Ex Ilva, l’esimente penale blocca il Dl Imprese
Le vicende legate all’ex Ilva di Taranto sono ancora una volta al centro del dibattito della politica nazionale. Il motivo del contendere, tanto per cambiare, è la norma relativa alle tutele legali previste per i gestori, gli affittuari e i futuri proprietari del siderurgico tarantino, durante le condotte poste in essere nell’attuazione del Piano Ambientale. La così detta ‘immunità penale‘, termine peraltro mai esistito nella norma del 2015 che istituì quella che in realtà si chiama esimente penale.
Quello che sta accadendo nelle ultime ore ha dell’incredibile. I lavori delle commissioni Industria e Lavoro del Senato sono fermi sul Dl Imprese che contiene le norme su rider e crisi aziendali. La seduta, slittata da ieri mattina al primo pomeriggio, è stata infine nuovamente aggiornata alle 8,30 di oggi senza che siano state avviate le votazioni sugli emendamenti, impedendo al testo di approdare in Aula ieri pomeriggio come inizialmente previsto.
Tra le questioni ancora aperte, c’e’ appunto il ‘nodo‘ dell’articolo 14 del Dl che contiene una riscrittura dell’art. 36 del Decreto Crescita, con il quale era stato meglio delimitato nel tempo il confine temporale entro il quale la norma si dovesse applicare: di fatto si legava l’esimente penale alla scandenza temporale naturale prevista per ogni prescrizione presente nel Piano Ambientale, cancellando la copertura totale prevista sino al 2023 dalla norma del 2015.
Sembrava che la riscrittura dell’art. 36 del Dl Crescita, inserito nel Dl Imprese, avesse chiarito e definito una volta e per tutte la questione. Ed invece, complice anche il cambio della maggioranza del nuovo governo, alcuni senatori e parlamentari del Movimento 5 Stelle con a capo il giornalista Gianluigi Paragone, appoggiati dai deputati tarantini del Movimento, hanno presentato un emendamento soppressivo dell’articolo di legge.
E’ chiaro che l’azione messa in atto sia tutta politica. Da un lato infatti si cerca di ‘stanare‘ i nuovi alleati di governo del Partito Democratico, che quella norma del 2015 hanno introdotto quando erano al governo con Matteo Renzi nel ruolo di premier. Dall’altro si vorrebbe, in maniera alquanto pacchiana e fuori da ogni logica, tornare a recitare un ruolo di ‘duri e puri’ e oltranzisti sulla vicenda Ilva, a cui non crederebbe più nemmeno un adolescente alle prime armi con la politica...
Prima si è urlato ai quattro venti contro quei partiti che avevano stabilito per decreto l’apertura forzata del siderurgico, promettendo una non meglio precisata chiusura delle fonti inquinanti una volta giunti alla guida del governo del Paese. Dopo di che, una volta saliti al potere, si è scelto consapevolmente di governare in alleanza ad un partito, la Lega, completamente a favore della non chiusura dell’Ilva che rifornisce decine di aziende del nord Italia, firmando l’accordo per la cessione in affitto dei rami d’azienda dell’ex gruppo Ilva alla multinazionale ArcelorMittal nel settembre dello scorso anno, dopo aver provato senza successo, chiedendo l’aiuto di ANAC e Avvocatura dello Stato, di dimostrare che il contratto in questione del 2017 fosse contro la legge. Non contenti, si è firmato un addendum a quell’accordo che prevede che qualora vengano stravolte le leggi e le prescrizioni del Piano Ambientale presenti all’atto della firma del contratto, ArcelorMittal potesse ritenere nulla l’intesa e addirittura rivalersi sullo Stato italiano.
