Si chiederanno almeno 12 mesi per effettuare i lavori di ammodernamento richiesti sull'impianto teatro dell'incidente mortale del 2015

Sarà depositata quest’oggi presso il tribunale di Taranto, la nuova istanza contenente una richiesta di proroga del termine del 13 dicembre fissato dal Tribunale del Riesame, per la realizzazione
dei lavori previsti all’Altoforno 2 indicate nelle prescrizioni disposte dal custode giudiziario Barbara Valenzano, sottoposto a sequestro giudiziario ma con facoltà d’uso, dopo l’incidente del giugno 2015 in cui morì l’operaio Alessandro Morricella. Gli stessi commissari, Francesco Ardito, Alessandro Danovi e Antonio Lupo, lo annunciarono nell’incontro avuto il 7 novembre in Procura con il procuratore di Taranto, Carlo Maria Capristo, che hanno incontrato anche lo scorso 21 novembre.
La proroga, secondo le nostre fonti, dovrebbe riguardare un arco temporale tra i 12 e i 14 mesi.
Secondo la tesi dei commissari, la stessa sarebbe indispensabile per consentire di completare gli adeguamenti legati alla sicurezza dell’impianto ed evitarne così lo spegnimento che, altrimenti, dovrebbe essere avviato definitivamente dopo il termine indicato dal tribunale del Riesame, il 13 dicembre.
Secondo i commissari straordinari infatti, il Riesame nell’indicare i 90 giorni per effettuare gli interventi, si sarebbe rifatto alle tempistiche previste dalla prescrizioni originarie del 2015. Ed inoltre le stesse sarebbero state indicate nonostante Ilva in AS non abbia presentato le motivazioni tecniche relative alle tempistiche previste per i lavori da effettuare.
I lavori prevedono, lo ricordiamo, l’installazione, su ciascuno dei due campi di colata dell’altofomo, di sei macchine, per un costo totale di circa 10 milioni di euro che dovrà effetture Ilva in Amministrazione Straordinaria.
Si tratta di due macchine a tappare (il cui costo complessivo ammonta a 1,5-2 milioni di euro la cui commessa per la Paul Wurth sarebbe già pronta), due macchine a forare. Per la prima, che è quella richiesta nelle prescrizioni dal custode giudiziario Barbara Valenzano, si stimano almeno 6 mesi per l’installazione. E’ un dispositivo che serve achiudere il foro da cui si preleva la ghisa per misurarne la temperatura. Per l’installazione delle due macchine a forare invece, si stimano tempi più lungi, tra i 7 e gli 8 mesi.
Per questo Ilva in AS sostiene che lavori di ammodernamento di questo tipo non possono avvenire nell’arco di 90 giorni.
Ricordiamo, che sulla vicenda dell’incidente è iniziato il processo lo scorso ottobre, e che soprattutto ancora oggi non è chiara la dinamica di quanto avvenne quell’8 giugno del 2015. I commissari straordinari di Ilva, coadiuvati anche dalle relazioni della Paul Wurth (azienda peraltro incaricata di stilare il programma di fermata e spegnimento) e dal prof. Carlo Mapelli, hanno sempre sostenuto che l’incidente non fu causato da un mal funzionamento dell’impianto (come invece sostiene la Procura e il custode giudiziario Valenzano), ma da un’operazione probabilmente usuale ma al di fuori del protocollo aziendale, che causò il tragico evento.
Tra l’altro, nell’analisi di rischio presentata dai commissari lo scorso 13 novembre, vi è scritto che “la possibilità che si verifichi nuovamente un incidente come in cui perse la vita Alessandro Morricella è pari a 1 su 100 milioni“. Un faldone di oltre 2500 pagine di documenti (stato dell’impianto, i processi di funzionamento, modalità gestionali e procedure operative) che l’avvocato Angelo Loreto ha depositato nella cancelleria del giudice Francesco Maccagnano per conto dei commissari straordinari.
Del resto, la tesi che l’altoforno 2 sia pericoloso mentre afo 1 e afo 4 no pur funzionando alla stessa maniera, come abbiamo sempre evidenziato regge poco. Ed è evidente che tra il 2015, anno dell’incidente e delle prescrizioni, e il 2018, anno della verifica del custode giudiziario e gennaio-giugno 2019 (il periodo intercorso tra la richiesta di dissequestro da parte dei commissari e il rifiuto del gup Carriere che portò il pm De Luca a dichiarare lo stop alla facoltà d’uso dell’altoforno), più di qualcosa non ha funzionato. Ed è quindi altrettanto evidente che ArcelorMittal abbia avuto gioco facile nell’inserire la questione all’interno dei motivi che hanno portato la multinazionale a richiedere il recesso del contratto d’affitto dei rami d’azienda del gruppo Ilva.
Adesso non resta che attendere il deposito dell’istanza di proroga da parte dei commissari e la decisione del giudice Maccagnano e della Procura. Sapendo che in caso di mancato accoglimento i commissari hanno già dichiarato che ricorerranno nuovamente al Riesame.