domenica 8 dicembre 2019

OPERAI, PRENDETE LA SITUAZIONE NELLE VOSTRE MANI!

Il piano provocatorio presentato da ArcelorMittal è chiaramente volto a ricattare lavoratori, sindacati e città. Mittal pretende 4700 nuovi esuberi, di cui 2800 sin dal prossimo anno e gli altri negli anni successivi. Tutti insieme si arriva a quasi 6mila e 500 esuberi tenendo conto che vostri compagni di lavoro sono stati buttati fuori nel primo giro.
E' chiaro che questo piano è inaccettabile e che la risposta degli operai è lo sciopero. Perchè senza che ci facciamo sentire, blocchiamo tutto il possibile, in fabbrica ma anche la città, effettivamente il prossimo futuro è nero.
Chi dice che non bisogna bloccare la città, a qualsiasi organizzazione appartengano, vuole impedire una vera lotta; perchè quando si attacca in queste dimensioni una fabbrica la reazione dei lavoratori e della città deve essere dura e compatta.
La verità è che siamo di fronte ad uno scontro serio per difendere fabbrica, lavoro e la prospettiva di un cambiamento. Senza la fabbrica aperta non ci sarà nessun risanamento ambientale, senza la fabbrica aperta con i lavoratori dentro non ci sarà nessuna tutela del lavoro e della salute, se non rimane forte e chiara un'emergenza dettata dalla fabbrica aperta, dettata dal fatto che i lavoratori stanno opponendo resistenza ai piani del padrone.

Oggi i lavoratori devono tutelare il lavoro in questa fabbrica e devono costringere le controparti ad un'effettiva bonifica, risanamento e rinnovamento degli impianti e ambientalizzazione. Chi dice che non si può fare ha già detto Sì al padrone. Invece si può e si deve fare, certo con piani di emergenza, con un utilizzo di tutti i lavoratori. Ma l'utilizzo dei lavoratori nelle bonifiche richiede un organizzazione unica del lavoro, quindi tutti in fabbrica, che sia ArcelorMittal o una fabbrica nazionalizzata.
Ma, a proposito di nazionalizzazione, per favore, nessuna illusioni sullo Stato. “Se la prenda lo Stato”, “se ne occupi il governo”, si dice. Certo il governo se ne deve occupare e se ne sta occupando ma perchè sta tenendo obiettivamente bordone ai piani di ArcelorMittal. Una fabbrica nazionalizzata avrebbe lo stesso problema di “volumi dell'acciaio da vendere”, avrebbe lo stesso problema di piani industriali e di esuberi e peggioramento delle condizioni normative e salariali.
Non c'è una soluzione Stato, in un sistema capitalista, che sia migliore di quella dei privati. I governi cambiano ma difendono sempre gli interessi del capitale. C'è solo una “soluzione operaia”.

Perchè qui non ci sono tanti soggetti in campo, c'è ne sono solo due: padroni e operai.
Padroni che vogliono continuare la produzione in questa fabbrica alle loro condizioni. Condizioni in cui non ci sono solo gli esuberi, ma anche la riformulazione dei contratti. Cioè la Mittal torna al punto iniziale, quello precedente l'accordo del 2018, chiedendo non solo gli esuberi, ma anche la revisione generale in peggio dei contratti, il demansionamento, ecc; per non dire quello che succederà all'appalto, dove ci sarebbe solo disoccupazione, con la chiara intenzione di avere operai schiavi e non certo operai con i loro salari, i loro diritti. I volumi produttivi di cui si parla sono in realtà 6milioni di tonnellate, dopo una fase di 4,5 milioni attuale, ma quando si prevedono questi volumi produttivi evidentemente si intendono farli con una fabbrica dimezzata e con più sfruttamento per chi resta, che poi vuol dire anche più rischio sicurezza, salute e vita. Mittal pretende immunità penale, nessun divieto dalla magistratura per non mettere realmente e subito in sicurezza gli impianti e la fabbrica. Quindi, non solo esuberi ma anche il taglio dei diritti e salari di chi resta in fabbrica, mani libere per non fare le bonifiche.

Gli unici “esuberi” che noi possiamo accettare sono quelli risolti con il prepensionamento, che è anche una forma di risarcimento reale verso una fabbrica in cui non si può stare 40 anni. 25 anni bastano, l'abbiamo detto all'inizio, dal primo giorno; così come la “soluzione” è la riduzione dell'orario di lavoro salvaguardando i salari.
La soluzione è lasciare aperta la fabbrica col maggior numero di lavoratori possibile e difendere strenuamente posti di lavoro, imponendo piani di emergenza per l'ambientalizzazione, per gli interventi sanitari esterni alla fabbrica. Se non ci sarà resistenza alla fabbrica non avremo né lavoro né salute.

