Il piano provocatorio presentato da
ArcelorMittal è chiaramente volto a ricattare lavoratori, sindacati
e città. Mittal pretende 4700 nuovi esuberi, di cui 2800 sin dal
prossimo anno e gli altri negli anni successivi. Tutti insieme si
arriva a quasi 6mila e 500 esuberi tenendo conto che vostri compagni
di lavoro sono stati buttati fuori nel primo giro.
E' chiaro che questo piano è
inaccettabile e che la risposta degli operai è lo sciopero. Perchè
senza che ci facciamo sentire, blocchiamo tutto il possibile, in
fabbrica ma anche la città, effettivamente il prossimo futuro è
nero.
Chi dice che non bisogna bloccare la
città, a qualsiasi organizzazione appartengano, vuole impedire una
vera lotta; perchè quando si attacca in queste dimensioni una
fabbrica la reazione dei lavoratori e della città deve essere dura e
compatta.
La verità è che siamo di fronte ad
uno scontro serio per difendere fabbrica, lavoro e la prospettiva di
un cambiamento. Senza la fabbrica aperta non ci sarà nessun
risanamento ambientale, senza la fabbrica aperta con i lavoratori
dentro non ci sarà nessuna tutela del lavoro e della salute, se non
rimane forte e chiara un'emergenza dettata dalla fabbrica aperta,
dettata dal fatto che i lavoratori stanno opponendo resistenza ai
piani del padrone.
Oggi i lavoratori devono tutelare il
lavoro in questa fabbrica e devono costringere le controparti ad
un'effettiva bonifica, risanamento e rinnovamento degli impianti e
ambientalizzazione. Chi dice che non si può fare ha già detto Sì
al padrone. Invece si può e si deve fare, certo con piani di
emergenza, con un utilizzo di tutti i lavoratori. Ma l'utilizzo dei
lavoratori nelle bonifiche richiede un organizzazione unica del
lavoro, quindi tutti in fabbrica, che sia ArcelorMittal o una
fabbrica nazionalizzata.
Ma, a proposito di nazionalizzazione,
per favore, nessuna illusioni sullo Stato. “Se la prenda lo
Stato”, “se ne occupi il governo”, si dice. Certo il governo se
ne deve occupare e se ne sta occupando ma perchè sta tenendo
obiettivamente bordone ai piani di ArcelorMittal. Una fabbrica
nazionalizzata avrebbe lo stesso problema di “volumi dell'acciaio
da vendere”, avrebbe lo stesso problema di piani industriali e di
esuberi e peggioramento delle condizioni normative e salariali.
Non c'è una soluzione Stato, in un
sistema capitalista, che sia migliore di quella dei privati. I
governi cambiano ma difendono sempre gli interessi del capitale. C'è
solo una “soluzione operaia”.
Perchè qui non ci sono tanti soggetti
in campo, c'è ne sono solo due: padroni e operai.
Padroni che vogliono continuare la
produzione in questa fabbrica alle loro condizioni. Condizioni in cui
non ci sono solo gli esuberi, ma anche la riformulazione dei
contratti. Cioè la Mittal torna al punto iniziale, quello precedente
l'accordo del 2018, chiedendo non solo gli esuberi, ma anche la
revisione generale in peggio dei contratti, il demansionamento, ecc;
per non dire quello che succederà all'appalto, dove ci sarebbe solo
disoccupazione, con la chiara intenzione di avere operai schiavi e
non certo operai con i loro salari, i loro diritti. I volumi
produttivi di cui si parla sono in realtà 6milioni di tonnellate,
dopo una fase di 4,5 milioni attuale, ma quando si prevedono questi
volumi produttivi evidentemente si intendono farli con una fabbrica
dimezzata e con più sfruttamento per chi resta, che poi vuol dire
anche più rischio sicurezza, salute e vita. Mittal pretende immunità penale, nessun divieto dalla magistratura per non mettere realmente e subito in sicurezza gli impianti e la fabbrica. Quindi, non solo esuberi
ma anche il taglio dei diritti e salari di chi resta in fabbrica, mani libere per non fare le bonifiche.
Gli unici “esuberi” che noi
possiamo accettare sono quelli risolti con il prepensionamento,
che è anche una forma di risarcimento reale verso una fabbrica in
cui non si può stare 40 anni. 25 anni bastano, l'abbiamo
detto all'inizio, dal primo giorno; così come la “soluzione” è
la riduzione dell'orario di lavoro salvaguardando i salari.
La soluzione è lasciare aperta la
fabbrica col maggior numero di lavoratori possibile e difendere
strenuamente posti di lavoro, imponendo piani di emergenza per
l'ambientalizzazione, per gli interventi sanitari esterni alla
fabbrica. Se non ci sarà resistenza alla fabbrica non avremo né
lavoro né salute.
