martedì 28 gennaio 2014

Tutti i padroni italiani e tutto il governo e il parlamento sono dalla parte di Riva - solo il fronte unito di operai e masse popolari tarantine per una rivolta popolare può cambiare questo stato di cose!

Il prevedibile entusiasmo con cui Confindustria applaude all’ultimo Decreto Legge sull’ILVA di Taranto traspare dal giornale di famiglia: il Sole 24 Ore del 21 Gennaio che dedica all’argomento l’intera pagina 39 con richiamo dalla prima.
Nell’analisi di Jacopo Giliberto si legge testualmente: ‹‹Sull’ILVA di Taranto ci sono molti luoghi comuni e molte incertezze. Il luogo comune dice che la città è inquinatissima da una delle acciaierie più sporche del mondo, e non è vero. Le emissioni dello stabilimento di oggi sono molto migliori di molte delle più ammirate e moderne acciaierie modello d’Europa e, al contrario di quello che pensano molti, la qualità dell’aria di Taranto è assai meglio dell’aria respirata dai cittadini di una qualunque città padana. Esempio: ieri nell’aria di Milano sono stati rilevati 143 microgrammi di azoto, a Taranto 22 microgrami››.
Forse Giliberto non ha mai visto le graziose nuvolette rosse che ogni tanto colorano il cielo della città – lì non c’è solo azoto – né il “vapore acqueo” (definizione dell’On. Perillo) che imbianca i tramonti del Rione Tamburi. In merito alla presunta salubrità degli vecchi impianti tarantini, alcuni delegati e dirigenti sindacali FIOM hanno visionato la fabbrica Thyssen Krupp di Duisburg in Germania, così simile a quella di Taranto per capacità produttiva, tecnologia (a ciclo continuo con cockeria) e vicinanza al centro abitato, e riferiscono di non aver notato fumi e di aver visto operai entrare ed uscire “puliti” in una fabbrica circondata da alberi in piena salute – a chi vive a Taranto è ben nota, invece, l’immagine degli asfittici alberi  sulle collinette ecologiche. Cosa dire poi dell’acciaieria VoestAlpine di Linz, in Austria, la cui ecocompatibilità è acclarata sia da Peacelink  che da  FIOM CGIL?
Sulla stessa pagina del Sole, Paolo Bricco descrive quello che dovrebbe essere il progetto di Bondi – se e quando il commissario si degnerà di rendere noto un piano industriale –: riconvertire la fabbrica passando alla produzione di acciao con gas – adoperando la tecnologia del preridotto – e chiudendo così definitivamente le cockerie che, finalmente, azzererebbero i famigerati Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) altamente cangerogeni e ridurrebbero del 63% l’emissione di CO2. La riconversione avverrebbe grazie ad un aumento di capitale dal 3 mld di Euro richiesto, in prima battuta, alla famiglia Riva, e, in caso di rifiuto, a Unicredit, Intesasanpaolo e Cassa Depositi e Prestiti (cioè lo Stato).
Domenico Palmiotti, sempre sul Sole 24 Ore, chiarisce che questa operazione ‹‹dovrà essere espressamente finalizzata al risanamento›› e Confindustria Taranto parla di ‹‹interesse di notevoli proporzioni che, allontanando definitivamente tentazioni di tipo disfattista e ostruzionista, dovrà meritare da parte nostra [….] un’ampia condivisione›.
Abbiamo chiesto qualche commento in merito ad Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink e decano dell’ambientalismo tarantino.
Alessandro, come commenti l’annuncio di un’eventuale modifica del processo di produzione d’acciaio con conseguente riduzione dell’impatto ambientale?
Si tratta di operazioni di pubbliche relazioni messe in atto da Confindustria. L’Autorizzazione Integrata Ambientale prevede un iter dimensionato su tecnologie che hanno poco a che vedere con il tipo di riconversione annunciata sul Sole 24 Ore e che non sono compatibili con un taglio della CO2 annunciato per far vedere che anche il nostro sistema industriale ha a cuore la riduzione dei gas serra proposta dalla UE. Fin quando una modifica strutturale di tal portata non è prevista in una nuova A.I.A. (che è un vero e proprio contratto con un cronoprogramma da seguire) si parla di aria fritta.
Quando Palmiotti scrive che l’aumento di capitale dovrà essere finalizzato al risanamento (come tutte le somme spese dal commissario), cosa vuol dire?
Anche qui c’è una bella operazione di depistaggio che va chiarita: la normativa dice testualmente che va evitato qualsiasi rischio di inquinamento al momento della cessazione definitiva delle attività ed il sito deve essere ripristinanto ai sensi della normativa vigente in materie di bonifiche e ripristino ambientale. Ciò significa che l’AIA, oltre ad una “bonifica” delle tecnologie – termine che, per le teconologie non esiste ma che viene confuso apposta con il risanamento citato da Palmiotti – dovrebbe prevedere un’accantonamento periodico delle somme necessarie ad ammodernare gli impianti e a bonificare (questa si sarebbe la vera bonifica) terreno e falda inquinate una volta cessata l’attività di produzione. Ci vorrebbe una caratterizzazione veritiera di suolo e falda per quantificare gli investimenti da effettuare al fine di permettere l’utilizzo del nuovo proprietario finanche a fini agricoli.
E questo ripristino è previsto nell’AIA?
Certo, anche se non c’è pubblicità in merito. Da quello che so io non è stata quantificata la somma da accantonare anno per anno e, comunque, ci vorrebbero fidejussioni bancarie vista la presumibile entità delle cifre. Comunque, secondo l’ultima AIA, ILVA non potrebbe investire tutto in ammodernamento degli impianti senza creare fondi per il ripristino a nuovo.
Vuoi commentare le dichiarazioni di Confindustria?
Chi lotta e si impegna per la tutela di ambiente e salute non può essere disfattista, e comunque quando si utilizza un termine così forte bisognerebbe avere il coraggio di fare nomi e cognomi. A questo punto io potrei chiedere: cosa significa non essere disfattisti?
E vuoi commentare l’analisi di Jacopo Giliberto sulla qualità dell’aria di Taranto?
Bisognerebbe avere il buon senso di fare confronti sull’intero spettro di inquinanti, non su uno solo. Se anche fossimo a norma con riferimento al singolo inquinante, il cocktail complessivo è micidiale. A tal proposito la perizia sulle emissioni inquinanti dei consulenti incaricati dalla magistratura è stata molto chiara: partiamo da 4000 tonnellate annue di polveri dalle sole emissioni controllate fino ad arrivare ad una serie di altre emissioni – ben quantificate nella perizia – che non hanno pari in Italia. Peacelink ha analizzato l’archivio INES (ora confluito nell’archivio europeo EPRTR): Taranto è un’enciclopedia a cielo aperto di inquinanti di tutti i tipi. Poi, per fortuna, non tutte le emissioni si tramutano in immissioni: i venti ed i fenomeni atmosferici possono diluire le emissioni inquinanti, ma anche farle ristagnare per ore sul nostro cielo. Per questo motivo talvolta, in presenza di correnti ascensionali, le centraline rilevano poco inquinamento anche in presenza di spettacolari colonne di fumo, salvo poi misurare con il nostro analizzatore portatile di IPA picchi rilevantissimi di immissioni dopo diverse ore.(Siderlandia)

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