(dal blog proletari comunisti)
Compagni e compagne,
Il nome di Marx si onora e si saluta il 200° anniversario della sua nascita, studiandolo ma soprattutto combattendo, facendo parte di quell’esercito proletario per cui Marx ha lavorato tutta la vita, per rendere universale permanente il messaggio di liberazione delle classi oppresse.
Oltre al grandioso duecentesimo anniversario della nascita di Marx quest’anno ricorre anche il 50° anniversario del 1968. Il '68 rappresentò per le borghesie quello che Marx descrive nel Manifesto: “uno spettro che si aggira per l'Europa...”. Il '68 reincarnò il messaggio rivoluzionario dei comunisti, e i comunisti nei diversi paesi, tanti giovani nuovi comunisti, lo resero forte e terribile, mostrarono che era giusto ribellarsi, che anche nelle cittadelle dell'opulenza della ricchezza - apparente come sappiamo - dell'imperialismo le idee di rivolta non erano mai morte e che anzi bisognava reimpugnarle. L’influenza di Marx e dei marxisti dell'epoca, che assunsero sin da quella stagione il nome di maoisti, è stata una delle chiavi di quella ribellione, lo strumento che ha incarnato teoricamente, ideologicamente lo slogan “E' giusto ribellarsi”.
Chiunque ha letto qualcosa della vita, dei libri, delle lettere, della memorialistica su Marx sa bene che era un comunista molto poco incline alle chiacchiere, poco incline ad essere venerato, celebrato. Reagiva con un certo fastidio agli adulatori, sapeva bene che tanti che si definivano marxisti o
rivoluzionari lo facevano per sé, cioè esaltavano Max per esaltare sè stessi - che è davvero la forma più ignobile di rinnegamento di Marx. Noi dobbiamo rigettare questo modo di essere “marxisti”.
Un questo bicentenario c’è stata una riscoperta di Marx anche da parte della borghesia, ma non solo. Ad esempio alcuni di voi hanno visto il film “Il giovane Karl Marx”. Un film da vedere, che riesce a rendere ben viva l'immagine di ciò che Marx era, della vita che ha realmente fatto. In generale Marx non voleva che si parlasse della sua vita. Si sa che si arrabbiava quando la moglie era costretta a raccontare a tanti compagni, a quelli che gli dovevano dei soldi per gli scritti, le condizioni difficili di salute, di miseria che Marx viveva e si arrabbiava tanto per essere costretto a lavorare in quelle condizioni. Marx ha avuto un'infinità di malattie. Via via, scappando da un paese all'altro per le espulsioni, la sua salute si è deteriorata. La sue condizioni di vita sono state pesanti in tutti i paesi in cui è andato, dove ha dovuto combattere quotidianamente con la miseria.
Ma Marx non ha mai considerato queste condizioni come un ostacolo. Certo, rispetto ai programmi di studio e di lavoro che aveva non gli sarebbe bastata una vita. Nei suoi piani avrebbe voluto scrivere una quantità almeno doppia di opere rispetto a quelle che ha realizzato.
Marx si occupava di tutto, perfino, poco prima della sua morte, degli animali, delle piante e altro ancora, perchè dare su tutto una spiegazione scientifica corrispondente alla storia sociale della umanità era per lui indispensabile. Poi teneva a fare tutto per bene. Se Marx doveva leggere un libro di un autore russo studiava il russo perché pensava di doverlo leggere e capire il meglio possibile. Questo lo portò a conoscere tante lingue. Così come, prima di dire, per esempio, che rapporto ci fosse tra l'ecologia e la produzione Marx doveva studiarsi tutti i libri usciti sull’argomento. “Io ingoio i libri e poi gli sputo”, diceva, “questo è un lavoro indispensabile se voglio realmente scrivere di qualcosa”. Ecco l’assoluto rigore scientifico con cui Marx ha costruito tutta la sua opera teorica.
Quando si dice che Marx era un rivoluzionario, il primo carattere da rivoluzionario che ha assunto fu rispetto al lavoro, allo studio come un lavoro da fare fino in fondo, che doveva essere posto prima di ogni cosa, e quindi la sua vita, i suoi problemi di salute, passavano in secondo piano. Racconta Jenny che dimenticava perfino di mangiare.
