lunedì 30 dicembre 2019

Una nota di un compagno lavoratore di Genova sull'Ilva che chiarisce cosa è accaduto all'Ilva di Cornigliano e la differenza tra Genova e Taranto

Lettera di un Compagno lavoratore di Genova del
Coordinamento Lavoratrici e Lavoratori autoconvocati per l'unità della classe 

Cari compagni,
"...la parola d'ordine della "chiusura delle fonti inquinanti" non significa un bel nulla. O meglio, di fatto significa avallare i fumosi piani industriali di riconversione.
Secondo me l'autentico sindacalismo di classe non deve abbracciare, sostenere, alcun piano industriale. Non è affare dei lavoratori ma dei padroni. Ciò vale a scala aziendale quanto nazionale.
E ciò vale, a scala aziendale si che si tratti di un piano di rilancio mantenendo aperte le fonti inquinanti sia che si tratti di un piano di riconversione; a scala nazionale sia che si tratti di cercare un acquirente sul mercato internazionale (o mantenere quello attuale) sia che si tratti di nazionalizzare.
Ci si deve invece attestare sulla difesa dei bisogni immediati: salario, orario, salute, sicurezza.
Salario: bisognerebbe ad es. lottare per l'integrazione della Cigo e dell Cigs da parte di ArcelorMittal così da raggiungere il salario pieno.
Orari: ridurre l'orario di lavoro giornaliero e di vita (in pensione prima) così da ridurre l'esposizione degli operai all'aria insalubre dell'acciaieria.
Salute e sicurezza: oltre al punto di cui sopra, lotta per il rinnovo e la manutenzione degli impianti e per le bonifiche.

Genova: la situazione di Taranto - anche a voler mettersi a ragionare di piani industriali - è ben diversa da quella genovese.
L'acciaieria di Genova aveva solo un altoforno, si trova a una distanza media inferiore di quella di Taranto rispetto ai mercati di sbocco (manifatture del Nord Italia). A Genova, con l'accordo di programma del 2005 che ha imposto la chiusura dell'altoforno, si è passati da 1.700 operai impiegati nella acciaieria ad un migliaio scarso. Gli altri, ridottisi per i progressivi pensionamenti, sono stati impiegati in lavori di pubblica utilità (ad es. manutenzione dei parchi). Per gli operai della fabbrica è stato un compromesso accettabile. La combattività degli operai dello stabilimento è stata mantenuta ad un buon livello e nei cortei per gli scioperi hanno partecipato anche gli operai addetti ai lavori di pubblica utilità, col che voglio dire che si è mantenuta una discreta unità operaia, internamente allo stabilimento.
Ma ciò, come voi sapete bene, è stato fatto ad un prezzo: quello di impedire l'unità fra i lavoratori di Genova e quelli di Taranto.
Ciò è successo per i calcoli opportunistici del gruppo politico maggioritario nella Fiom provinciale 
genovese che si è accontentato di difendere il proprio "fortino" cioè il suo radicamento nello 
stabilimento di Cornigliano, disinteressandosi del tutto di tentare di unire gli operai al di sopra degli 
stabilimenti perché ciò avrebbe implicato una lotta internamente alla Fiom, che quei dirigenti non 
hanno mai voluto fare.
Inoltre, cercare l'unità con gli operai più combattivi di Taranto, avrebbe implicato lo stabilirsi di un 
rapporto col sindacalismo di base, cosa che quel gruppo politico si è sempre ben guardato da fare, in 
quanto avrebbe significato andare allo scontro internamente alla Cgil.
Quindi il bilancio per Cornigliano è che l'accordo fu accettabile preso in sé e per sé, guardando solo a quella fabbrica, ma nell'ottica del movimento generale della classe operaia la condotta della Fiom locale ha frenato il possibile sviluppo del sindacalismo di classe.
Prendere per Taranto a modello l'accordo di programma di Genova, come fa ad esempio l'Usb, significa da un lato chiudere ancora una volta gli operai dentro i confini dello stabilimento, dall'altro spacciare una mera e pericolosa illusione, perché le due situazioni industriali non sono comparabili: Taranto senza il ciclo integrale non avrà il mercato che ha Cornigliano ed in ogni caso ciò implicherebbe una riduzione disastrosa degli operai addetti nella fabbrica..."
Un caro saluto
Mp

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