In questa battaglia non si può contare
su coloro che vogliono la chiusura della fabbrica. Mittal vuole
chiuderla per i suoi interessi e altri gli danno una mano col
discorso della chiusura della fabbrica.
Trasformare una grande città
industriale come Taranto in un deserto, in una nuova mega Bagnoli e
trasformare i lavoratori in una massa di operai in cassintegrazione
per anni, è il peggio che può avvenire in questa città.
Trasformare la città, dove
effettivamente si può parlare di “città dei morti” perchè sono
tanti i morti sul lavoro e da inquinamento, in una “città morta”
sarebbe una sciagura peggiore del male.
Non è affatto vero che se si chiude la
fabbrica ci sarà la salvaguardia della salute e del lavoro.
E' una favola, a cui si è associata
sciaguratamente recentemente l'Usb che ora ha cambiato faccia ed è
diventata una ruota di scorta degli ambientalisti antioperai, quelli
che vogliono la difesa della salute sulla pelle dei lavoratori
buttati fuori dalla fabbrica.
Bisogna dire un NO secco ai piani di
Mittal. E la forma che i lavoratori hanno è lo sciopero.
E' un bel po' che non vediamo
scioperi veri in questa fabbrica, purtroppo. Ne abbiamo visto uno ad
ottobre di due anni fa, ma niente altro. Ma lo sciopero è l'arma che hanno i
lavoratori.
Certo se la sanno usare, se si blocca effettivamente la
fabbrica e la città. Senza bloccare la città questa vertenza non si
risolverà mai. E chi dice che i cittadini sono contrari che si
blocchi la città raccoglie solo le lamentale degli ambientalisti
antioperai che sono venuti ad aggiungere al ricatto occupazionale del
padrone il ricatto morale.
Noi consideriamo l'iniziativa del Usb e
degli ambientalisti del 29 novembre un favore al padrone. Non c'è
bisogno di agitarsi per avere la “fabbrica chiusa”, ci sta
pensando già in padrone, e questo sarebbe una sciagura.
Non è affatto vero che là dove si
sono chiuse le fabbriche i lavoratori, soprattutto in Italia, hanno
mai avuto una ben che minima tutela in termini di lavoro e salute.
Vedete Bagnoli, dopo più di 30 anni la zona non è stata affatto
bonificata; ma vedete anche cosa sta là dove stava la Belleli, con
operai buttati fuori e messi per anni anni in cassintegrazione che
ha tolto lavoro e dignità ad una classe che era combattiva, c'è una
terreno abbandonato, da discarica. Lo stesso, moltiplicato per mille,
e con tutto l'inquinamento che resta, avremmo con la chiusura
dell'Ilva.
Non è affatto vero che le nuove
possibilità occupazionali dipendano dalla chiusura della fabbrica.
Perchè non le hanno fatte fino adesso?! Che c'entra l'Ilva con il
potenziamento dell'Arsenale (che vogliono potenziare in funzione
delle missioni di guerra, mettendoci grossi fondi, senza considerare
che l'arsenale ha inquinato e continua ad inquinare il mare come
l'Ilva), con lo sviluppo del turismo, ecc. Chi dice che il turismo
non si è sviluppato perchè c'è l'Ilva dice una bugia. Il turismo
non si è sviluppato perchè i padroni a Taranto sono “prenditori”,
vogliono fare attività solo quando vengono foraggiati dallo Stato,
salvo poi chiudere anche loro. Nessuno di questi presunti
imprenditori di “turismo” si è impegnato negli anni scorsi a
salvaguardare la città. Non è affatto vero che altre attività
industriali si possono costruire sul disastro Ilva; queste attività
già c'erano in questa città: la Vestas, la Marcegaglia che stava
facendo un altro tipo di attività e altre attività industriali che
sono chiuse, e non certo perchè c'era l'Ilva.
Quindi, chi dice che c'è un nesso tra
la chiusura dell'Ilva e le nuove possibilità occupazionali è un
ingannapopolo. E non saranno certo le proposte “miracolose del
Ministro Patuanelli, che forse non ha mai visto una fabbrica in vita
sua, che potranno salvare dal disastro ambientale e dal disastro
occupazionale.
Sono tutte favole, o bugie interessate,
di coloro che non conoscono, o fanno finta di non sapere come
funzionano le cose in un sistema capitalista e che la fine peggiore è
la chiusura delle fabbriche. I padroni tutti, qualsiasi attività
produttiva facciano, pensano unicamente al profitto e a tagliare i
costi per la sicurezza, la salute e a sfruttare/distruggere le
risorse naturali.