Marx aveva ben chiaro che la rivoluzione doveva avere gli strumenti per realizzarsi, che non era un'"idea", quella che tanti prima di Marx e dopo Marx hanno avuto. Rivoluzionare un mondo che non va bene e un'idea più antica di Marx, si può dire che nasce con la prima divisione in classi della società. Ma per Marx la rivoluzione ha bisogno di una teoria scientifica, di un'ideologia, di una capacità di analisi dei fatti politici, della possibilità di ricondurli alle cause di fondo, e nell'analisi di queste cause trovare la strada. Marx è come un militante frenetico, nonostante sia uno studioso, e ogni movimento che si sviluppa nella classe operaia ottiene il suo interesse, non vede l'ora di andarci. Vive in sintonia con le lotte che si sviluppano in quegli anni in Germania, in Europa, in Inghilterra e prende posizione. Non è un profeta, è un militante. Per esempio, sulla Comune di Parigi, fino a pochi giorni prima della rivoluzione, Marx è molto critico verso i compagni francesi per le loro teorie e per quello che stanno facendo; poi però quando quella mistura strana produce la Comune di Parigi, quando gli operai in carne ed ossa prendono il potere a Parigi e in pochi giorni si impadroniscono di tutte le leve della gestione della società, fanno in 24 ore le leggi a cui avevano aspirato da sempre; quando la Comune diventa un pericolo mortale per le borghesie e le classi dominanti di tutto il mondo, tale che queste metteranno in marcia quel movimento di truppe che cancellerà la Comune di Parigi e la trasformeranno in un gigantesco cimitero, con migliaia e migliaia di operai morti; quando per poco più di 2 mesi Parigi è stata nelle mani della classe operaia, Marx comincia a studiare quello che realmente è avvenuto, comincia a guardare all'interno di quello che gli operai hanno fatto in quei straordinari giorni, e ne coglie tutto il valore di conferma delle cose che pensava ma anche di contributo sul come realmente il potere proletario avrebbe potuto realizzarsi. E si mette a lavorare ad un bilancio della Comune.
Oggi dopo tanti anni, si dice che il socialismo è fallito, che è un’utopia, che sarebbe impossibile. Oggi si dice che le rivoluzioni che ci sono state e sono degenerate sarebbero una smentita di Marx. Marx, invece, da quella sconfitta parte per dire che 10, 100, 1000 Comuni attraverseranno tutta l’epoca futura dell’umanità, fino a quando questo assalto al cielo non vincerà.
E sulla base di questo messaggio che i comunisti dopo Marx, prendendo nelle proprie mani la teoria di Marx. E abbiamo la Rivoluzione d'Ottobre, la Rivoluzione cinese, la Grande rivoluzione culturale proletaria.
Le rivoluzioni ripercorrono sempre i loro passi. Il comunismo sarà mondiale o non sarà, e quindi è solo una vittoria generale dei proletari in tutto il mondo che renderà la rivoluzione un fatto irreversibile. Fino ad allora le rivoluzioni sono parte di una guerra, ora sanguinosa ora pacifica, in cui le classi borghesi cercano di mantenere il potere, di riconquistarlo e le classi sfruttate cercano la strada per rovesciarle, per prendere il potere, per mantenerlo, per riprenderlo quando viene rovesciato. Marx in qualche modo questo lo ha ben chiaro da sempre. In questo senso le verifiche storiche di Marx sembrano quasi delle profezie avverate, ma dietro queste profezie c’è il lavoro scientifico di Marx, un lavoro scientifico inedito che non aveva precedenti e in una certa misura non ha avuto neanche successori dello stesso tipo.
È un lavoro che unisce teoria e prassi e che quotidianamente, mentre sviluppa le leggi scientifiche e l’analisi della società, vive la vita dei proletari.
È la fusione tra Marx e la classe operaia la chiave di volta del marxismo. Il marxismo non potrà mai essere una "religione" perché è fuso con la realtà della lotta di classe. Avanza se avanza la lotta della classe operaia, arretra se arretra la lotta della classe operaia. Non dipende da dei, profeti o da genii, ma dipende dal nesso tra scienza e lotta di classe.
Marx dice: "Non compete a me il merito di aver scoperto l'esistenza delle classi nella società moderna e la loro lotta reciproca... ciò che io ho fatto di nuovo è stato: dimostrare che l'esistenza delle classi è legata puramente a determinate fasi storiche di sviluppo della produzione; che la lotta delle classi conduce necessariamente alla dittatura del proletariato; che questa dittatura medesima non costituisce se non il passaggio all'abolizione di tutte le classi e a una società senza classi".
La lotta di classe ha prodotto l'evoluzione dalla società schiavistica alla società feudale, alla società borghese, ma ogni volta il risultato di questo rovesciamento è il dominio di una nuova classe su un'altra. E' il dominio della classe di maggioranza della società, la classe operaia, che mette fine alle classi; questa è cosa che ho detto io, concludeva Marx.