In questa battaglia non si può contare su coloro che vogliono la chiusura della fabbrica. Mittal vuole chiuderla per i suoi interessi e altri gli danno una mano col discorso della chiusura della fabbrica.
Trasformare una grande città industriale come Taranto in un deserto, in una nuova mega Bagnoli e trasformare i lavoratori in una massa di operai in cassintegrazione per anni, è il peggio che può avvenire in questa città.
Trasformare la città, dove effettivamente si può parlare di “città dei morti” perchè sono tanti i morti sul lavoro e da inquinamento, in una “città morta” sarebbe una sciagura peggiore del male.
Non è affatto vero che se si chiude la fabbrica ci sarà la salvaguardia della salute e del lavoro.
E' una favola, a cui si è associata sciaguratamente recentemente l'Usb che ora ha cambiato faccia ed è diventata una ruota di scorta degli ambientalisti antioperai, quelli che vogliono la difesa della salute sulla pelle dei lavoratori buttati fuori dalla fabbrica.
Bisogna dire un NO secco ai piani di Mittal. E la forma che i lavoratori hanno è lo sciopero.
E' un bel po' che non vediamo scioperi veri in questa fabbrica, purtroppo. Ne abbiamo visto uno ad ottobre di due anni fa, ma niente altro. Ma lo sciopero è l'arma che hanno i lavoratori. 
Certo se la sanno usare, se si blocca effettivamente la fabbrica e la città. Senza bloccare la città questa vertenza non si risolverà mai. E chi dice che i cittadini sono contrari che si blocchi la città raccoglie solo le lamentale degli ambientalisti antioperai che sono venuti ad aggiungere al ricatto occupazionale del padrone il ricatto morale.
Noi consideriamo l'iniziativa del Usb e degli ambientalisti del 29 novembre un favore al padrone. Non c'è bisogno di agitarsi per avere la “fabbrica chiusa”, ci sta pensando già in padrone, e questo sarebbe una sciagura.
Non è affatto vero che là dove si sono chiuse le fabbriche i lavoratori, soprattutto in Italia, hanno mai avuto una ben che minima tutela in termini di lavoro e salute. Vedete Bagnoli, dopo più di 30 anni la zona non è stata affatto bonificata; ma vedete anche cosa sta là dove stava la Belleli, con operai buttati fuori e messi per anni anni in cassintegrazione che ha tolto lavoro e dignità ad una classe che era combattiva, c'è una terreno abbandonato, da discarica. Lo stesso, moltiplicato per mille, e con tutto l'inquinamento che resta, avremmo con la chiusura dell'Ilva.

Non è affatto vero che le nuove possibilità occupazionali dipendano dalla chiusura della fabbrica. Perchè non le hanno fatte fino adesso?! Che c'entra l'Ilva con il potenziamento dell'Arsenale (che vogliono potenziare in funzione delle missioni di guerra, mettendoci grossi fondi, senza considerare che l'arsenale ha inquinato e continua ad inquinare il mare come l'Ilva), con lo sviluppo del turismo, ecc. Chi dice che il turismo non si è sviluppato perchè c'è l'Ilva dice una bugia. Il turismo non si è sviluppato perchè i padroni a Taranto sono “prenditori”, vogliono fare attività solo quando vengono foraggiati dallo Stato, salvo poi chiudere anche loro. Nessuno di questi presunti imprenditori di “turismo” si è impegnato negli anni scorsi a salvaguardare la città. Non è affatto vero che altre attività industriali si possono costruire sul disastro Ilva; queste attività già c'erano in questa città: la Vestas, la Marcegaglia che stava facendo un altro tipo di attività e altre attività industriali che sono chiuse, e non certo perchè c'era l'Ilva.
Quindi, chi dice che c'è un nesso tra la chiusura dell'Ilva e le nuove possibilità occupazionali è un ingannapopolo. E non saranno certo le proposte “miracolose del Ministro Patuanelli, che forse non ha mai visto una fabbrica in vita sua, che potranno salvare dal disastro ambientale e dal disastro occupazionale.
Sono tutte favole, o bugie interessate, di coloro che non conoscono, o fanno finta di non sapere come funzionano le cose in un sistema capitalista e che la fine peggiore è la chiusura delle fabbriche. I padroni tutti, qualsiasi attività produttiva facciano, pensano unicamente al profitto e a tagliare i costi per la sicurezza, la salute e a sfruttare/distruggere le risorse naturali.
Poi noi non siamo assolutamente d'accordo che gli operai dell'Ilva dovrebbero essere buttati fuori dalla loro fabbrica e dovrebbero riempire i posti di lavoro all'esterno di questa fabbrica. Significherebbe toglierli ai disoccupati e ai precari. Taranto così rimarrebbe la città dei disoccupati, In questa città vi sono oltre 70mila tra disoccupati e precari che hanno diritto ad essere occupati, e le nuove attività sia industriali che non industriali devono essere fatte per dare loro lavoro, perchè altrimenti questi non lavorano mai. Far chiudere questa fabbrica vuol dire sacrificare il lavoro anche dei nostri figli.
Noi non abbiamo altra scelta che dire No al piano Mittal, non abbiamo altra scelta che difendere duramente lavoro e possibilità di ambientalizzazione della fabbrica e della città.

