MODUGNO – Un passeggino avvolto da una bandiera.
A spingerlo è Antonella, 39 anni, addetta alle vendite dell’iper – mercato
Auchan. Sabato è scesa in piazza anche lei, madre di tre figli e sposata con
Nicola, 39 anni, operaio alla Brindgestone, storica azienda produttrice di
pneumatici, dopo l’annuncio dei 58 «esuberi» da parte dell’azienda francese, che
in questa sede dà globalmente lavoro a 192 persone. Il piccolo gioca con la
bandiera della protesta. È nato 18 mesi fa, proprio mentre suo padre Nicola
iniziava la cassa integrazione, perché l’azienda giapponese che annunciava
inaspettatamente lo stato di crisi dichiarando ufficialmente che i suoi
interessi sul sito barese erano conclusi dopo oltre un trentennio di attività e
di produzione.
«La storia si ripete ancora» dice abbassando gli occhi. Proprio lui i primi pneumatici ha iniziato a fabbricarli circa 15 anni fa, con la formula del contratto week end. Al lavoro il sabato e la domenica, tra mescole, presse e macchine a controllo numerico. Turni spinti, nati per ottimizzare la produzione. Antonella intanto studiava all’università, una laurea in economia e commercio da raggiungere e tanti sogni nel cassetto.
A Modugno si insedia l’Auchan. Arriva un posto di lavoro. Pazienza se a questo punto è la laurea ad accomodarsi nel cassetto in attesa di sogni migliori. Per lei ci sono 19 ore di contratto. Turni di sera, pomeriggio e mattina. Festivi e pre-festivi compresi. Un pacchetto chiavi mano, un contratto che qualcuno ha definito «salva famiglia» perché permette di avere tempo dopo il lavoro da dedicare a ciò che vuoi. Nicola e Antonella si sposano, una vita insieme legata non proprio alla fede che portano al dito ma al ritmo dei turni. Il contratto di Nicola passa dal week-end alle quaranta ore settimanali, domenica compresa. Arriva lo scorrimento e sul calendario di casa guadagna qualche domenica libera in più. Arrivano i primi figli, due bambine di sette e cinque anni. Poi un maschietto.
«Dopo la terza maternità mi hanno cambiato reparto – dice Antonella – sono rientrata al lavoro ma eravamo già in contratto di solidarietà, il mio contratto da 19 ore è passato a 14 ore settimanali, per un guadagno mensile di 700 euro al mese». A queste cifre è inevitabile lavorare in due. «Immagina cosa significa avere tre figli da accudire e alzarsi all’alba per andare a lavorare» dice.
Sullo sfondo la protesta. Le bandiere, i fischi, le speranze di una generazione che ha gli stessi anni di Antonella e Nicola e che ne vive gli stessi drammi. La protesta diventa formato famiglia. Con loro la piccola di cinque anni sventola una bandiera. La più grande è andata a scuola. Antonella riprende il discorso ed insiste. «Per recarci al lavoro sballottiamo i bambini qua e là ogni giorno, sempre alla ricerca della disponibilità di un nonno. Senza contare i giorni in cui a malapena ci si vede o in cui non riusciamo nemmeno a darci il cambio in casa. Anni di sacrifici, debiti ed eccoci qua, ci trattano così. Diventiamo esuberi».
Nicola annuisce. Ripercorre in pochi pensieri la situazione della sua azienda, confessa che non è rosea ma glissa sul futuro. «Non so – dice – al momento ci tocca la cassa integrazione per una settimana al mese». Si guarda intorno. Davanti a lui tanti coetanei quarantenni con le bandiere in mano che chiedono diritti. «È una questione generazionale – confessa – ci hanno portato in queste condizioni, noi il nostro dovere lo facciamo ogni giorno ». I sindacati hanno chiesto alla Auchan di aprire una trattativa. Se il dialogo non sarà avviato, le lettere di licenziamento sono previste a novembre prossimo".
«La storia si ripete ancora» dice abbassando gli occhi. Proprio lui i primi pneumatici ha iniziato a fabbricarli circa 15 anni fa, con la formula del contratto week end. Al lavoro il sabato e la domenica, tra mescole, presse e macchine a controllo numerico. Turni spinti, nati per ottimizzare la produzione. Antonella intanto studiava all’università, una laurea in economia e commercio da raggiungere e tanti sogni nel cassetto.
A Modugno si insedia l’Auchan. Arriva un posto di lavoro. Pazienza se a questo punto è la laurea ad accomodarsi nel cassetto in attesa di sogni migliori. Per lei ci sono 19 ore di contratto. Turni di sera, pomeriggio e mattina. Festivi e pre-festivi compresi. Un pacchetto chiavi mano, un contratto che qualcuno ha definito «salva famiglia» perché permette di avere tempo dopo il lavoro da dedicare a ciò che vuoi. Nicola e Antonella si sposano, una vita insieme legata non proprio alla fede che portano al dito ma al ritmo dei turni. Il contratto di Nicola passa dal week-end alle quaranta ore settimanali, domenica compresa. Arriva lo scorrimento e sul calendario di casa guadagna qualche domenica libera in più. Arrivano i primi figli, due bambine di sette e cinque anni. Poi un maschietto.
«Dopo la terza maternità mi hanno cambiato reparto – dice Antonella – sono rientrata al lavoro ma eravamo già in contratto di solidarietà, il mio contratto da 19 ore è passato a 14 ore settimanali, per un guadagno mensile di 700 euro al mese». A queste cifre è inevitabile lavorare in due. «Immagina cosa significa avere tre figli da accudire e alzarsi all’alba per andare a lavorare» dice.
Sullo sfondo la protesta. Le bandiere, i fischi, le speranze di una generazione che ha gli stessi anni di Antonella e Nicola e che ne vive gli stessi drammi. La protesta diventa formato famiglia. Con loro la piccola di cinque anni sventola una bandiera. La più grande è andata a scuola. Antonella riprende il discorso ed insiste. «Per recarci al lavoro sballottiamo i bambini qua e là ogni giorno, sempre alla ricerca della disponibilità di un nonno. Senza contare i giorni in cui a malapena ci si vede o in cui non riusciamo nemmeno a darci il cambio in casa. Anni di sacrifici, debiti ed eccoci qua, ci trattano così. Diventiamo esuberi».
Nicola annuisce. Ripercorre in pochi pensieri la situazione della sua azienda, confessa che non è rosea ma glissa sul futuro. «Non so – dice – al momento ci tocca la cassa integrazione per una settimana al mese». Si guarda intorno. Davanti a lui tanti coetanei quarantenni con le bandiere in mano che chiedono diritti. «È una questione generazionale – confessa – ci hanno portato in queste condizioni, noi il nostro dovere lo facciamo ogni giorno ». I sindacati hanno chiesto alla Auchan di aprire una trattativa. Se il dialogo non sarà avviato, le lettere di licenziamento sono previste a novembre prossimo".
Nessun commento:
Posta un commento