Marx ha ben chiaro che il suo lavoro serve se la classe operaia lo fa proprio. Non cerca altre verifiche. Marx irride agli intellettuali che lo calunniano e dicono clamorose falsità, e si diverte tanto a sferzarli e smascherarli. Il suo unico punto di riferimento è la classe operaia. Ha ben chiaro che non c'è niente di ciò che scrive, di ciò che analizza che possa avere un esito reale senza il ruolo della classe operaia. “Scopre” la classe operaia attraverso un lavoro che ha fatto Engels, scrivendo “La situazione della classe operaia in Inghilterra”, un libro bellissimo, una sorta di inchiesta operaia di allora sotto il capitalismo inglese, il capitalismo più sviluppato dell'epoca. Un libro che nella descrizione della condizione operaia di allora, sembra descrivere tanta parte della condizione operaia di oggi. Chiunque lo legge dice: ci vorrebbe un libro così oggi, perché la condizione della classe operaia viene analizzata nei dettagli e mostrata senza risparmiare nulla.
Marx attraverso il lavoro di Engels comprende che quello è il problema, la classe operaia, che tutto il suo lavoro fino ad allora avrebbe avuto senso se avesse trovato la classe che poteva incarnarlo. Perché una società non si cancella con un'altra idea di società ma con una nuova classe che esiste già all'interno della vecchia società e che ha già nelle mani le leve per dar vita ad una nuova società.
Da qui verrà innanzitutto il Manifesto del Partito Comunista, poi il Capitale e tutto il resto.
Ma anche qui Marx è pratico nelle sue cose. Dove sta la classe operaia, dove si trova in questo momento? E attraverso le informazioni che accumula vede che gli operai stanno già cominciando a lottare in diversi paesi, che hanno perfino fatto un'organizzazione che si chiama la Lega dei Giusti, che era un'organizzazione metà di "profeti dell'amore universale" e metà di combattenti quotidiani contro lo sfruttamento. Marx decide che è là che deve stare e il Manifesto è scritto su richiesta di questa organizzazione.
Marx era stato spietato nella critica di certi personaggi presenti nella Lega. Questo aveva colpito i lavoratori che allora gli avevano chiesto: diccelo tu come si deve fare. E allora Marx, insieme ad Engels, scrive il Manifesto che viene adottato dalla Lega dei Giusti che nel frattempo Engels in un congresso ha già cambiato in 'Lega dei comunisti', argomentando: chi sono i "giusti"? Che vuol dire "giusti"? Esistono operai, padroni, sfruttati e sfruttatori, esistono i capitalisti e quelli che chiamano comunisti e allora o sei la lega dei capitalisti o la lega dei comunisti.
La trasformazione della Lega dei giusti in Lega dei Comunisti, l’uscita del Manifesto del Partito Comunista sono la data di nascita di tutto il nostro movimento storico.
Appena Marx si mette a lavorare su questo, appena si incrocia con la classe operaia, ne diventa il capo politico, cioè l’espressione più avanzata che la classe avesse generato dalla propria capacità di lotta politica, di programma politico, di pensiero.
Nello scrivere il Manifesto, Marx restituisce agli operai quello che la classe deve essere non quello che realmente è.
Questo è forse il problema più serio che abbiamo noi comunisti oggi, per una ragione molto semplice: le generazioni operaie che si susseguono nella storia nascono con un patrimonio storico che sono le lotte che hanno fatto, le lotte che ci sono state in tanti anni, e come classe operaia da almeno più di duecento anni. Questo patrimonio storico prodotto dalla classe è come se fosse dentro il “Dna potenziale” della classe operaia odierna, ma è appunto un Dna tutto potenziale. Esattamente come la persona che nasce, che ha dentro di sé un Dna di tutto il meglio dei geni evolutisi nella sua famiglia, e a sua volta la sua famiglia viene da tante altre, è così via…
E gli operai stessi, quando diventano non solo dei lottatori ma anche dei tramandatori del proprio patrimonio, si chiamano comunisti, si chiamano Partito operaio che non ha niente a che fare con la formula partito che noi siamo abituati a conoscere e che negli ultimi anni abbiamo conosciuto esclusivamente attraverso la degenerazione della politica. Partito operaio significa operai di parte, operai che rappresentano la loro classe e fanno la loro parte. Senza un partito operaio, cioè senza un partito che trasmetta Il patrimonio storico degli operai, gli operai sono tutti "ignoranti". Quindi, non c'è da stupirsi se gli operai sono ignoranti. Marx non ha mai pensato che fossero dei genii. In una delle opere di Marx, “La miseria della filosofia”, in cui critica Proudhon che si autodefinisce operaio, racconta di sé come operaio, pensa una società operaia dove tutti gli operai si mettono in cooperativa e si scambiano tra loro le uova con le patate e così via, Marx, nell'analizzare questa teoria dice esplicitamente: gli operai non sono dei! Possono svolgere il ruolo storico solo in quanto classe, e quindi non conta il giudizio, la conoscenza che hanno i singoli componenti della classe operaia o tutti insieme, gli operai esistono quando lottano e si organizzano come classe. È nella lotta, nella lotta di classe quindi la genesi della classe operaia. La classe operaia esiste sempre, ma esiste come classe solo attraverso la lotta di classe. È ciò che fa nella lotta di classe che conta, non quello che il singolo operaio pensa. Quindi al di fuori della lotta, come gli operai pensano non conta assolutamente nulla, è quando lotta che la classe operaia mostra i suoi caratteri migliori, è lì che diventa collettivo, gli operai si aiutano l'uno con l'altro, non hanno paura della polizia…
Il lavoro di Marx serve a questo, a far sì che la classe operaia lotti. E poi? Per fare che cosa?
