domenica 27 ottobre 2019

Crisi dell'acciaio: Chi provoca le crisi si lamenta delle crisi - Allora, cerchiamo di capire

Alcuni operai ArcelorMittal fanno proprie le ragioni dell'azienda che giustifica i suoi interventi di attacco al lavoro degli operai a causa della crisi dell'acciaio, dei dazi messi dagli Usa, per il mercato...
Da qui si passa facilmente a ritenere inevitabile che il padrone riduca la produzione, metta in cig gli operai... Non è colpa sua... E' la crisi...

E' vero che c'è la crisi dell'acciaio, è vero che Trump ha messo i dazi, è vero che il mercato si restringe e viene occupato da altri produttori, MA
E' proprio chi provoca le crisi che si lamenta delle crisi!
Allora cerchiamo di capire. 

Alle radici delle crisi, come di questa che dura da parecchio tempo, vi sono i limiti e le contraddizioni del capitale stesso.
Per il capitale la produzione ha come solo e unico scopo il profitto, non gli interessa il soddisfacimento dei bisogni sociali. La base principale della crisi è la contraddizione tra uno sviluppo delle forze produttive e della produzione sempre più grande e i rapporti di produzione; per cui per il capitale ciò che conta della produzione è la realizzazione privata del profitto.
Non è che c'è troppo acciaio in generale, c'è troppo rispetto alla realizzazione del capitale investito.
Scrive Marx: “non vengono prodotti troppi mezzi di sussistenza in rapporto alla popolazione esistente. Al contrario. Se ne producono troppo pochi per soddisfare in modo decente e umano la massa della popolazione” Il punto è un altro: “vengono prodotte troppe merci per potere, nelle condizioni di distribuzione e nei rapporti di consumo peculiari della produzione capitalistica, realizzare il valore e plusvalore in esse contenuti e riconvertirli in nuovo capitale”.
Sono insomma i rapporti di produzione (e quindi quelli di distribuzione e di consumo) che caratterizzano la società capitalistica a rappresentare il principale ostacolo allo sviluppo delle forze produttive.
La crisi è il momento in cui tale contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione si manifesta, e al tempo stesso, il mezzo brutale attraverso cui si ripristinano le condizioni di accumulazione del capitale: “le crisi sono sempre soluzioni violente soltanto temporanee delle contraddizioni esistenti ed eruzioni violente che servono a ristabilire l'equilibrio turbato” (Marx). Come? Profitto e accumulazioni vengono ripristinate per mezzo della distruzione di capitale e di forze produttive: licenziamenti, abbassamento dei salari, chiusure di fabbriche, ecc.

Sul mercato mondiale avviene una acuta lotta di concorrenza tra i capitali: il più forte scaccia il meno forte, si appropria di fette di mercato, sbaraglia i capitalisti esistenti. Ma in questa lotta non c'è il cattivo e il buono, non è una questione morale o di chi ha ragione. Mittal, finora il più grande produttore di acciaio nel mondo, ha sbaragliato, fatto fuori eccome altri capitalisti, per divenire tale; come Riva e più di Riva non ha guardato in faccia a nessuno, si è appropriato di fabbriche a prezzi irrisori, ne ha fatto chiudere altre, ha sfruttato, spremuto fabbriche finchè potevano produrre e consentivano profitto, senza metterci granchè di propri capitali. Anche Mittal ha messo una sorta di "dazi" protettivi. Ora si lamenta dei dazi imposti dagli Usa di Trump e dell'occupazione dei mercati da parte di altri paesi, la Turchia, la Cina; ma prima ha fatto lui la guerra!| E ha usato tutti i mezzi, leciti e illeciti. 

(Dice Marx) “...il capitale tende a trascendere sia le barriere e i pregiudizi nazionali, sia l'idolatria della natura, sia il soddisfacimento tradizionale, modestamente chiuso entro limiti determinati, dei bisogni esistenti, e la tradizionale riproduzione di un vecchio modo di vivere. Nei confronti di tutto ciò esso è distruttivo e agisce nel senso di un perenne rivoluzionamento, abbattendo tutte le barriere che ostacolano lo sviluppo delle forze produttive, l'espansione dei bisogni, la molteplicità della produzione e lo sfruttamento e lo scambio delle forze della natura e dello spirito”.
Ma l'universalità alla quale il capitale tende irresistibilmente “trova nella sua stessa natura ostacoli che ad un certo livello del suo sviluppo metteranno in luce che esso stesso è l'ostacolo massimo che si oppone a questa tendenza e perciò spingono al suo superamento”. “Il vero limite della produzione capitalistica è il capitale stesso, è il fatto che il capitale e la sua autovalorizzazione appaiono come punto di partenza e punto d'arrivo, come fine della produzione” (Marx)
La crisi è il momento in cui si manifestano le contraddizioni del capitalismo e i limiti allo sviluppo del capitale che sono connaturati al capitale stesso.

