Oltre che l’occasione per rivedere il bel film documentario di
Jérôme Fritel, la proiezione di “Mittal, il volto oscuro
dell’impero” di giovedì scorso all’Auditorium Tarentum ci ha
dato l’opportunità di assistere a un interessante dibattito.
Forse con la
sorpresa di qualcuno degli organizzatori, una riflessione critica
sulla posizione di chiusura della fabbrica senza se e senza ma
dell’ambientalismo piccolo borghese tarantino è venuta proprio
dall’ospite che gli organizzatori avevano invitato, l’ex operaio,
sindacalista ed europarlamentare Édouard Martin.
Riportiamo alcuni
stralci delle sue risposte durante il dibattito a fine proiezione.
“Non sono qui
per dire a voi per quale futuro lottare. Questa e una cosa che dovete
decidere discutendo tra voi nella vostra comunità. Ma voglio
chiarire che il senso del film, e la posizione mia personale, non è
contro l’industria. Anzi, io personalmente credo occorre difendere
l’industria, non così com’è, ma un’industria rispettosa
dell’ambiente del diritto alla salute di chi vi lavora e vive
vicino. Ho proposto anche al Parlamento Europeo una dichiarazione di
principio in questo senso, ma tutti i gruppi e i capi di governo
eurpei, hanno voltato lo sguardo dall’altra parte.
Nella mia
regione, la Lorraine, negli anni 60 e 70 c’erano 100.000 a lavorare
nel settore siderurgico. Oggi, alla fine della storia che il film
racconta, sono rimasti 5000 e questo ha significato la devastazione
economica e sociale della regione. Diversa è invece l’esperienza
del bacino della Saar, regione vicina alla mia, appena oltre il
confine con la Germania, dove grazie a un diverso assetto proprietario
degli impianti, in mano a delle fondazioni in parte pubbliche, i
grandi profitti fatti negli anni di espansioni non sono andati a
ingrossare i dividendi degli azionisti ma sono stati investiti in
manutenzione, innovazione tecnologica e ambientalizzazione e oggi
quella regione e quelle industrie sono ancora economicamente vive e
vitali….”
[Replicando a chi
aveva commentato il film come “uno sprono per noi a liberarci di
Mittal, della fabbrica che soffoca il futuro della città, impresa
non facile, ma dobbiamo provarci”]
“Né io né
nessuno può prevedere con certezza se davvero Mittal abbandonerà
Taranto. Quello che so, e che il film ha ben documentato, è che
Mittal è un predatore, pronto a approfittare di ogni occasione e a
prendere ogni decisione gli procuri profitti ingenti e immediati,
senza preoccuparsi troppo del futuro lungo termine delle sue stesse
aziende né tanto meno delle conseguenze per chi lavora nelle sue
fabbriche e le loro comunità. In questo senso so che Mittal è
prontissimo ad abbandonare lo stabilimento al suo destino se non
otterrà quello che chiede e che ritiene possa dargli profitti
ingenti. Badate bene: profitti ingenti e immediati. A Mittal non
interessa semplicemente fare profitti, è un predatore che pretende
profitti ingenti e immediati, altrimenti molla la preda e va a caccia
di un’altra. Se proprio dovessi fare una previsione, temo che alla
fine il governo italiano, come tutti gli altri prima di lui in
Europa, farà di tutto per accontentare Mittal...”
[In
risposta a chi gli aveva chiesto come secondo lui sarebbe andata a
finire l’attuale controversia col governo italiano.]
“Attenzione!
Riconversione e reindustrializzazione non sono cose facili e
scontate, una volta chiusi gli impianti. Occorrono progetti
accurati, lavori prolungati di anni se non decenni e investenti
giganteschi. Se prima non è ben chiaro e stabilito chi e come decide
i progetti, chi e come li realizza e soprattutto chi e come li
finanzia, le chiusure delle fabbriche non aprono magicamente un
futuro diverso ma provocano quello che è successo nella mia città,
dove la fabbrica, chiusa, è ancora lì, tale e quale a prima,
l’ambiente è devastato come prima e non c’è stata alcuna
bonifica né creazione di nuovo lavoro. Solo la lotta di tutta una
comunità può impedire un esito di questo tipo, se si lascia
decidere alla trattativa tra capitalisti e governi, va a finire come
il film racconta.”
[Rispondendo
a chi citava non meglio precisati “studi della stessa Confindustria
sulla reindustrializzazione” secondo cui “per ogni miliardo speso
in reindustralizzazione si generano 500 milioni di ritorno fiscale
per lo Stato, e 2 miliardi di ricavi, con un numero di nuovi posti di
lavoro corrispondente a queste cifre".]
Infine,
a chi gli ha domandato: “Come mai hai fiducia nello Stato in caso
di nazionalizzazione, come nel caso della Saar, ma non in caso di
bonifica e riconversione?”, ha risposto:
“Mai parlato di
fiducia nello Stato o tanto meno nei governi. Mi fido dello Stato
solo se lo Stato siete voi, siamo noi, le comunità. Solo le comunità
unite e combattive possono scrivere una pagina diversa per il loro
futuro”
Una
comunità unita e combattiva - aggiungiamo noi - che deve avere gli
operai protagonisti, non denigrarli e accusarli di pensare solo a sé
se difendono il loro lavoro. I lavoratori sono il primo nemico e
bersaglio dei piani di Mittal e governi e, se uniti e coscienti e
determinati, liberati dall’influenza degli ingannapopolo e dal sindacalismo aziendalista, sono l’unica forza che può batterli. Chi non lotta e lavora per questo,
nei fatti fa il gioco di Mittal e governi, non quello della città.
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