Dice Lenin: Marx ed Engels educarono la classe operaia a conoscere sé stessa, a prendere coscienza di sé stessa, e alle chimere sostituirono la scienza. È questo il punto. Marx guida un grandioso processo di coscienza di sé della classe. Non impone niente ma dice alla classe di capire la sua vita, le ragioni per cui vive in quelle condizioni, il perché delle cose, che cosa si cela dietro l'apparenza della società; dietro questa apparenza si cela una sostanza, e Marx restituisce agli operai questa sostanza affinché gli operai se ne approprino.
Un operaio che capisce chi è, che lui produce tutto ma fa una vita di sofferenze, che tutto ciò che c’è nel mondo, le cose grosse e piccole, dagli oggetti di lusso ai coltelli da cucina sono prodotti da una classe che non ha né niente per sé, allora diventa una forza materiale, la teoria si impadronisce della classe operaia e diventa una forza materiale.
La teoria della classe operaia è una forza materiale, non è uno studio per diventare chissà quali intellettuali e saper spiegare le crisi. Certo, noi spieghiamo le crisi ma per combattere chi dice che la crisi dipende da quel tal finanziere che si è giocato tutto in borsa. La teoria della crisi consegnata nelle mani della classe operaia è la teoria della rabbia, perché nella crisi i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, è la “ribellione” la teoria della crisi.
Marx a questo lavora. Spiega il valore d'uso e valore di scambio perché questo serve a capire che ti stanno fregando, che tu ogni giorno vai a lavorare e produci contemporaneamente, dice Marx, la ricchezza e la miseria: la ricchezza loro e la miseria tua!
Marx permette di avere strumenti irriducibile che nessuno può smontare, nessun professore che ti dica “sì, ma devi tener conto delle compatibilità, l'Europa, il welfare-State e così via... Marx cancella tutta questo fango e consegna agli operai l'arma della critica.
Ma arrivati a questo punto dice Marx: bene! finalmente l'hai capito, ma ti dico, con la stessa sincerità, che non serve la sola critica, che se non trasformi l’arma della critica in critica delle armi, tu non riuscirai neanche a dare una risposta alla tua rabbia, alla tua ribellione, non ce la fai a cambiare le cose, non cambi la situazione immediata né cambi quella futura.
Quindi quando Engels dice che Marx è un rivoluzionario non vuol dire che è un attivista militante esattamente come gli altri. È qualcosa di molto di più. Marx utilizza tutto l'insieme delle armi della filosofia, della scienza, dell'economia, della fisica per armare una classe e renderla capace di emanciparsi, perché l'emancipazione della classe operaia o è realizzata dalla classe operaia stessa o non c'è nessuno che gliela regala. I comunisti sono tali quando capiscono questa verità.
Ma i comunisti sono a volte brutte persone, per uno che riesce bene dieci riescono male, perché seguono un processo completamente opposto a quello di Marx. Marx studia e restituisce. Il comunista fasullo, invece, prende dai lavoratori e si crede lui il soggetto. “Potere al Popolo” è: il popolo che lotta ma io che sono il capo politico. Questo è il falso comunista.
Tutto il lavoro scientifico di Marx è volto a demolire i falsi comunisti, già nella sua epoca. Nel Manifesto del Partito Comunista c'è un intero capitolo dedicato a socialisti e comunisti, per criticarli, per mostrare che tutte quelle idee, primo, con lui non hanno niente a che fare e ancor meno hanno a che fare con la classe operaia, secondo, che la classe operaia deve prendere nelle sue mani la lotta, non consegnarla a dei politicanti, né consegnarla ai “rossi” o ai “verdi”.
Il partito della classe operaia è il suo reparto d’avanguardia.
Certo, l’avanguardia della classe operaia è sempre una fusione di operai, che attraverso la lotta e l'organizzazione hanno capito qualcosa, e degli intellettuali che hanno tradito la loro classe.
