lunedì 23 dicembre 2019

Testimonianze di operai dei centri siderurgici chiusi: "Ciò cui ora stiamo andando incontro ci uccide più di qualsiasi cosa"

Varie volte è successo che nei dibattiti, soprattutto nell'area delle associazioni ambientaliste, sulla situazione Ilva/Taranto, si è accennato a Pittsburgh, come esempio di una città dell'acciaio che riconvertita ad economia del terziario, turistico, informatica, sarebbe diventato un "paradiso".

Riportiamo alcune testimonianze di operai che fino agli anni 80 lavoravano in questo grande centro siderurgico, sede della più grande fabbrica della U.S. Steel Corporation. (dal libro "L'Autunno operaio 1969" di Giuseppe Maione.

"In dieci anni, tra il 1970 e il 1980 la città aveva perduto 37mila posti di lavoro... Conseguenza utile dal punto di vista ecologico: "Il cielo è blu, gli alberi sono tornati versi e l'aria è limpida e frizzante: Autunno in Pittsburgh?". Ma drammatica per coloro che avevano perduto il posto di lavoro...

In un altra città, Detroit... "interi quartieri erano stati abbandonati, per un totale di 70-80mila case...  I turisti visitavano le rovine (della fabbrica) come se si trattasse di una città antica e l'archeologia industriale sembrava l'unica attività che potesse avere futuro.
Non sorprende che i lavoratori espulsi dall'attività produttiva vivessero questo mutamento con disperazione e panico.
"Le fabbriche sono vuote, coi vetri rotti, le loro imponenti silhouette di fumaioli si ergono contro cieli nuvolosi. La città è una città di case abbandonate e veicoli abbandonati. E la gente che rimane sta in piedi agli angoli delle strade, con le mani disoccupate, senza speranza, affondate nelle tasche". 

Ma le testimonianze riguardano anche la fine della comunità operaia:
"Le chiusure delle acciaierie nella regione di Pittsburgh comportavano molto più che non posti di lavoro. Fu cancellato un modo di vita intergenerazionale che forniva un senso di continuità, sicurezza, coesione familiare e senso di comunità. Le fabbriche erano state create per produrre acciaio, ma attorno a quella funzione, gli operai avevano creato un complesso sistema sociale. La perdita di esso definiva il costo reale della de/industrializzazione"
"Questa un tempo fu la città dell'acciaio e ora sta diventando una città fantasma. Sta morendo di morte lenta. La più grande e migliore fabbrica di acciaio del mondo sta andando in polvere. E' disgustoso. In passato per tutta la notte potevate sentire quella musica - il battere e ribattere, i sibili, i motori. Potevo sentire il sapore del fumo in bocca, ma ero felice. Credetemi; la gente accetterebbe di riavere il fumo e il rumore indietro. Ciò cui ora stiamo andando incontro ci uccide più di qualsiasi cosa"...
"Tuttavia la drastica contrazione della classe operaia di fabbrica non comportò una eliminazione dello sfruttamento, bensì una sua radicale trasformazione. Nel nuovo sistema a una rigida contrapposizione tra le classi si è sostituita una sorta di "palude" orizzontale che raccoglie una infinita gamma di profili professionali e dalla quale si può facilmente precipitare nelle sabbie mobili del lavoro degradato o tenersi in piedi inventandosi attività di "nicchia" che permettono di realizzare rapide ma spesso precarie fortune..." 

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