Pur sapendo tutto questo, cogliendo la palla al balzo fornita dalla sentenza della CEDU dello scorso gennaio, che ha stigmatizzato la scelta politica dell’Italia di aver agevolato la continuazione produttiva dell’ex Ilva a scapito della tutela della salute dei cittadini, e dal ricorso alla Corte Costituzionale del gip Ruberto del tribunale di Taranto, con il quale chiedeva lumi sulla costituzionalità della norma sull’esimente penale, si è scelto di riscrivere una prima volta la norma attraverso il Dl Crescita dello scorso aprile (il famoso articolo 2, comma 6, del decreto-legge 5 gennaio 2015, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 marzo 2015, n. 20, quello che introdusse l’esimente penale), stabilendo la scandenza della stessa al 6 settembre. A fronte della minaccia di ArcelorMittal di lasciare la gestione del sito qualora non si fosse ristabilita la norma o quanto meno chiarito il perimetro della tutela legale garantita tempo addietro alla multinazionale, nell’art. 36 del Dl Crescita si precisò l’introduzione di un piano di tutele legali a ‘scadenza’.
Norma che non ha convinto i vertici della multinazionale, che hanno lavorato tutta l’estate con l’ex ministro Di Maio, per ‘aggiustarne‘ nuovamente il testo. E così, in pieno agosto, la stessa è stata nuovamente riscritta attraverso l’art. 14 del Dl Imprese, ‘Disposizioni urgenti in materia di ILVA S.p.A‘. In pratica la sostituzioni di alcuni termini del testo, che comunque confermava l’impianto precedente: la norma già con il decreto Crescita veniva infatti circoscritta al Piano Ambientale e per questo sarà applicata impianto per impianto, ancorandosi ai tempi previsti dal Piano Ambientale e non più dall’Aia per la messa a norma delle singole aree. Questo significa che mentre prima l’estensione riguardava l’attuazione del Piano Ambientale sino alla sua conclusione, adesso l’immunità scadrà ogni qual volta terminerà il termine previsto per l’attuazione di ogni singolo intervento.
In entrambe le circostanze, si tratta di provvedimenti del Consiglio dei Ministri dove il vice premier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico era Luigi Di Maio, capo politico del Movimento 5 Stelle.
Adesso che però si è al governo con il nemico di sempre (alias Partito Democratico) e che Di Maio non è più il titolare dei due dicasteri nonché vicepremier, un parte del Movimento torna alla carica e cerca di ostacolare l’approvazione di una norma che mesi addietro non è stata ostacolata dagli stessi che oggi la osteggiano. Siamo al paradosso. Ad essere buoni...
Quello che sta accadendo nelle ultime ore ha dell’incredibile. I lavori delle commissioni Industria e Lavoro del Senato sono fermi sul Dl Imprese che contiene le norme su rider e crisi aziendali. La seduta, slittata da ieri mattina al primo pomeriggio, è stata infine nuovamente aggiornata alle 8,30 di oggi senza che siano state avviate le votazioni sugli emendamenti, impedendo al testo di approdare in Aula ieri pomeriggio come inizialmente previsto.
Tra le questioni ancora aperte, c’e’ appunto il ‘nodo‘ dell’articolo 14 del Dl che contiene una riscrittura dell’art. 36 del Decreto Crescita, con il quale era stato meglio delimitato nel tempo il confine temporale entro il quale la norma si dovesse applicare: di fatto si legava l’esimente penale alla scandenza temporale naturale prevista per ogni prescrizione presente nel Piano Ambientale, cancellando la copertura totale prevista sino al 2023 dalla norma del 2015.
Sembrava che la riscrittura dell’art. 36 del Dl Crescita, inserito nel Dl Imprese, avesse chiarito e definito una volta e per tutte la questione. Ed invece, complice anche il cambio della maggioranza del nuovo governo, alcuni senatori e parlamentari del Movimento 5 Stelle con a capo il giornalista Gianluigi Paragone, appoggiati dai deputati tarantini del Movimento, hanno presentato un emendamento soppressivo dell’articolo di legge.