Ma questi intellettuali che tradiscono la loro classe ripetutamente la società li sforna. Il '68 lo ha ampiamente dimostrato. Tanti studenti scelgono la rivoluzione, partecipano e sentono il vento dell'est, la rivoluzione culturale cinese, entrano in contatto con compagni che già erano comunisti; movimenti collettivi e casualità personali creano una generazione di intellettuali, di studenti rivoluzionari pronti a seguire la strada di Marx, che poi è la strada di Lenin, la strada di Mao. Però la chiave di volta è che poi questi studenti rivoluzionari si incontrano con la classe operaia, si mettono al suo servizio, non solo per portare i volantini davanti la fabbrica, ma per aiutare realmente gli operai a crescere, a capire che dovevano fare molto di più di quello che facevano. E lo hanno fatto. Per questo in Italia c’è stato l’”autunno caldo”, ci sono stati anni meravigliosi, in cui poi erano gli operai che entravano nelle scuole a spiegare la lotta di classe agli studenti; allora in tutti i campi si è visto che era possibile fare cose che prima non si facevano, che era possibile trasformare le università da luoghi di baronie e nozioni astratte in luoghi dove si studiava la società, il marxismo, le rivoluzioni, si mettevano in discussioni pensieri fino ad allora considerati "dogmi", per esempio sulla psichiatria, cos'è la medicina, ecc.
In questo senso tanti potenziali teorici marxisti possono essere generati dalla società divisa in classi e dalla sua fase imperialistico-parassitaria. Ma poi a un certo punto o incontri la classe operaia o riesci realmente a costruire quel movimento reale che aiuta la classe operaia a farsi marxista, e allora il tuo lavoro serve, altrimenti il tuo lavoro non serve, e quando non serve è dannoso, perché nella lotta di classe non c'è la possibilità di stare a mezzo servizio, tutti coloro che si mettono a mezzo servizio tra classe operaia e borghesia dopo un po' vanno con la borghesia.
In questo senso riprendere nelle mani l'opera gigantesca di Marx è innanzitutto per capire da dove si viene, che cosa si è, a che cosa si deve servire.
Questo è il problema che anche Marx si ritrova. Dopo che è riuscito a imporre nella Lega dei Giusti e successivamente nella Prima Internazionale che c'è una sola scienza della classe operaia, che è quella da lui elaborata, e che tutto il resto sono favole, lui stesso scioglie la Prima Internazionale perché, dice, a che serve? Noi dobbiamo andare tra i proletari. Ora o questa scienza va nelle mani degli operai o siamo sempre allo stesso punto. Qui il ruolo di Engels sarà decisivo.
Perché Engels è gigantesco nel suo lavoro di divulgazione di Marx. Morto Marx, a Engels resta il compito di diffondere il marxismo. E lo fa davvero bene, e dopo la morte di Marx e lo scioglimento della Prima Internazionale si assiste alla nascita dei partiti marxisti in tutto il mondo.
La seconda Internazionale dimostra come il marxismo sia diventato ormai un fenomeno mondiale. Il riferimento alle teorie di Marx è diventato universale per tutti coloro che si definiscono comunisti e tutti coloro che si sentono dalla parte della classe operaia. Il ruolo di Engels nella diffusione del pensiero di Marx è straordinario. Anche Marx sapeva benissimo che non basta il pensiero individuale, se poi non hai chi pubblica i libri, chi ne organizza la diffusione, chi intorno a questo costruisce contatti, legami. Perché il comunismo e il marxismo sono forza materiale solo se vengono consegnati nelle mani dei soggetti adatti a farne forza materiale.
In questa battaglia la lotta comincia sempre da zero, perché non tutti coloro che si riferiscono al marxismo, per questo solo fatto, sono buoni e tutti quelli che invece non si riferiscono al marxismo sono cattivi. La loro posizione non è una cosa data una una volta per tutte. È inoltre naturale che ognuno adatti il marxismo alla propria classe sociale, al suo modo di pensare che in qualche modo ha già. Per questo è evidente che in seno a ciò che si chiama marxismo si inseriscono tutta una serie di idee che in realtà non sono marxiste, non sono comuniste e che quindi per poter far avanzare la scienza del marxismo bisogna fare piazza pulita all'interno, come Marx ha fatto.
Per tutta la vita Marx fa piazza pulita, prima in Germania con la sinistra hegeliana, poi nella Lega dei Giusti, poi nell'Internazionale, quest’uomo si è sempre arrabbiato con tutti. Ogni volta, dopo ogni intervento, diceva: “Alt! Che stai dicendo? La proprietà è un furto? Non basta! La proprietà si è trasformata: dalla proprietà degli schiavi, alla proprietà feudale, e così via”...
