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No TAP !
Ci siamo.
L’11 settembre è partito il maxi-processo contro 92 attivisti notap,
colpevoli di aver lottato per difendere un territorio e un ideale.
Quasi cento imputati riuniti in un’aula bunker, di massima sicurezza,
come fosse uno di quei processi che fanno la storia dell’avvocatura
Italiana.
E noi, in quell’aula, la faremo davvero la storia!
Perché continueremo a camminare a testa alta, rivendicando i diritti di
un intero territorio, perché non ci tireremo indietro davanti a chi
cerca di imporre un modello di sviluppo anacronistico e imposto.
Perché siamo sempre più convinti di non essere nel torto.
Tutto il territorio é a processo da quel giorno.
Tutta quella popolazione che, unita, continua a dire NO a chi vuole
costringerci a un sistema estrattivista che non ci appartiene.
Lo stesso 11 settembre sono andati processo anche i vertici di TAP e le
ditte esecutrici dei lavori, per reati a nostro giudizio ben più gravi.
E noi siamo stati presenti anche a quel processo, perché la nostra lotta
non si ferma davanti a nulla, la nostra lotta va avanti sempre più
forte.
Non si potrà mai processare la voce di una lotta che cerca di difendere il futuro.
Il nostro crimine è soltanto quello di essere in grado di sognare…
Movimento No TAP
di Alexik (*) - stralci
L’undici settembre a Lecce, in due luoghi diversi della città, hanno
avuto inizio in contemporanea le udienze per il maxiprocesso contro il
movimento No TAP e quelle contro i vertici della società Trans Adriatic
Pipeline.
Luoghi diversi, dicevo, perché 92 compagne e compagni salentini che
in questi anni si sono oppost* alla devastazione del loro territorio
vengono processat* nell’aula bunker attigua al carcere della città,
mentre i 19 imputati di TAP e appaltatori si possono
accomodare presso il tribunale di Lecce..
La contestazione più frequente, con buona pace dei diritti costituzionali, riguarda
il reato di manifestazione non preavvisata, attribuito a soggetti responsabili di aver “sventolato bandiere ed esibito striscioni con la scritta No TAP” , “usato il megafono per lanciare appelli e slogan“, “usato un fischietto per attirare
l’attenzione dei passanti“.
Alcuni sono accusati di violenza per aver tentato di impedire il
transito delle autovetture di TAP stendendosi sul
cofano col proprio
corpo, o ponendosi di fronte alle macchine.
E’ questa, dunque, la violenza, per gli esegeti del codice penale.
Fra gli imputati vi sono anche i 52 che il 9 dicembre 2017, dopo un
corteo contro il gasdotto, raggiunsero a piccoli gruppi attraverso le
campagne uno dei cancelli posti a delimitazione dell’area di cantiere di
San Basilio (Melendugno), fermandosi ad intonare
dei cori di protesta.
Sulla via del ritorno vennero inseguiti nei campi dagli agenti in tenuta
antisommossa, con lanci di lacrimogeni e con l’elicottero della polizia
di Stato che calava bassissimo sulle loro teste.
Vennero catturati, ammanettati e costretti in ginocchio fra pietre e
rovi, con i cellulari requisiti per impedire che chiamassero gli
avvocati, aggrediti coi manganelli ad ogni tentativo di protesta.
Una delle ragazze inseguite dagli agenti, che era caduta rompendosi una
gamba, rimase a lungo senza soccorso. L’ambulanza del 118, giunta a San
Basilio su chiamata di altri manifestanti, venne infatti bloccata al
varco e respinta dalle forze dell’ordine, che
poi si preoccuparono di portare la compagna non all’ospedale ma alla
questura di Lecce.
All’interno della questura, gran parte dei fermati vennero chiusi per
ore nelle celle di sicurezza senza poter andare in bagno per molto
tempo.
