mercoledì 4 dicembre 2019

A proposito delle "sardine" - una informazione da Firenze, su cui riflettere - dal blog proletari comunisti

“Fatta allontanare una bandiera rossa con falce e martello dalla Piazza delle Sardine a Firenze”.

Questo probabilmente è l’unico contenuto politico che gli organizzatori della Piazza delle Sardine a Firenze sono riusciti a far emergere.
Davvero una bandiera rossa, un simbolo, fa così tanta paura? Ma soprattutto… a chi fa così tanta paura?
Ci teniamo a precisare che abbiamo deciso di abbassare la bandiera che un nostro compagno aveva issato pochi minuti prima perché avevamo a cuore che quello non diventasse il tema della piazza, che la manifestazione andasse avanti, ma anche che il compagno non ha mai abbandonato la piazza ed è rimasto dov’era fino alla fine della manifestazione.
Era comunque importante che la piazza si esprimesse su altro e avrebbe potuto farlo considerata la presenza di un palco e di un microfono che, data la spontaneità della piazza, tutti pensavano fosse un microfono aperto. Ma così non è stato e ora gli organizzatori ci vengono anche a dire che sarebbe rimasto chiuso per colpa di quella bandiera… ma fateci il piacere!
In diversi, oltre a noi, si sono avvicinati al palco chiedendo di parlare e sono stati liquidati bruscamente.
A prendersi questa responsabilità è stato Mattia Sartori, “l’organizzatore degli organizzatori”.
Ben presto però la sua sicurezza ostentata è diventata imbarazzo:
“Perché non posso parlare?”
“Perché non so quello che vuoi dire?”
“Ma questo è un ragionamento che è in contraddizione con la libertà d’espressione che professate dal palco. Siamo già alla censura?”
…silenzio…
“Perché non posso parlare?”
“Perché non so chi sei!”
“Sono un operaio. Te nella vita che fai?”
“Io sono un economista!”
“Ancora una volta un economista non vuol far parlare un operaio… Mi pare una storia già sentita, non credi?”
…silenzio…
Alla fine però il microfono ce lo siamo preso ed abbiamo potuto esprimere ciò che avevamo già espresso in migliaia di volantini che Firenze Antifascista aveva distribuito in piazza.