Quando si dice che il marxismo è un patrimonio completo non significa che Marx ha detto già tutto. Alcuni dicono, per esempio su internet Marx non poteva dire nulla. Per rispondere qui diamo la parola a un filosofo francese che si chiama Alain Badiou, un filosofo degli anni 70 che ha partecipato all'attività dei maoisti. Intervistato recentemente dal Corriere della Sera per un libro a più voci a scopo demolitorio di Marx, si picca di rispondere colpo su colpo e su alcune cose le sue risposte sono assolutamente felici. Su Internet, su Facebook, dice: secondo voi, Mark Zuckerberg e un utente che clicca sono la stessa cosa? Sono uguali? Come si può pensare che uno strumento come Internet sia ugualitario o democratico se in esso ci sono i ricchi e i poveri, quelli che hanno tutto e quelli che non hanno niente? A un'altra domanda sulla classe operaia che ormai non ci sarebbe più, Badiou risponde: si tratta evidentemente di una sciocchezza, ma una sciocchezza che è diventata una verità diffusa che tutti ripetono. Negli anni 70 non era diverso, allora della classe operaia si diceva o che era una massa di stupidi o di integrati, che la mattina si alzano, vanno al lavoro, finito di lavorare vanno a fare la spesa, poi tornano a casa e guardano la TV... Ci dicevano che questa classe è ormai integrata, non pensa alla rivoluzione, o che non conta nulla, non esiste. Poi, però, guarda caso, ogni volta che c’è uno sciopero, si fanno leggi speciali anti-sciopero. Perché, se sono una massa di ignoranti che non vedono l’ora di mettersi davanti a un televisore, ci si preoccupa se fanno sciopero?
Ancora l’intervistatore chiede: “Gli spettacolari progressi tecnologici che Marx non poteva prevedere nei termini che non conosciamo mettono in discussione le sue teorie? La proprietà dei mezzi di produzione è una questione sempre attuale? Stiamo assistendo alla diffusione su larga scala di robot e in prospettiva si parla della possibile fine del lavoro, come giudica questi fenomeni? Può esistere un marxismo senza lavoro?”. “Per prima cosa – risponde Badiou - non credo affatto che i progressi tecnologici che incantano oggi il capitalismo contemporaneo siano qualitativamente più importanti di quelli di cui Marx e i suoi successori immediati erano testimoni, le macchine tessili, la ferrovia, i cannoni, gli aerei, la radio… Tutto questo in diversi paesi sconvolse da cima a fondo la società. E bisogna vedere con quale slancio e quale convinzione Marx a partire dal 47 saluta questo "cataclisma". Marx ha ben chiaro che il capitalismo ha bisogno di rivoluzionare continuamente i suoi mezzi di produzione perché deve estrarre il maggior tasso di plusvalore dal lavoro degli operai. Quindi in nessuna maniera Marx si immagina qualcosa che non sia un continuo sviluppo tecnologico. Anzi, proprio perché se l'immagina come un continuo sviluppo tecnologico, dice “il gioco è fatto!”, che ci vuole a mettere tutti i nuovi sviluppi tecnologici al servizio dell'uomo e non contro l’uomo, a farne non delle armi contro di esso ma delle armi per il benessere e crescita sociale e di risoluzione tutti i problemi della società. Questo lo dice Marx ai suoi tempi, quando questo processo era abbastanza difficile da immaginare che potesse andare realmente così.
Continua Badiou: “Quanto alla proprietà privata dei mezzi di produzione, la situazione è più mostruosa che mai. Oggi all'incirca un centinaio di persone possiedono tanto quanto 3 miliardi di uomini e donne. I grandi protagonisti della modernità tecnologica come, Google e Facebook, sono società i cui azionisti principali compongono una minuscola oligarchia di proprietà e questa sbalorditiva concentrazione di patrimoni produttivi non fa che aggravarsi a ritmo sostenuto dopo la crisi del 2008, in conformità a una delle leggi principali del marxismo, ovvero la legge della concentrazione del capitale. Oggi ogni politica che non metta all'ordine del giorno prima di tutto la questione dello smantellamento della proprietà privata delle grandi concentrazioni produttive è una politica di collaborazione. Una politica ingenua ed errata o corrotta. Quanto alle masse popolari, si parla talvolta in Francia di fine degli operai di una generalizzazione della classe media e anche in effetti di fine del lavoro, grazie ai robot. Se ne parla, a dire il vero, da sempre. Gli operai inglesi di inizio Ottocento rompevano le macchine tessili perché pensavano da portassero alla fine del loro lavoro. Sappiamo che era una visione a breve termine. L'idea della fine del lavoro è una favola alla quale possono credere solo coloro i quali, come noi, vivono in una delle piccole zone privilegiate e largamente deindustrializzate che la dominazione del capitale finanziario genera nel mondo. Oggi più ancora che al tempo di Marx la realtà economica e politica deve essere vista pensata su scala mondiale. Diventa chiaro, allora, che al mondo non ci sono mai stati tanti operai quante ce ne sono ora. Rappresentano in effetti circa la metà della popolazione mondiale. E questo non è mai accaduto prima. È vero che quasi la metà di questo formidabile continente operaio lavora in Cina o in India.
