Questo pomeriggio presso la Commissione Attività Produttive della Camera si è svolta l’audizione informale dei rappresentanti del gruppo ArcelorMittal Italia sulle prospettive industriali del sito siderurgico di Taranto. Per ArcelorMittal Italia erano presenti Lucia Morselli, neo AD e Samuele Pasi, Country Head, insieme a Matthieu Jehl.
L’audizione è stata l’occasione per fare il punto sui principali risultati raggiunti in questi mesi dall’azienda nelle diverse aree nonostante le condizioni di mercato complesse e difficili: piano ambientale e industriale, occupazione, sicurezza e formazione.
In generale i dati presentati dal Ceo uscente hanno testimoniato un progressivo miglioramento dei numeri dello stabilimento, ad esclusione di quelli produttivi che attualmente si assestano sui 4,5 milioni di tonnellate annue contro i 6 milioni previsti inizialmente dal piano industriale.
Ambiente. “Nel solo 2019 sono stati investiti 200 mln di euro per chiudere e impermeabilizzare la
discarica G2 per rifiuti non pericolosi; dragare i canali di scarico; terminare la prima fase di demolizione di AFO 3; effettuare 18 interventi finalizzati a rimuovere l’amianto. Sono stati, inoltre, assegnati gli ordini per installare i filtri Meros. Sempre in questo periodo sono andati avanti in maniera spedita i lavori per le coperture dei parchi delle materie prime. La copertura dei parchi minerali sarà completata a dicembre di quest’anno, quella del parco fossile a maggio 2020. Una serie di interventi di riqualificazione rilevanti ha interessato anche la Batteria 9” ha riepilogato durante l’audizione l’ex ad Jehl.
Questo piano ambientale è quello più ambizioso da sempre per ArcelorMittal, vogliamo fare di Taranto la migliore azienda dal punto di vista ambientale – ha aggiunto il manager -. La copertura parchi dei parchi è l’intervento più visibile ma solo la punta di un iceberg. Lavoriamo, infatti, su più di 70 diversi progetti che toccano diversi aspetti ambientali“.
A proposito della questione ambientale, Jehl ha dichiarato che “l’ex Ilva di Taranto oggi è lo stabilimento più monitorato d’Europa, sulla qualità dell’aria ci sono dati presi direttamente sui camini. Ci sono ispezioni da parte di tutte le autorità. Che si verifichi che facciamo tutto in maniera corretta per me è molto importante, l’ambiente è una questione seria e il monitoraggio è importante. Sul piano ambientale ad oggi tutti gli impegni presi per il 2019 sono stati rispettati. Chi vuole può far una visita dello stabilimento e gli facciamo vedere a che punto siamo su tutti gli interventi“, ha continuato Jehl.
Legata all’attuazione penale c’è, inevitabilmente, lo scoglio dell’esimente penale. “L’immunità penale per i vertici dello stabilimento ex Ilva di Taranto è un tema sbagliato, non esiste. Tutti noi siamo responsabili di quello che facciamo – ha detto l’ex ad di ArcelorMittal Italia, Matthieu Jehl -. Le regole del gioco che fanno parte della trattativa dall’inizio, dal 2014, però non si possono cambiare a metà partita. Per il gestore attuale ma anche per tutti gli altri – come i commissari che ci hanno preceduto – serve una norma chiara che dica in che quadro possiamo gestire l’azienda“.
Occupazione. “Il processo di assunzione che si è svolto tra novembre 2018 e gennaio 2019 è stato sfidante e impegnativo. Si è concluso con il rispetto dell’accordo del 6 settembre, con l’assunzione di oltre 10.600 persone, a valle di 10.900 offerte” ha detto Jehl.
Salute e sicurezza. “Le risorse umane costituiscono un asset formidabile e l’obiettivo è quello di raggiungere i migliori livelli di sicurezza “world class”. Con l’arrivo di ArcelorMittal, da ottobre 2018 a settembre 2019, l’indice di frequenza degli incidenti è sceso da 20 a 12,2, mentre quello di gravità da 0,7 a 0,4. L’obiettivo è allineare gli standard di sicurezza a quelli del Gruppo” ha informato ‘ex ad. “Lavoriamo per evitare che nei nostri stabilimenti ci siano incidenti, con la manutenzione degli impianti e con la formazione del personale. Abbiamo come obiettivo quello di ‘zero incidentì e faremo tutto per arrivarci“.
Formazione. “Sicuramente questi risultati positivi si sono giovati anche del piano di formazione. Da novembre 2018 sono state erogate 190.000 ore di formazione, supportate anche da campagne di comunicazione e sensibilizzazione sui temi della salute e della sicurezza” ha dichiarato ancora Jehl.
Tutto questo è stato portato a termine in presenza di un contesto economico del settore che si è rapidamente deteriorato – ha spiegato l’ex ad -. I fattori di crisi sono noti, ma è utile riassumerli: il Pil in diminuzione in molti Paesi UE, l’abbassamento dei livelli produttivi, dei nuovi ordini e delle esportazioni sono le punte dell’iceberg. I consumi reali di acciaio registrano andamenti in flessione anche a causa della crisi dell’automotive, che è il principale mercato che ha visto una contrazione dal 2018 del 10%. Ciò in presenza di una forte concorrenza sui mercati globali; un aumento delle importazioni verso la UE (+12,6% nel 2018) causato dai dazi USA e dalle deboli misure di salvaguardia della UE. In questo contesto è importante sottolineare che i livelli di importazioni della Turchia sono aumentati di oltre 5 volte dal 2016, una volta che il mercato USA è stato chiuso. In Italia, in particolare, tra il 2018 e la prima metà del 2019 le importazioni di prodotti in acciaio piano provenienti soprattutto da Turchia, ma anche da Cina, India, Corea e altri Paesi sono aumentate del 14%. Last but not least i prezzi dell’acciaio sono bassi a fronte di costi energetici elevati, mentre sono in continuo aumento i costi delle materie prime e della CO2“.
Per fronteggiare molte di queste sfide occorre che le misure di salvaguardia UE vengano rafforzate – ha detto ancora Jehl -. Nonostante alcuni importanti miglioramenti, il livello dei contingenti di importazione per diversi prodotti resta troppo elevato e non riflette la reale domanda del mercato. In un contesto così sfidante serve il supporto di tutti gli Stati membri per chiedere alla Commissione UE una nuova revisione di queste misure, per evitare ulteriori rischi di tagli alla produzione di acciaio nella UE, con conseguenze negative su investimenti e occupazione“.
Servono regole del gioco uguali per tutti: infatti il sistema attualmente in vigore non cambierà il modo in cui l’acciaio è prodotto ma solo dove è prodotto. Per incidere servirebbe il cosiddetto ‘carbon border adjustment’: i prodotti di acciaio importati dovrebbero cioè avere vincoli di costo della CO2 simili a quelli dei produttori UE. La gran parte dei produttori extra UE ha infatti performace ambientali inferiori alle aziende europee e non sostengono i costi compensativi del Co2. Anche in Italia c’è la necessità di dare attuazione a un sistema di compensazione per i costi della CO2 trasferiti sui costi dell’elettricità: un sistema previsto dalle norme comunitarie e in vigore nella maggior parte dei Paesi UE” ha spiegato ancora l’ex ad.