Reportage da Taranto. I lavoratori: "Macchinari troppo vecchi, l'azienda ci ricatta". "Eravamo intorno alla salma di Francesco. Il direttore, a Ferrante: tranquillo, gli diamo un aumento e tornano a lavorare"
di ADRIANO SOFRI TARANTO - Hanno recuperato nella mensa devastata l'orologio fermo sull'ora della tromba d'aria: le 10 e 46. "Lo terremo, come quello della stazione di Bologna, per ricordarcene". Sulla morte di Francesco Zaccaria, operaio gruista, e il ferimento di suoi compagni, la magistratura ha aperto un'indagine. Possono aiutarla le cose che ho ascoltato dagli operai degli impianti marittimi dell'Ilva. "Sulle gru non ci risaliamo. Ce l'hai una macchina fotografica con uno zoom? Vieni al 4° Sporgente, dov'è successo il fatto, e fotografa la ruggine che copre le macchine"."Il mestiere di gruista è uno dei più delicati e responsabili: figurati con i mastodonti che maneggiano carico e scarico sui pontili marittimi. Nessuno di noi ha ricevuto una qualsiasi formazione: il passaparola. Chi è gruista mostra a quello nuovo come si fa, e basta". "Ci sono dieci motori elettrici, se ne rompe uno, chiamo la manutenzione, la manutenzione chiama l'ufficio scarico, questo chiama il fiduciario e si fa la trafila al contrario e ti dicono di andare avanti. Fino a che ti riduci con tre, due motori, le gru con le zampe zoppicanti: allora quando devi fermarti? E la traslazione zoppa incide sull'attrito, le vibrazioni, le oscillazioni. È tutto risparmio...". "I fiduciari non firmano niente, sono marziani - vengono dalle valli lombarde, non risultano nella gerarchia ma stanno sopra i capireparto, a volte sono ex operai mandati giù, come nelle colonie, hanno una tuta anonima grigia, ogni tanto qualcuno sbarella, come quel C. che diede in escandescenze e si mise a gridare "africani" agli operai del rivestimento. Da noi erano due: R. e uno più giovane, A., ora sono spariti". "I macchinari sono vecchissimi, di decenni, usati allo spasimo nel ciclo continuo, esposti a variazioni di temperatura fortissime e alla salsedine. Sono lesionati. Sono fuori da qualunque normativa aggiornata: scale alla marinara, strettoie, piani di calpestio con dislivelli bruschi". "Sono pieni di olio e grassi: se devi scappare raccomandati l'anima a Dio". "Un po' meno di un anno fa gente della Asl è venuta e se n'è andata. Era ancora il tempo in cui Archinà smentiva gli allarmi sui giornali firmandosi Angelo Battista, professore ambientalista!".
"L'evento inaudito? Io - dice Antonio Carrozzo, pensionato, vuole che scriva il nome - lavoravo sulla stessa gru, DM5, di Francesco, diciotto anni fa, ci fu una tromba d'aria, quella volta veniva da terra, finì addosso all'altra macchina. Quando arrivarono pompieri e ambulanze mi davano per disperso. I binari finivano una ventina di metri prima della testa del molo. Ora a un metro. Ora sarebbe andata a mare". "Quelle gru - dice Cataldo Ranieri, lui tiene al nome - non passerebbero nessun collaudo serio. Mi mandano a fare le ispezioni, benché non abbia nessun titolo, riferisco, tutto resta a voce, mai niente di scritto. Se succede qualcosa, finisce che il responsabile sono io, coi miei 15 anni di lavoro, la mia fama di turbatore dell'ordine, e il mio eterno 3° livello. Si fanno riunioni sulla sicurezza, le sole cose scritte sono un numero e le nostre firme: non ti danno nemmeno una copia del registro, che possa capire che cosa hai firmato. Come mai gli operai stavano sulle gru, con quel tempo, che era spaventoso già prima della tromba d'aria? Altri, come la Terminal container, non hanno fatto salire gli operai. C'è l'anemometro: e che cosa c'è a fare se non è intervenuto con un vento simile?". "Le cose che non vanno? Tutte. I freni, per esempio. E devi regolarti a occhio, nessuno ti dice qual è il tempo di frenata: 3 secondi, 5, chissà?". "Ci dicono di guardare che cosa fa quell'altro e fare come lui!". "Su uno stesso binario lavorano tre, anche quattro gru. Succede che due gru siano a pochi metri, una col braccio che ruota a sinistra l'altra a destra: come è possibile, se il dispositivo di sicurezza anticollisione funzionasse? E con quel mare non balla solo la gru, balla la nave". "Il sequestro ha ridotto sempre più le scorte, ecco perché fanno lavorare anche contro le trombe d'aria". "Non c'è il fumo rosso: sarebbe il filo d'Arianna per la cabina caduta in mare, invece di stare a girare per giorni nella tempesta".
