Spunta bozza Piano industriale
TARANTO
- Dopo quello ufficiale dello scorso 8 gennaio a Roma al ministero
dello Sviluppo economico, si è svolto mercoledì a Milano nella sede di
Leonardo & Co, advisor del gruppo siderurgico, un nuovo incontro
“informale” sul futuro dell’Ilva. A Roma, insieme ad Enrico Bondi ed al
ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato, presero parte al
vertice l’amministratore delegato di UniCredit, Federico Ghizzoni, il
direttore generale del gruppo Intesa Sanpaolo e amministratore delegato
di Banca Imi, Gaetano Micciché e Pier Francesco Saviotti, ad di Banco
Popolare, affiancati rispettivamente da Andrea Giovannelli (capo dei
ristrutturati), Teresio Testa (responsabile large corporate), Carlo
Bianchi (chief lending officer). Mercoledì, a fare gli onori di casa,
Matteo Manfredi, ad di Leonardo & Co, che nel vertice di Roma era
affiancato dall’avvocato Giuseppe Lombardi (studio Lombardi Molinari
Segni).
Come abbiamo avuto modo di riportare sia nei giorni scorsi
che nei mesi addietro, le banche presenti all’incontro, qualora qualcuno
non lo ricordasse, sono le stesse verso cui l’Ilva è ancora esposta
finanziariamente. Ma sono anche quelle che nel mese di settembre
riattivarono i fidi bancari per far ripartire le attività delle imprese
della Riva Acciaio. E come scriviamo da tempo, saranno le stesse che
finanzieranno l’eventuale piano industriale 2014-2020 dell’Ilva (che
Bondi ha affidato alla McKinsey & Company).
Entrando più nello specifico, secondo la Centrale rischi di
Bankitalia, aggiornata ad ottobre scorso, Ilva beneficia dagli istituti
di un accordato di 1,855 miliardi, dei quali 1,520 utilizzati: di
questi ultimi 534 milioni sono autoliquidanti (factoring), 769 milioni a
scadenza, 7,3 milioni a revoca, 197 di garanzie commerciali e 14 di
garanzie finanziarie (con uno sconfino di 2 milioni). Togliendo le
garanzie, degli 1,3 miliardi residui, Intesa dovrebbe essere esposta per
850 milioni, Banco Popolare per 240, Unicredit 200.
Dunque non è assolutamente un caso se nel vertice romano,
Bondi abbia chiesto alle banche esattamente 1,3 miliardi di euro per
finanziarie il piano industriale dell’Ilva: una sottospecie di ricatto.
Strategia che funzionò quando Bondi prese in mano la Parmalat. Del
resto, l’unico modo per le banche di riottenere i crediti prestati
all’Ilva, è che il siderurgico continui a produrre acciaio: per farlo,
cioè per non chiudere i battenti prima del previsto, è necessario però
realizzare i lavori di risanamento previsti dal piano ambientale con
delle risorse finanziarie che al momento non ci sono. Così come non ci
sono quelle per la necessaria manutenzione degli impianti, oramai non
più rinviabile.
Ma come avevamo previsto, nella riunione di mercoledì (alla
quale pare che Bondi non abbia partecipato) le banche hanno chiesto uno
scontato chiarimento: ovvero sapere se il gruppo Riva parteciperà
all’aumento di capitale e se sì in quale “quantità”. Perché se è vero
che una volta che il decreto 136 sarà convertito in legge Bondi sarà
autorizzato ad effettuare l’aumento di capitale “a pagamento nella
misura necessaria ai fini del risanamento ambientale”, con la
possibilità di offrire le azioni “in opzione ai soci in proporzione al
numero delle azioni possedute”, con “le azioni di nuova emissione che
potranno essere liberate esclusivamente mediante conferimenti in
denaro”, è altrettanto vero che senza le risorse per finanziare i lavori
di risanamento dell’area a caldo a cui Ilva è obbligata per legge, il
siderurgico sarà costretto a fermarsi. Non è un caso se il piano
industriale è stato posposto a quello ambientale. E se in molti abbiano
iniziato a dubitare della possibilità che Bondi possa entrare in
possesso degli 1,9 miliardi sequestrati dalla Procura di Milano al
gruppo Riva nell’ambito dell’inchiesta per frode fiscale (eventualità
comunque prevista nel decreto 136 e che sarà presente nella futura
legge).
Intanto, nella riunione di mercoledì, la Leonardo & Co
ha esposto la bozza ufficiale del piano industriale realizzato da
McKinsey & Company: che prevede per due anni un bilancio ancora in
rosso per l’Ilva. Nel 2013 la perdita sarebbe di oltre 500 milioni di
euro (con ricavi inferiori a quelli realizzati nel 2012 che hanno
sfiorato i 4 miliardi di euro anche se il bilancio ancora non si vede),
mentre nel 2014 si prevede una perdita di 200 milioni di euro con ricavi
in aumento che sfioreranno i 5 miliardi di euro. Il ritorno al segno
“+” nel bilancio Ilva, arriverebbe così nel 2015 con ricavi per oltre 5
miliardi di euro, previsione che si protrarrebbe addirittura per i
cinque anni successivi. A futura memoria, è il caso di ricordare ancora
una volta che la McKinsey & Company, nota multinazionale di
consulenza di direzione, negli anni ha inanellato una serie di
insuccessi, tanto da prendersi le critiche del Financial Times e del The
Economist, oltre ad avere l’onore di libri dedicati ad “una serie di
errori grossolani e disastri che si imputano ad errori di consulenti
della McKinsey”. Ciò detto, la verità sul futuro dell’Ilva verrà a galla
molto presto.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 17.01.2014)
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