Si accusano i lavoratori di “pensare solo al salario”. A parte che questo non è certo una novità ed è anche giusto e necessario perchè agli operai nessuno regala i soldi a casa, diciamo agli operai che dicono: tanto ci mettono in cassintegrazione , che questa è un'amara è breve consolazione, che svende condizioni di vita e dignità. I soldi dello Stato non devono essere usati per la cassintegrazione, per tenere a “bagno maria” migliaia di operai. Non possiamo trasformarci nella “citta dei cassintegrati”.

Per questo bisogna difendere fabbrica e posto di lavoro. E chi parla di “chiusura” come soluzione è un nemico dei lavoratori, porta un ricatto morale che si aggiunge al ricatto occupazionale.
L'emergenza ambientale e sanitaria domanda ben più dei soldi che il governo ha messo. Si deve tornare agli 8 miliardi che c'erano come fondi necessari per la bonifica e l'ambientalizzazione nella vecchia inchiesta Todisco del 2012. Questi 8 miliardi devono essere dati.

La questione, oggi, torna agli inizi: lo sciagurato accordo del 6 settembre 2018, che i sindacati continuano a difendere, perchè quell'accordo che fu firmato da tutti, compreso l'Usb – che poi, dietro pressione degli stessi operai e dopo la morte di Cosimo Massaro, ha ritirato la firma - è stato il classico dito dato al padrone che poi si è presa la mano.
L'abbiamo visto in questo periodo post accordo del 6 settembre, nessun operaio è stato ricollocato, hanno fatto corsi di riqualificazione inutili, con uno Stato che spende soldi pubblici, nessun operaio ha lavorato per le bonifiche, nessun cassintegrato è stato ricollocato, figurarsi se ricollocheranno 6400 nuovi esuberi.
I sindacati non possono fare lo stesso giochetto del 2018: nessuno esubero e poi ne abbiamo trovato 2600 e un padrone che ha preteso di fare quello che gli pareva. Non si può ora ribadire: nessun esubero e poi avere lo stesso tanti esuberi.
I sindacati confederali, i delegati continuano a chiedere “l'applicazione dell'accordo del 6 settembre”, quando esso ha aperto la strada all'attuale accordo. E' stato come sfogliare un carciofo: prima l'accordo del 6 settembre, poi un nuovo accordo sulla cassintegrazione per circa 1400 operai, poi proroga della cigo, poi la richiesta di 4700 tagli.
Questo è un cammino unico. E c'è chi, lo Slai cobas sc, lo aveva detto fin dall'inizio.
Chi continua a difendere l'accordo del 6 settembre, difenderà un nuovo accordo che continuerà a tagliare lavoro, diritti, salario, oltre che non darà nessuna vera prospettiva sul fronte della salute, del risanamento ambientale della città.
Quindi, nessuna difesa dell'accordo del 6 settembre, nessun esubero, ma un nuovo accordo in cui al massimo gli esuberi vanno fuori dalla fabbrica per una sola ragione, per il prepensionamento, come risarcimento che i lavoratori meritano, riduzione dell'orario di lavoro.

Ma occorre una lotta prolungata e su obiettivi chiari, una piattaforma operaia e su questo costruire un fronte sociale.
Certo, gli operai, dopo il 2012/13 non hanno neanche provato ad unire con la loro iniziativa il fronte di lotta. Occorre vincere confusione, paure e recuperare la dignità operaia offesa.
Il nostro destino sta nelle nostre mani, sono gli operai che possono tirare fuori da una situazione grave che sembra senza via d'uscita.
E' possibile cambiare le cose, ma solo se gli operai, dentro la fabbrica si organizzano per cambiarle. Non c'è nessuno che può risolvere i vostri problemi, siete voi che dovete farlo!

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