Alessandro Martini, che lavora alla Lucchini di Piombino (già Magona, Italsider, Severstal...) da 25 anni, e da 18 nella mansione di Francesco Zaccaria, mi ha detto di macchine vetuste anche lì, o nuovissime, assemblate e lasciate a deperire in un piazzale. "Però da noi non si lavora con la gru in moto quando il vento supera i 70 kmh, e con la gru ferma quando supera i 100. Che si lavorasse col vento di Taranto non so capirlo". Nemmeno a Cornigliano. "Da noi - dice Armando Palombo, responsabile Fiom - c'è dal 2004 una "Scuola siderurgica" interna che abilita alle mansioni. Sulla sicurezza le cose sono cambiate, dai terribili 950 infortuni su 2.700 lavoratori del 2003: hanno capito anche loro che una miglior sicurezza li fa risparmiare. E le macchine dopo la chiusura dell'area a caldo e l'Accordo del 2005 sono in gran parte nuove...".
Dunque: "Sulle gru noi non ci risaliamo". Sul sagrato della chiesa di Talsano è finita la commossa messa per Francesco, i compagni si attardano ribadendo quello che dicevano sul molo: dunque non era solo lo sfogo di un giorno? "Non ci risaliamo. Lassù nessuno di noi può sentirsi sicuro". Alcuni mancano. Simone S. è in ospedale: anche la sua cabina è stata travolta, ha una lesione vertebrale, aveva con sé un altro, Francesco S., un operaio della mensa, perché è così che si diventa gruisti, uno che mostra a un altro come si fa sotto il tornado. Da una terza cabina estirpata e scaraventata sul ponte di una nave, Vincenzo M. è riuscito a uscire in tempo, e si è aggrappato a una trave fino a che la tromba d'aria è calata. "Vorrebbero farci ricominciare al 2° sporgente, con le macchine che hanno "traslato" anche là, le une addosso alle altre. E la gru "salvata" è ancora più vecchia...".
Ora sono uniti, gli operai, e il tempo in cui era l'azienda a indire scioperi (pagati) e cortei è finito, grazie al cielo e alla terra e al mare, ma le divisioni ci sono. Taranto è lacerata da divisioni, di opinioni, di concorrenze, di vecchi conti: è il più gran peccato. Mauro Liuzzi, delegato Uilm agli impianti marittimi, pensa che la cosa più importante è che le cose cambino da oggi, piuttosto che recriminare e incriminare: non so se abbia ragione. Ha ragione quando dice che bisogna verificare l'agibilità delle macchine, ma soprattutto l'agibilità delle persone, per così dire, che sono state ferite nel profondo. Lunedì mattina, quando leggerete queste righe, si sarà saputo che cosa hanno fatto davvero. Uno di loro mi prende da parte, è scettico: "Eravamo al pontile attorno alla salma di Francesco, erano venuti anche i grandi capi, il presidente Ferrante e il direttore Buffo. Ferrante gli chiedeva se gli operai se la sarebbero sentita di rimontare sulle gru. L'altro ha risposto: "Gli diamo il passaggio di livello, qualche incentivo in denaro, la cosa si risolve"". E se la cosa non si risolve? Dicono gli operai: "Taranto era sempre l'ultima ruota del carro, e ora di colpo è strategica, e se chiude Taranto Genova non sopravvive una settimana, e via dicendo. Be', se è vero che se si ferma Taranto si ferma l'acciaio in Italia, è vero anche che se ci fermiamo noi al porto si ferma tutto. Tutto comincia da qui, dal carico fossile e del minerale, e finisce qui, allo scarico del prodotto lavorato".
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