Le donne venivano accompagnate fin sulla soglia dei bagni da agenti di
sesso maschile, e una delle compagne ha avuto modo di denunciare insulti
sessisti e omofobi giunti a suo carico.
Solo dopo ore di attesa sotto la pioggia battente, gli avvocati presenti
vennero informati del fatto che tutti i manifestanti sarebbero stati
rilasciati, e che nei loro confronti sarebbe stata formalizzata una
denuncia a piede libero per i reati di riunione
non preavvisata, inosservanza dei provvedimenti dell’autorità ed
accensioni pericolose.
Con queste accuse stanno andando a processo, dovendo affrontare la
violenza di un giudizio che li vede sul banco degli imputati e non su
quello delle parti lese e, prevedibilmente, l’ulteriore violenza
dell’impunità riservata ai loro aggressori.
Inutile dire che le loro denunce per il trattamento subito rimangono
ancora “in fase di indagine e a carico di ignoti”, perché nel Belpaese –
come altrove – l’obbligatorietà dell’azione penale è uguale per tutti,
ma per qualcuno è più uguale che per altri.
Fra
i militanti del movimento molti hanno già ricevuto pesanti sanzioni
amministrative
(soprattutto per blocco stradale) per aver tentato di ostacolare la
costruzione di un’opera devastante, climalterante, platealmente
speculativa.
Multe insostenibili per giovani disoccupati e precari o per chi vive del
proprio lavoro, con mutuo e figli a carico, in una regione del sud e in
tempo di crisi.
La repressione economica è una forma di violenza ampiamente utilizzata
contro i movimenti, secondo un copione ancora una volta sperimentato in
Val di Susa.
Una forma di violenza particolarmente ricattatoria, nel momento in cui
costringe a mettere su un piatto della bilancia la difesa della propria
terra, e sull’altro quanto costruito col lavoro di una vita.
Al momento gravano sul Movimento No TAP € 240,000 per sanzioni
amministrative a carico dei militanti e € 70,000 per spese legali.
Gravano le sanzioni comminate tramite i decreti penali di condanna
per le violazioni dei fogli di via, distribuiti dalla questura a piene
mani.
Grava indirettamente il prezzo pagato da chi ha perso il lavoro a causa
delle restrizioni nella libertà di movimento, visto che molti
destinatari dei fogli di via da Melendugno lavoravano come dipendenti
negli alberghi delle sue marine.
Ma al di là dei risvolti economici, al di là dei manganelli e delle
restrizioni alla libertà personale, la violenza più grande è quella
degli uliveti espiantati, dei fondali marini distrutti, dei pozzi
avvelenati, dei danni irreversibili causati alla Natura.
Alcuni
aspetti di questa violenza saranno oggetto del processo contro i
vertici di
TAP: le violazioni delle prescrizioni della VIA, i lavori svolti in
assenza di autorizzazioni ambientali, idrogeologiche, paesaggistiche ed
edilizie, gli espianti irregolari.
L’inquinamento delle falde attorno al pozzo di spinta, avvelenate con
nichel, arsenico, manganese, bromo e soprattutto cromo esavalente, un
potente cancerogeno e genotossico.
Tutte violazioni al vaglio di una magistratura che non ha comunque
fermato il cantiere, attuate all’interno di una Zona Rossa sottratta al
controllo popolare per decreto prefettizio, perpetrate davanti a un
nutrito schieramento di forze dell’ordine che non
solo non le ha bloccate, ma le ha difese manu militari contro una
popolazione che voleva impedirle.
Non mi aspetto, dati i precedenti sull’impunità di chi inquina (dal
disastro di Seveso all’Ilva di Taranto …), che qualcuno paghi per tutto
questo.
Il diritto penale ambientale è strutturato per tutelare il profitto, e non nei tribunali otterremo giustizia.
Ma nel coltivare la capacità di una risposta dal basso, a partire dalla
abilità del Movimento di trasformare il terreno della criminalizzazione
giudiziaria in una occasione di lotta, in un momento di verità.
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