Poi noi non siamo assolutamente
d'accordo che gli operai dell'Ilva dovrebbero essere buttati fuori
dalla loro fabbrica e dovrebbero riempire i posti di lavoro
all'esterno di questa fabbrica. Significherebbe toglierli ai
disoccupati e ai precari. Taranto così rimarrebbe la città dei
disoccupati, In questa città vi sono oltre 70mila tra disoccupati e
precari che hanno diritto ad essere occupati, e le nuove attività
sia industriali che non industriali devono essere fatte per dare loro
lavoro, perchè altrimenti questi non lavorano mai. Far chiudere
questa fabbrica vuol dire sacrificare il lavoro anche dei nostri
figli.
Noi non abbiamo altra scelta che dire
No al piano Mittal, non abbiamo altra scelta che difendere duramente
lavoro e possibilità di ambientalizzazione della fabbrica e della
città.
Si accusano i lavoratori di “pensare
solo al salario”. A parte che questo non è certo una novità ed è
anche giusto e necessario perchè agli operai nessuno regala i soldi
a casa, diciamo agli operai che dicono: tanto ci mettono in
cassintegrazione , che questa è un'amara è breve consolazione, che
svende condizioni di vita e dignità. I soldi dello Stato non devono
essere usati per la cassintegrazione, per tenere a “bagno maria”
migliaia di operai. Non possiamo trasformarci nella “citta dei
cassintegrati”.
Per questo bisogna difendere fabbrica e
posto di lavoro. E chi parla di “chiusura” come soluzione è un
nemico dei lavoratori, porta un ricatto morale che si aggiunge al
ricatto occupazionale.
L'emergenza ambientale e sanitaria
domanda ben più dei soldi che il governo ha messo. Si deve tornare
agli 8 miliardi che c'erano come fondi necessari per la bonifica e
l'ambientalizzazione nella vecchia inchiesta Todisco del 2012. Questi
8 miliardi devono essere dati.
La questione, oggi, torna agli inizi:
lo sciagurato accordo del 6 settembre 2018, che i sindacati
continuano a difendere, perchè quell'accordo che fu firmato da
tutti, compreso l'Usb – che poi, dietro pressione degli stessi
operai e dopo la morte di Cosimo Massaro, ha ritirato la firma - è
stato il classico dito dato al padrone che poi si è presa la mano.
L'abbiamo visto in questo periodo post
accordo del 6 settembre, nessun operaio è stato ricollocato, hanno
fatto corsi di riqualificazione inutili, con uno Stato che spende
soldi pubblici, nessun operaio ha lavorato per le bonifiche, nessun
cassintegrato è stato ricollocato, figurarsi se ricollocheranno 6400
nuovi esuberi.
I sindacati non possono fare lo stesso
giochetto del 2018: nessuno esubero e poi ne abbiamo trovato 2600 e
un padrone che ha preteso di fare quello che gli pareva. Non si può
ora ribadire: nessun esubero e poi avere lo stesso tanti esuberi.
I sindacati confederali, i delegati
continuano a chiedere “l'applicazione dell'accordo del 6
settembre”, quando esso ha aperto la strada all'attuale accordo. E'
stato come sfogliare un carciofo: prima l'accordo del 6 settembre,
poi un nuovo accordo sulla cassintegrazione per circa 1400 operai,
poi proroga della cigo, poi la richiesta di 4700 tagli.
Questo è un cammino unico. E c'è chi,
lo Slai cobas sc, lo aveva detto fin dall'inizio.
Chi continua a difendere l'accordo del
6 settembre, difenderà un nuovo accordo che continuerà a tagliare
lavoro, diritti, salario, oltre che non darà nessuna vera
prospettiva sul fronte della salute, del risanamento ambientale della
città.
Quindi, nessuna difesa dell'accordo del
6 settembre, nessun esubero, ma un nuovo accordo in cui al massimo
gli esuberi vanno fuori dalla fabbrica per una sola ragione, per il
prepensionamento, come risarcimento che i lavoratori meritano,
riduzione dell'orario di lavoro.
Ma occorre una lotta prolungata e su
obiettivi chiari, una piattaforma operaia e su questo costruire un
fronte sociale.
Certo, gli operai, dopo il 2012/13 non
hanno neanche provato ad unire con la loro iniziativa il fronte di
lotta. Occorre vincere confusione, paure e recuperare la dignità
operaia offesa.
Il nostro destino sta nelle nostre
mani, sono gli operai che possono tirare fuori da una situazione
grave che sembra senza via d'uscita.
E' possibile cambiare le cose, ma solo se gli operai, dentro la fabbrica si organizzano per cambiarle. Non c'è nessuno che può risolvere i vostri problemi, siete voi che dovete farlo!
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