne,
morì
fulminato dal gas, incolore e inodore, ad altissima concentrazione tossica,
fuoriuscito dalla conduttura alla quale stava lavorando. L' operaio,
dipendente della società appaltatrice tarantina C.m.t., stava
operando con un
collega su una passerella posizionata a venti metri d'altezza. Ha respirato
quel potente veleno, chiamato in gergo "gas povero da altoforno", che lo ha
ucciso praticamente sul colpo.
Per tentare di salvarlo due colleghi
rischiarono la vita. Le indagini hanno chiarito che la fatalità giocò un
ruolo marginale quel giorno. Le relazioni dei periti e degli ispettori del
lavoro hanno tracciato uno spaccato
inquietante. Sintomatica l'assenza in un
luogo a rischio di una bomboletta da almeno due litri, che avrebbe potuto
salvare la vita all'operaioconsentendogli di fuggire dall'ambiente saturo di
monossido di carbonio. Ma
di quelle procedure c'erano labili tracce sul
manuale in dotazione agli operai, nel quale però campeggiava la scritta:
"L'umorismo migliora l'ambiente di lavoro".
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