Ilva, l’altoforno 2
riparte il 4 novembre
ma si ferma il tubificio
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di Fulvio Colucci
TARANTO - All’Ilva torna l’«altalena» di aperture e chiusure di impianti imposta dalla crisi e dalla ristrutturazione.
Il 4 novembre ripartirà l’altoforno numero 2, chiuso in estate per 90 giorni. Lo stop era imposto dal programma di lavori previsti dall’Autorizzazione integrata ambientale (Aia). Domani è in agenda un incontro fra la direzione aziendale e le segreterie sindacali di Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm.
L’Ilva riferirà sullo stato delle opere di risanamento. La ripartenza dell’impianto fa pensare al completamento. Non si trattava di interventi tecnici radicali, come quelli previsti all’altoforno numero 1 (chiuso da gennaio) e all’altoforno numero 5 (che dovrebbe fermarsi a settembre del prossimo anno, con lo slittamento della data inizialmente fissata a giugno).
Per un impianto che riparte, con un centinaio di lavoratori di nuovo in fabbrica dai primi giorni di novembre, un altro chiude per un mese. È il tubificio numero 1. Oggi azienda e sindacati si confronteranno sulla nuova emergenza. Dal punto di vista occupazionale le conseguenze dovrebbero essere attutite: «Del centinaio di lavoratori interessati, una ventina sarà destinato al contratto di solidarietà - spiega il segretario generale della Uilm Antonio Talò - per il resto si penserà a una ricollocazione».
Se si pensa che circolano voci insistenti di una prossima chiusura del treno nastri 1, il reparto dell’«area a freddo», che vanta un vero e proprio record di inattività (e di cassa integrazione) dall’inizio della «grande crisi» dell’acciaio nel 2008, il quadro delle difficoltà attraversate dal siderurgico è completo. «Ecco perché - sottolinea Talò - di fronte agli alti e bassi della crisi del mercato dell’acciaio bisognerà aspetta il piano industriale, probabilmente a dicembre, per capire il commissario Enrico Bondi che Ilva ha in mente. Io non faccio più previsioni perché tutto può accadere e temo sorprese. E anche solo restando al dato certo offertoci dalla dirigenza, i 500 esuberi di cui parlano e che il piano industriale dovrebbe mettere nero su bianco, mi preoccupo. Dove ricollocarli? Si dice nell’”area a freddo”. Sì, ma dove visto la crisi che coinvolge duramente anche qui reparti. L’Ilva, nel piano industriale, dovrebbe proporre qualcosa di diverso per ricollocare davvero chi resterà senza lavoro, penso a nuovi impianti. Altrimenti sarà difficile dare occupazione a chi la perderà».
TARANTO - All’Ilva torna l’«altalena» di aperture e chiusure di impianti imposta dalla crisi e dalla ristrutturazione.
Il 4 novembre ripartirà l’altoforno numero 2, chiuso in estate per 90 giorni. Lo stop era imposto dal programma di lavori previsti dall’Autorizzazione integrata ambientale (Aia). Domani è in agenda un incontro fra la direzione aziendale e le segreterie sindacali di Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm.
L’Ilva riferirà sullo stato delle opere di risanamento. La ripartenza dell’impianto fa pensare al completamento. Non si trattava di interventi tecnici radicali, come quelli previsti all’altoforno numero 1 (chiuso da gennaio) e all’altoforno numero 5 (che dovrebbe fermarsi a settembre del prossimo anno, con lo slittamento della data inizialmente fissata a giugno).
Per un impianto che riparte, con un centinaio di lavoratori di nuovo in fabbrica dai primi giorni di novembre, un altro chiude per un mese. È il tubificio numero 1. Oggi azienda e sindacati si confronteranno sulla nuova emergenza. Dal punto di vista occupazionale le conseguenze dovrebbero essere attutite: «Del centinaio di lavoratori interessati, una ventina sarà destinato al contratto di solidarietà - spiega il segretario generale della Uilm Antonio Talò - per il resto si penserà a una ricollocazione».
Se si pensa che circolano voci insistenti di una prossima chiusura del treno nastri 1, il reparto dell’«area a freddo», che vanta un vero e proprio record di inattività (e di cassa integrazione) dall’inizio della «grande crisi» dell’acciaio nel 2008, il quadro delle difficoltà attraversate dal siderurgico è completo. «Ecco perché - sottolinea Talò - di fronte agli alti e bassi della crisi del mercato dell’acciaio bisognerà aspetta il piano industriale, probabilmente a dicembre, per capire il commissario Enrico Bondi che Ilva ha in mente. Io non faccio più previsioni perché tutto può accadere e temo sorprese. E anche solo restando al dato certo offertoci dalla dirigenza, i 500 esuberi di cui parlano e che il piano industriale dovrebbe mettere nero su bianco, mi preoccupo. Dove ricollocarli? Si dice nell’”area a freddo”. Sì, ma dove visto la crisi che coinvolge duramente anche qui reparti. L’Ilva, nel piano industriale, dovrebbe proporre qualcosa di diverso per ricollocare davvero chi resterà senza lavoro, penso a nuovi impianti. Altrimenti sarà difficile dare occupazione a chi la perderà».
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