E’ chiaro che l’azione messa in atto sia tutta politica. Da un lato infatti si cerca di ‘stanare‘ i nuovi alleati di governo del Partito Democratico, che quella norma del 2015 hanno introdotto quando erano al governo con Matteo Renzi nel ruolo di premier. Dall’altro si vorrebbe, in maniera alquanto pacchiana e fuori da ogni logica, tornare a recitare un ruolo di ‘duri e puri’ e oltranzisti sulla vicenda Ilva, a cui non crederebbe più nemmeno un adolescente alle prime armi con la politica...
Prima si è urlato ai quattro venti contro quei partiti che avevano stabilito per decreto l’apertura forzata del siderurgico, promettendo una non meglio precisata chiusura delle fonti inquinanti una volta giunti alla guida del governo del Paese. Dopo di che, una volta saliti al potere, si è scelto consapevolmente di governare in alleanza ad un partito, la Lega, completamente a favore della non chiusura dell’Ilva che rifornisce decine di aziende del nord Italia, firmando l’accordo per la cessione in affitto dei rami d’azienda dell’ex gruppo Ilva alla multinazionale ArcelorMittal nel settembre dello scorso anno, dopo aver provato senza successo, chiedendo l’aiuto di ANAC e Avvocatura dello Stato, di dimostrare che il contratto in questione del 2017 fosse contro la legge. Non contenti, si è firmato un addendum a quell’accordo che prevede che qualora vengano stravolte le leggi e le prescrizioni del Piano Ambientale presenti all’atto della firma del contratto, ArcelorMittal potesse ritenere nulla l’intesa e addirittura rivalersi sullo Stato italiano.
Pur sapendo tutto questo, cogliendo la palla al balzo fornita dalla sentenza della CEDU dello scorso gennaio, che ha stigmatizzato la scelta politica dell’Italia di aver agevolato la continuazione produttiva dell’ex Ilva a scapito della tutela della salute dei cittadini, e dal ricorso alla Corte Costituzionale del gip Ruberto del tribunale di Taranto, con il quale chiedeva lumi sulla costituzionalità della norma sull’esimente penale, si è scelto di riscrivere una prima volta la norma attraverso il Dl Crescita dello scorso aprile (il famoso articolo 2, comma 6, del decreto-legge 5 gennaio 2015, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 marzo 2015, n. 20, quello che introdusse l’esimente penale), stabilendo la scandenza della stessa al 6 settembre. A fronte della minaccia di ArcelorMittal di lasciare la gestione del sito qualora non si fosse ristabilita la norma o quanto meno chiarito il perimetro della tutela legale garantita tempo addietro alla multinazionale, nell’art. 36 del Dl Crescita si precisò l’introduzione di un piano di tutele legali a ‘scadenza’.
Norma che non ha convinto i vertici della multinazionale, che hanno lavorato tutta l’estate con l’ex ministro Di Maio, per ‘aggiustarne‘ nuovamente il testo. E così, in pieno agosto, la stessa è stata nuovamente riscritta attraverso l’art. 14 del Dl Imprese, ‘Disposizioni urgenti in materia di ILVA S.p.A‘. In pratica la sostituzioni di alcuni termini del testo, che comunque confermava l’impianto precedente: la norma già con il decreto Crescita veniva infatti circoscritta al Piano Ambientale e per questo sarà applicata impianto per impianto, ancorandosi ai tempi previsti dal Piano Ambientale e non più dall’Aia per la messa a norma delle singole aree. Questo significa che mentre prima l’estensione riguardava l’attuazione del Piano Ambientale sino alla sua conclusione, adesso l’immunità scadrà ogni qual volta terminerà il termine previsto per l’attuazione di ogni singolo intervento.
In entrambe le circostanze, si tratta di provvedimenti del Consiglio dei Ministri dove il vice premier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico era Luigi Di Maio, capo politico del Movimento 5 Stelle.
Adesso che però si è al governo con il nemico di sempre (alias Partito Democratico) e che Di Maio non è più il titolare dei due dicasteri nonché vicepremier, un parte del Movimento torna alla carica e cerca di ostacolare l’approvazione di una norma che mesi addietro non è stata ostacolata dagli stessi che oggi la osteggiano. Siamo al paradosso. Ad essere buoni...
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