La questione se il marxismo possa esistere senza lavoro è veramente bizzarra. È certo che la previsione marxista del Comunismo indica una radicale diminuzione del tempo di lavoro, ma è il capitalismo che non può vivere senza il lavoro, perché il profitto risiede nell'estrazione del plusvalore dal lavoro operaio. Come spiegare, altrimenti, che i poteri si accaniscono ovunque a mantenere una durata del lavoro che in Cina può raggiungere le 12 ore al giorno, mentre nel mondo ci sono 3 miliardi di persone che cercano disperatamente di lavorare per sopravvivere? Una riduzione generalizzata del lavoro a 20 ore settimanali nel mondo intero darebbe un'occupazione alla totalità della popolazione. Perché è impossibile? Evidentemente perché oggi una durata del lavoro a 20 ore settimanali ridurrebbe il plusvalore a ciò che è necessario per gli investimenti produttivi e non lascerebbe nulla al puro profitto degli azionisti. La conclusione è chiara: solo con una politica illuminata dal marxismo e reinventando il comunismo è possibile immaginare una società dove il peso del lavoro puramente produttivo sia limitato. Il capitalismo, visto su scala mondiale, oggi è chiaramente parassitario e irrazionale”.
Questa risposta di Badiou avrebbe fatto piacere a Marx, perché questo è il problema.
Allora, come si può pensare che senza il marxismo si possa avere una visione del mondo alternativa, che senza la classe sociale che in qualche maniera produce tutto e liberando se stessa libera l’intera umanità, noi possiamo avere una società alternativa?
La società alternativa non è l'isola felice, un atollo delle Maldive dove andare tutti a vivere. È la trasformazione delle città in cui viviamo, la trasformazione dell'Italia. Queste trasformazioni sono possibili solo con l’arma del marxismo. Si comprendono solo se usi il marxismo come arma vera, come un piccone, allora puoi cambiare questa società.
I 200 anni trascorsi dalla nascita di Marx ci dicono che questa scienza, teoria, politica, prassi di Marx sono l'indicazione strategica di cui noi abbiamo bisogno.
L'unica questione di cui dobbiamo essere consapevoli è che noi dobbiamo diventare i vettori di questa trasformazione e i vettori di questa arma strategica. E questo, invece, non lo siamo a sufficienza.
I comunisti sono spesso parte del problema, invece che parte della soluzione. Questo è il nostro problema, un problema tutto nostro. La generazione operaia deve riscoprire Marx. La riscoperta che ne fa la borghesia ci aiuta sotto questo punto di vista. Ma il nostro problema è la riscoperta di Marx da parte della classe operaia.
Questo non lo può fare la borghesia. La borghesia ha creato i suoi becchini ma è ben attrezzata per impedirgli di agire. È disposta a pagare qualsiasi prezzo di barbarie, di massacri perché questo non avvenga. Quindi, la riscoperta di Max da parte dei comunisti è il nostro problema. Una riscoperta di Marx che diventi riscoperta della classe operaia, di una generazione di classe operaia che non nasce imparata e pur avendolo nel DNA della sua condizione sociale economica non ha nel cervello il tasto dell'”intelligenza artificiale” che è il marxismo. “Intelligenza artificiale” è una parola che Marx avrebbe usato perché in un altro testo Marx dice che lo sfruttamento degli schiavi è “naturale”, lo sfruttamento degli operai è “artificiale”. Nel senso che illegittimo è ingiusto, è contro-natura rispetto alle esigenze della società, che dovrebbe fare del lavoro l’arma dello sviluppo, della ricchezza, per ridurre il peso del lavoro.
Ed è ancora Marx che ci ha spiegato dove è celata questa che è una maledizione. Negli scritti della fase giovanile di Marx, quelli che poi porteranno al prodotto finito che si chiama Il Manifesto del Partito Comunista e al resto del suo lavoro, Marx dice: poiché tutto si trasforma in merce, si ha con ciò la svalutazione del mondo degli uomini. Il lavoratore si trova alienato quattro volte. È alienato dal prodotto: il prodotto dell'operaio diventa potenza estranea opprimente, tale da creare il cretinismo di mestiere, l’abbruttimento dell'operaio, il cretinismo di mestieri che è quello che gli fa credere che siccome lui produce quel prodotto è quello il suo valore. È alienato dallo scopo: il lavoro è imposto, l'operaio ne è subalterno, l'operaio si realizza solo nel riprodursi - ma questo, se a qualcosa somiglia, è alla condizione delle bestie. È alienato dalla natura: il lavoro trasforma la natura ma l’operaio non ne è padrone e quindi non entra in rapporto cosciente con la trasformazione della natura - e questa è la base per cui il lavoro in mano al capitalista distrugge la natura, il lavoro trasforma la natura ma l'operaio non ne è padrone, non entra in rapporto cosciente con la trasformazione della natura, essa gli appare esterna e la trasformazione della natura non lo riguarda, se non in quanto sfruttato e vittima della devastazione della natura, l'operaio disumanizzato non misura la sua funzione verso la natura. È alienato dalla società: un altro uomo, estraneo all'operaio è padrone del lavoro, l’operaio è costretto a vedere nell'altro per cui lavora un nemico. L'operaio ridotto a forza lavoro nella produzione fine a se stessa non produce per gli effettivi bisogni sociali delle masse e quindi la stessa produzione non è quella che gli serve, perché non è proprietario del lavoro che fa.
