All’inizio della prossima settimana si incontreranno di nuovo il governo e Mittal.
Ora anche la stampa dei padroni - Sole 24 Ore - dice che bisogna concludere: "Il tatticismo è finora appartenuto sia al Governo sia alla famiglia Mittal e alla sua collaboratrice italiana, Lucia Morselli. Sul piano industriale dell’Ilva non si scherza più. Le due controparti devono mettersi al lavoro: per sciogliere i nodi trovando una soluzione oppure per dirsi definitivamente addio lasciando la parola soltanto agli avvocati e ai giudici, alle (certe) cause milionarie e ai (possibili) avvisi di garanzia".
E la prima cosa su cui "non si scherza" sarà naturalmente il numero di lavoratori da cacciare.
Scrive, infatti il giornale: "Il punto di partenza è l’accordo firmato da azienda e sindacati il 6 settembre 2018: ai 10.777 addetti oggi in capo ad AM Investco, andranno aggiunti, nell’agosto del 2023, i 1.912 occupati adesso in amministrazione straordinaria. In tutto fanno 12.689 persone. Un numero insostenibile per l’azienda, che ne vuole eliminare 5mila. Eliminare, appunto: questi occupati devono essere fuori dal perimetro. Le buste paga vanno cancellate".
Certo il governo si trova in una posizione imbarazzante (soprattutto dopo lo show di Conte a Taranto), ma qualsiasi soluzione in campo per gli operai vorrà dire tagli ai posti di lavoro.
Scrive sempre il giornale: "Le soluzioni: la cancellazione dell’obbligo di assunzione degli addetti ora in amministrazione straordinaria? La costituzione di una bad company, in cui fare confluire gli esuberi cronicizzando la cassintegrazione?".
Mentre per quanto riguarda le soluzioni tecniche si comincia a parlare di una "Mini Ilva", "ci sono due
opzioni: l’ossatura siderurgica formata da tre altoforni più piccoli
(1,2 e 4 sono a fine vita, ma hanno ancora davanti fra i 5 e gli 8 anni)
oppure da uno più grande (il mastodontico Afo 5, anche se ci vorranno
ancora due anni per sistemarlo). A questo, il Governo vorrebbe
aggiungere un forno elettrico, che si potrebbe alimentare con il rottame
oppure con il preridotto" MA: "il forno elettrico
non appartiene per nulla alla cultura industriale di ArcelorMittal,
almeno negli impianti in Europa. Un forno elettrico si progetta,
realizza e installa in due anni. Un forno elettrico può costare fra i
200 e i 300 milioni di euro..."
In tutto questo i sindacati confederali sono al palo. "Nessuno - scrive Sole 24 Ore - ha finora coinvolto i sindacati, che rischiano di trovarsi di fronte a un dilemma: accettare o non accettare una soluzione prefabbricata e predeterminata da altri".
I sindacati si sono messi loro nella condizione di non contare - e come lo potrebbero quando da un lato si fa dello osceno aziendalismo in aiuto a Mittal (vedi in particolare la Cisl) e dall'altro non indicono neanche mezza mobilitazione dei lavoratori? e l'"andata a Roma" e "futuro sciopero generale" sono pietose bugie, rinviate sine die, con cui tentano di tenere in attesa gli operai.
Alla fine della storia, come è stato per il famigerato accordo del 6 settembre 2018, accetteranno gli esuberi, al massimo contrattando qualche numero più basso, ma comunque quello che serve alla Mittal per scaricare sui lavoratori la crisi, e per fare una produzione di poco più di 4 milioni di tonnellate - "per 6 milioni - scrive il Sole 24 Ore - basterebbero sempre ottimisticamente, 7.500"
Questi sindacati che dall'inizio di questa vicenda hanno giocato di rimessa e non hanno mai portato sui Tavoli loro proposte, anche in questa fase non portano alcuna piattaforma reale, neanche quelle misure (prepensionamento per l'amianto, pensione a 25 anni nella siderurgia, ecc.) che dovrebbero essere scontate in una fabbrica come l'Ilva e per rispondere agli "esuberi".
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