La piazza è esplosa in un fragoroso applauso quando la compagna ha concluso il suo intervento con una citazione di Che Guevara : “…solo un sentimento supera l’amore per la Libertà ed è l’odio verso chi quella libertà vuole togliercela!
A quel punto, e dopo un goffo intervento di Matilde, una delle organizzatrici, che ha
cercato di evangelizzarci spiegando perché “non si debba odiare”, il microfono è definitivamente scomparso dal palco, è stata lanciata “Bella Ciao” e poi la musica uscita dalle casse ha definitivamente segnato la fine di ogni possibilità di altro intervento e confronto.
A noi però vien da pensare: tre lavoratori al giorno muoiono sul lavoro, le scuole crollano in testa agli studenti, si muore perché un ponte autostradale si sgretola e viene giù, muori di cancro se vivi vicino ad inceneritori, discariche o fabbriche come l’Ilva, muore in mare chi scappa dalle guerre, si muore di violenza sessista e fascista… Se i responsabili di tutto questo non dobbiamo odiarli qualcuno ci può suggerire quale sentimento provare nei loro confronti? Perché sinceramente di “abbracciarli e ballarci assieme” come diceva la povera  Matilde non ne avremmo troppa voglia…
Giusto per rimanere in tema, la stampa si è lanciata “a pesce” sulla notizia della bandiera.
Non ci stupisce che questa sia girata ma vorremmo sottolineare il modo in cui è stata impacchettata: la censura, il rifiuto, l’allontanamento dell’ipotesi che quelle piazze possano sviluppare un livello di politicizzazione piu’ alto, un messaggio tranquillizzante per la classe politica affinché quel movimento non possa ritagliarsi un proprio spazio di autonomia e dibattito al di fuori del quadro politico dato, che la massa debba accettare l’idea di rimanere dentro ad un recinto, o a delle reti, che altri hanno costruito per lei senza alcuna velleità di emancipazione.
Ciò che dai video non si vede sono tutte le persone che hanno battuto le mani quando la bandiera è stata issata dopo aver cantato “Figli della stessa rabbia”, ma si sentono bene le parole di Manlio, un altro degli organizzatori: “Siamo una piazza democratica… senza simboli… senza violenza…”
Pensiamo che in una “piazza democratica” debba esser data la possibilità di esprimersi e palesarsi a tutte le componenti che la compongono, ma forse, ancora prima, dobbiamo chiederci a quale tipo di democrazia di riferisca l’organizzatore perché abbiamo il sentore che questo ragazzo di 20 anni abbia assorbito e fatto propria “la democrazia” e la forma che essa ha assunto nella realtà che lui ha vissuto: una democrazia in cui un gruppo ristretto di organizzatori, eletti o autoproclamatisi essi siano, cala dall’alto parole e contenuti, pochi e confusi, su una massa realmente spontanea e sincera.
“Senza simboli” veniva detto. In altre piazze organizzate d’Italia dalle Sardine è stato esposto il simbolo dell’Unione Europea, ma in che quel caso gli organizzatori non hanno avuto niente da dire.  
Il simbolo dell’Unione Europea non rappresenta uno spazio geografico, ma un preciso spazio politico che si qualifica attraverso le politiche di austerità e che in Italia si è concretizzato nella legge Fornero, nel Jobs Act, nella cancellazione dell’art.18, nel decreto sicurezza Minniti-Orlando, nella privatizzazione dei servizi pubblici. Allora quel “senza simboli” si traduce in altro: alcuni simboli sì ed altri no! Ma chi è a deciderlo? Su quali basi? Non si è capito ancora che il sovranismo trova linfa proprio nelle politiche d’austerità? Non si è capito ancora che sono due facce della stessa medaglia e che si spalleggiano a vicenda?
“Senza violenza” veniva detto. Gli organizzatori hanno accostato la violenza alla bandiera rossa e all’antifascismo qualificandola come “provocazione di sinistra al pari di quelle della destra e di Salvini”. Ancora una volta siamo alla logica degli “opposti estemismi” che ricalca la logica con cui sempre l’Unione Europea ha votato una risoluzione in cui equipara il nazifascismo e il comunismo. Un’affermazione che se dovessimo qualificare con un modo di dire popolare “è proprio democristiana”.
Ma gli organizzatori, che negano il microfono cantando “Bella Ciao”, sanno di che colore fosse la bandiera che i Partigiani fiorentini impugnavano quando l’11 agosto del 1944 liberarono Firenze?
Il quadro che abbiamo davanti è molto più complesso e variegato di quanto sia emerso dal palco di Piazza della Repubblica e allo stesso tempo svilisce il significato e le potenzialità di quella Piazza. Siamo davanti ad una massa quantitativamente importante che in modo positivo e genuino riempie uno spazio politico, ma a questa massa viene negata la possibilità di un confronto assembleare come abbiamo visto in tante altre piazze: a Madrid, a Barcellona, ad Atene e nelle realtà nordafricane nelle piazze della cosiddetta “Primavera Araba”.
Da parte degli organizzatori vediamo una spasmodica ricerca dell’esposizione mediatica, il frenetico viaggiare da una piazza all’altra per gestire palchi e microfoni ma non vediamo la stessa ricerca di confronto con la base di cui si dichiarano rappresentanti. Ci sembra che questi spazi siano ancora piu’ risicati di quanto non fossero quelli che hanno visto la nascita del M5S.
Ci sembra che oggi gli organizzatori abbiano la ferma volontà di far in modo che questo sia e rimanga un “movimento d’opinione” che troverà il suo naturale sbocco in qualche tornata elettorale.
Ma veramente le migliaia di Sardine scese in piazza in queste settimane vogliono solo questo?
Ci sembra poi che gli elementi di novità proposte dagli organizzatori siano solo superficiali, ma guardando in modo un poco più attento la realtà sia ben diversa.
Ormai da tempo assistiamo alla sostituzione delle idee con le persone, delle proposte con i leader, del dibattito con la faccia presentabile.
Ormai da anni assistiamo al tentativo di togliere alle piazze ogni riferimento storico, politico e culturale.
Ormai da anni assistiamo alla semplificazione sempre più marcata di ogni contenuto con l’obiettivo di essere in tanti.
L’impronta che gli organizzatori vogliono dare al movimento ci sembra proprio questa. Un’impronta anch’essa populista che eleva a problema dei problemi “i toni della politica” guardando alla forma e senza badare a sostanza e contenuti.
Ma per fare cosa?
Ma dove sarebbero le novità?
Dalle tv abbiamo sentito più volte Sartori dire che il movimento deve “far riflettere” la sinistra. Ma lui e gli altri organizzatori hanno riflettuto sul fatto che la destra si è trovata davanti un’autostrada proprio da quando i partiti storici della “sinistra istituzionale” hanno  scelto di rinnegare i propri simboli e in propri valori?
Sartori sostiene che il messaggio di quelle piazze siano “i corpi” stessi presenti in quelle piazze: ma allora perchè una bandiera suscita tanto scalpore e non la presenza del sindaco Nardella che incarna un’idea precisa e complessiva di spazio pubblico, schiacciato e trasformato dall’opprimente retorica del decoro?  
Noi crediamo che questa realtà possa emergere solo attraverso il confronto e la dialettica assembleare e che se esistono divergenze e posizioni differenti sarebbe giusto e necessario avessero modo di confrontarsi ed essere affrontare e sviscerate.
Vorremmo ci si confrontasse sulle condizioni di lavoro, sulla sicurezza sul lavoro, vorremmo palare di scuola, vorremmo parlare dei decreti sicurezza, vorremmo si parlasse di come sostenere le lotte degli operai che vedono chiudere le loro fabbriche come sta succedendo per esempio alla Bekaert, vorremmo si parlasse del TAV, dell’Ilva, del cambiamento climatico, delle aggressioni fasciste, razziste, omofobe, sessiste.
Perché gli organizzatori hanno voluto e continuano a negare quest’ipotesi? Inutile altrimenti cantare “Bella Ciao” e sbandierare la carta costituzionale se poi si viene meno ai principi della libertà d’espressione e confronto.
Quella bandiera stava lí a rappresentare questo: un’idea complessiva di ciò che non vogliamo di questa società e la spinta a cercare di costruirne una che superi le logiche dello sfruttamento, delle disuguaglianze e della guerra.
Visto che dal palco di Piazza Repubblica sono state fatte alcune citazioni vogliamo chiudere aggiungendone una ulteriore di Bertold Brecht: “tutti a dire della rabbia del fiume in piena e nessuno della violenza degli argini che lo costringono”.

Nessun commento:

Posta un commento