Questa quadruplice alienazione svela l'arcano del perché tutta questa società si regge sulla classe operaia. Ma si regge sul connubio tra classe operaia che regge la società e la sua falsa coscienza. E l'intreccio tra falsa coscienza e sfruttamento del lavoro trasforma il lavoro in una maledizione, in un’aspirazione per chi non ce l'ha e una maledizione per chi ce l'ha perché lo incatena, invece che lavoro liberato, il lavoro diventa catene. E abbiamo l'assurdo per cui metà della popolazione non vede l'ora di incatenarsi al lavoro perché altrimenti muore di fame e l’altra metà che lavora è così incatenata da quel lavoro che non può vivere, e nella fase imperialista di putrefazione del capitalismo non solo non può vivere ma ne fa fattore di morte.
In questo contesto, come facciamo ad avanzare senza l'uso di Marx, senza che partecipiamo in prima persona non all'acculturamento, ma all’autocoscienza dei lavoratori? E Marx ci ha insegnato in altri testi che non è una coscienza individuale, non è una seduta psicanalitica a cui l'operaio si deve sottoporre, è una lotta di classe, una partecipazione alla lotta di classe. Senza la partecipazione alla lotta di classe gli operai non possono crescere nella coscienza. Partecipando alla lotta di classe, l’operaio non va preso come individuo ma come soggetto collettivo di una lotta di classe e solo in quella veste assume la funzione storica che Marx gli attribuisce e che pone in termini definitivi nell’ultima frase del Manifesto: “I proletari non hanno da perdere che le loro catene. Hnno un mondo da conquistare!”
Quando Marx dice questo sa bene che è la chiave di volta del suo lavoro. Dalle doglie di questa società in agonia nasce una società capace di vincere la morte sociale, la morte di un sistema di produzione che non riesce a cambiare le cose non solo per la classe operaia ma per ogni singolo membro di questa classe e non solo di questa classe ma di tutte quelle classi al di fuori delle famose 100 persone che hanno in mano tutto.
Quindi, è importante che noi non vediamo questo duecentesimo anniversario come solo una celebrazione. Se noi oggi non riusciamo a riprendere in mano Marx, a riscoprirlo noi e a farlo scoprire alla classe, non abbiamo niente da celebrare. Le nostre celebrazioni, anche quando sono fatte con le bandiere le facce sorridenti, rischiano di essere solo cerimonie "funebri".
Noi dobbiamo essere in grado di dire che il tempo è ora!
Noi questi 200 anni da Marx ce li dobbiamo sentire tutti sulle nostre spalle, nella loro ricchezza ma anche nella loro possibilità di fare veramente quel salto di qualità di cui come comunisti, come lavoratori, come proletari, come mondo, abbiamo bisogno. Perché se nò dove andiamo a finire? All'orizzonte c’è una terza guerra mondiale, la barbarie della devastazione ambientale, il degrado della politica.
Quindi, noi dobbiamo riappropriarci di Marx perché dobbiamo aiutare la classe operaia a riscoprirlo e a farne lo strumento della propria coscienza. Quando noi riusciremo a raggiungere dei risultati seri su questo, che non sono un operaio che fa il compagno ma un settore di classe che conquistiamo fabbrica per fabbrica, posto di lavoro per posto di lavoro, ebbene allora il messaggio di Marx sarà un’arma contundente.
Marx nel Manifesto dice: si tratta certamente del missile più tremendo che sia mai stato scagliato in testa ai borghesi.
Se noi riusciamo a fare questi passi, noi abbiamo armi invincibili. Ci sono le condizioni per rendere le nostre frasi retoriche una realtà effettiva. Realtà per la quale valga la pena vivere. Perché una vita da rivoluzionario, una vita dei comunisti, una vita da proletari in lotta non è e non deve essere soltanto sacrificio e repressione, deve avere la soddisfazione, l'orgoglio di sentirsi parte di un movimento che sta cambiando realmente la società.
Ecco, se ci rendiamo conto che questo stiamo facendo, che questo dobbiamo fare, che questo è possibile, allora realmente Max è vivo!
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