Per far fronte alla crisi, il capitale, Mittal, licenza, mette in cassintegrazione, taglia cioè  il costo del lavoro, taglia i salari, mentre intensifica il lavoro degli altri operai.

La crisi iniziata nel 2007 ha assunto col passare degli anni le caratteristiche di una vera e propria crisi generale. Attraverso di essa si è verificata una enorme distruzione di capitale su scala mondiale. La distruzione di capitale che si verifica nelle crisi non è un accidente, ma una condizione necessaria al fine di ripristinare condizioni più elevate di redditività del capitale investito.
Questa distruzione è di due tipi.
La distruzione di “capitale reale”, “in quanto il processo di riproduzione si arresta, il processo lavorativo viene limitato o talvolta interamente arrestato, viene distrutto capitale reale. Il macchinario che non viene usato non è capitale. Il lavoro che non viene sfruttato equivale a produzione perduta. materia prima che giace inutilizzata non è capitale. Costruzioni che restano in utilizzate (altrettanto quanto nuovo macchinario costruito) o restano incompiute, merci che marciscono nel magazzino, tutto ciò è distruzione di capitale” (Marx).
Questo aspetto della crisi “si risolve in una diminuzione reale della produzione, del lavoro vivo – allo scopo di ristabilire al giusta proporzione tra lavoro necessario e pluslavoro, su cui in ultima analisi tutto si fonda” (Marx).
Tale proporzione può essere ristabilita in quanto la crisi comporta licenziamenti di massa e la creazione di un esercito industriale di riserva: da questo discende una diminuzione del potere contrattuale dei lavoratori, e pertanto un aumento della quota del lavoro non pagato e del saggio del plusvalore.  
Durante la crisi e per superare la crisi chi ci perde sono solo i lavoratori e le masse popolari, con aumento dei prezzi (a causa della distruzione di merci, quelle restanti aumentano di prezzo), indebitamento e strozzamento da parte di usurai legali (banche) e illegali, ma soprattutto con licenziamenti e abbassamento dei salari.

Per far fronte alla crisi e alla guerra commerciale, i capitalisti pretendono interventi degli Stati a loro favore. Così vediamo Mittal che se la prende anche con l'Europa perchè non fa una adeguata guerra ai dazi. Ma, primo, il problema è sempre dei rapporti di forza tra imperialismi, gli Usa sono più forti, sicuramente più forti dell'imperialismo italiano; secondo se l'Italia, l'Europa rispondesse con delle contromisure, gli effetti di queste ricadrebbero sempre sui lavoratori, in termini sempre di favorire licenziamenti, chiusura di fabbriche, riduzione del costo del lavoro, ecc.  
“Per tenere su i prezzi (per es. dell'acciaio) - dice Marx - lo Stato dovrebbe pagare i prezzi in vigore prima dello scoppio del panico commerciale e scontare delle cambiali che non sono più altro che il controvalore delle bancarotte altrui. In altre parole, il patrimonio dell'intera società, che il governo rappresenta, dovrebbe ripianare le perdite subite dai capitalisti privati” (Marx).
(E aggiungono Marx ed Engels) “E' proprio bello che i capitalisti, che gridano tanto contro il “diritto al lavoro”, ora pretendano dappertutto “pubblico appoggio” dai governi... facciano insomma valere il “diritto al profitto” a spese della comunità”.
L'intervento dello Stato in soccorso dell'economia capitalista, del profitto attraverso soprattutto misure che impoveriscono i lavoratori e le masse popolari in realtà confermano il ruolo dello Stato è unicamente a difesa degli interessi della classe dominante.
La crisi attuale dell'acciaio, quindi, fa parte integrante del funzionamento normale del modo di produzione capitalistico.
"... la sola vera soluzione della crisi può venire dall'intendere che il capitalismo è il problema e dall'operare di conseguenza: ossia per il superamento di questa “ultima configurazione servile assunta dall'attività umana, con l'obiettivo di far sì che i produttori assoggettino la produzione – che oggi li sovrasta come una “legge cieca” al “loro controllo comune come intelletto associato” (Marx).

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