domenica 20 settembre 2020

La protesta dei braccianti del foggiano

CHIEDEVAMO PERMESSI DI SOGGIORNO, CI HANNO DATO MULTE! 

Il 18 settembre, siamo sotto la prefettura a Foggia perché si svolgeranno colloqui tra il prefetto e alcune persone che il 6 dicembre 2019 hanno partecipato ad un grande sciopero che ha bloccato la zona commerciale di Foggia e del casello autostradale. In quella giornata, i lavoratori e le lavoratrici immigrate delle campagne della provincia, insieme ad alcuni lavoratori, disoccupati, studenti e studentesse italiani, chiedevano permessi di soggiorno, che sono l’unico modo per una persona immigrata di avere un contratto e magari cambiare lavoro, poter affittare una casa, spostarsi altrove,  accedere ad una serie di servizi che spesso si danno per scontati.

Dopo qualche mese, anche grazie a manifestazioni come questa, il governo ha approvato una sanatoria, una legge che, almeno su carta, avrebbe dovuto dare i documenti a tante persone che non li hanno. Ma proprio mentre questa legge veniva approvata, chi aveva scioperato e protestato veniva  punito: alcune

persone presenti quel 6 dicembre sono state denunciate e hanno ricevuto multe per blocco stradale fino a 4000 euro (previste dalla legge Salvini) e fogli di via da alcuni comuni della Capitanata.

Perchè le persone vengono prima ignorate e poi punite quando chiedono di vivere in una casa e non in dei container per anni, come le famiglie italiane di via San Severo a Foggia, o come gli abitanti dei ghetti per i quali le alternative sono sempre solo tende o container?

Cosa c'è di sbagliato a chiedere di avere un contratto di lavoro vero e non solo sulla carta, di essere pagato il giusto e di avere accesso ai servizi di base come l'acqua e l'elettricità?

La cosa che ci preme non è la multa in sé: siamo preoccupati per il clima repressivo sempre più duro che colpisce chi alza la testa e pretende condizioni di vita e lavoro migliori, e per il controllo sempre più forte su tutti e tutte, anche chi non è solito scendere in piazza a protestare.

In questi mesi di lockdown, abbiamo tutti percepito cosa significhi uscire di casa e sapere di essere controllati. Tutti abbiamo sentito la paura, o anche solo l’inquietudine, di poter essere fermati e di dover giustificare i nostri spostamenti. La paura di ricevere una multa se lavoriamo senza contratto e se veniamo fermati mentre andiamo al lavoro, sapendo che tutto questo dipende anche da come la polizia deciderà di trattarci in quel momento. Dalla cosiddetta emergenza covid non siamo ancora usciti, e a dimostrarlo non sono solo i focolai che continuano a imporci la prudenza, ma soprattutto tutte quelle preoccupanti restrizioni che poco hanno a che fare con la nostra salute. Per esempio, il divieto di manifestare in corteo. Come sempre, chi ci rimette per primo sono i più poveri e tra questi soprattutto gli immigrati che in questi mesi hanno continuato a lavorare nei campi senza tutele e senza protezioni, senza la possibilità di accedere ai bonus, né di andare da un medico. Tutte queste incoerenze ci mostrano chiaramente che una cosa è la salute, un’altra il controllo. E con la scusa della salute, il controllo è aumentato. Già da prima del covid, i decreti Salvini approvati due anni fa andavano in questa direzione: multe fino a 4000 euro per chi protesta bloccando una strada, pene più dure per tutti quei comportamenti che possono verificarsi in un momento di protesta. Stare insieme in strada a chiedere ciò che ci spetta non può essere così difficile.

Le piazze e le strade sono di chi le vive e il nostro invito è quello a non piegarci a tutto questo, a continuare ad organizzarci e sostenerci a vicenda, italiani ed immigrati. Perchè ci stanno togliendo tutto, anche la possibilità di dire quello che pensiamo.

COMITATO LAVORATORI DELLE CAMPAGNE

 

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