(da TarantoOggi)
"... per il 2014, stando a
quanto trapelato ieri dall’incontro tra azienda, sindacati
metalmeccanici ed RSU, saranno 3579 i lavoratori da sottoporre ai
contratti di solidarietà. Entrando nello specifico, 400 nell’area ghisa,
642 nelle acciaierie 1 e 2, 680 nella laminazione a caldo che comprende
i treni nastri 1 e 2, la finitura nastri e il treno lamiere, 428 nella
laminazione a freddo, 476 nei tubifici 1 e 2 e al tubificio Erw, 428
nelle manutenzioni centrali, 514, infine, quelli distribuiti tra
piazzali, servizi e logistica.
Ciò detto, quello che più preoccupa, è
che le dinamiche interne alla fabbrica non sono poi di molto cambiate
rispetto al terremoto del luglio 2012.
In primis non è cambiato l’atteggiamento dell’azienda, che
invece di convocare le RSU di ogni singola area per discutere nel
merito, si è presentata agli incontri già con i numeri degli esuberi
nero su bianco, bypassando dunque ogni pratica concertativa. Inoltre,
non pare essere affatto cambiato l’approccio ai problemi della fabbrica e
dei lavoratori da parte di Fim Cisl e Uilm Uil, che continuano a
sposare la linea aziendale aprioristicamente: non è un caso del resto se
sono le due organizzazioni sindacali ad aver avallato il piano degli
esuberi dicendosi pronte a firmare (visto che le loro RSU avevano già
provveduto a firmare i verbali degli incontri precedenti sulle singole
aree). Così come stupisce l’atteggiamento dell’USB, che ha sposato una
linea del tutto incomprensibile: partecipando ai tavoli quasi da
uditore, per vedere un po’ che aria tira. La Fiom Cgil invece, che pare
stia imparando dai tanti errori del passato, ha sostenuto l’unica linea
possibile: rifiutarsi di firmare qualsivoglia accordo previa visione del
piano industriale. Che ovviamente ancora non c’è e la cui presentazione
è slittata a data da destinarsi.
Non solo: perché l’azienda ha anche risposto picche alla
proposta della Fiom di accollarsi il 10% che la Legge di Stabilità ha
detratto dall’integrazione salariale da parte dello Stato sui contratti
di solidarietà. I quali prevedono il taglio medio del salario del 20%,
con una riduzione media dell’orario di lavoro prossima al 35%. Ai
lavoratori in Cds infatti, è sempre stata riconosciuta una retribuzione
pari al 60% dello stipendio. Grazie all’integrazione statale, fino al
2013 pari al 20%, si riusciva a salvare di fatto l’80% dello stipendio;
ora, per effetto del provvedimento governativo, si raggiungerà il 70%.
Ma la dirigenza Ilva ha dichiarato di non avere le risorse finanziarie
per coprire il 10% mancante. Del resto, già nei giorni scorsi l’azienda
aveva comunicati alle RSU di Genova di non essere in grado di rispettare
gli accordi stabiliti dall’accordo di programma del 2005. Ed allora che
si fa? Si va a bussare alla porta della Regione Puglia (come aveva già
proposto la scorsa settimana la Fim Cisl) nella speranza (molto remota)
che il governo regionale possa coprire il 10% in questione.
Sia come sia, i problemi non finiscono di certo qui. Come
riportato già da tempo, il siderurgico abbisogna di immediati lavori di
manutenzione ordinaria e straordinaria in diversi reparti, specialmente
dell’area a caldo. Anche in questo caso il piatto dell’azienda piange:
non è un caso se le risorse finanziarie per ovviare a questi problemi
sono state veicolate dal commissario Bondi ad un eventuale quanto
improbabile aumento di capitale. Al quale sono veicolati anche i lavori
previsti dall’AIA, per i quali si attende il piano ambientale che il
ministero dell’Ambiente varerà entro febbraio per decreto e che dovrebbe
ammontare ad oltre 2 miliardi di euro. Sul quale piano pesano svariate
ombre tra cui l’eventuale fermata definitiva di AFO 5, l’eventuale
ripartenza di AFO 1 e la futuristica copertura dei parchi minerali
primari.
Per non parlare del fatto che bisogna fare i conti con la
crisi del mercato: nei prossimi giorni infatti, e per due settimane,
saranno fermati i tubifici 1 e 2. Ma a fermarsi sarà anche il treno
lamiere: quest’ultimo però, per la scarsa qualità dell’acciaio che
oramai l’Ilva produce. E non certo da oggi. Cosa che tutti sanno ma di
cui però non parla mai nessuno. Oltre un anno fa, definimmo il
siderurgico un gigante d’acciaio con i piedi di argilla che rischia di
implodere ed accartocciarsi su se stesso. Ed è proprio quello che sta
accadendo giorno dopo giorno. Auguri.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 31.01.2014)
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