L'intervento della rappresentante dello Slai cobas sc all'assemblea del 27 novembre di Pap
Voglio andare subito al nodo.
Sul fatto che dobbiamo lottare per la salute e per il lavoro credo che nessuno sia in disaccordo. Il problema è come si lotta.
Noi diciamo chiaramente che questa lotta deve essere fatta con una fabbrica aperta. Perchè il problema non è neanche che si chiuda una fabbrica totalmente inquinante; il problema è che una fabbrica chiusa vuol dire cancellare gli operai, cancellare una classe operaia, cancellare una storia, cancellare una coscienza e cancellare soprattutto e tagliare le gambe all'unica possibilità effettiva di lottare, di dire stop al problema dell'attacco alla salute e che ci sia effettivamente un cambiamento, le bonifiche, una fabbrica che non inquini così.
Questo problema senza gli operai, è inutile che ci illudiamo, ci prendiamo in giro, non è possibile.
Qui a Taranto, come a livello nazionale, le lotte le hanno fatte eccome gli operai. Non è vero che non abbiano lottato in tutti questi anni per la sicurezza e la salute, il problema che sono stati soli, sono stati sconfitti, in primo luogo dai sindacati che non li hanno sostenuti, difesi.
Ma Taranto, l'Ilva ha una storia, gloriosa, anche su questo. Ci sono stati operai che hanno rischiato di essere licenziati, perchè avevano fermato un convertitore e grosse iniziative sul problema della sicurezza e della salute. Sono rimasti soli. Ma questo non può essere una colpa dell'operaio o far dire che gli operai non sono la principale forza che può rovesciare la situazione.
Ieri siamo stati alla portineria A, oggi alla port D, domani alle 6 staremo alle Ditte, e quindi sentiamo quello che gli operai pensano e dicono, e non va bene!
Non va bene nel senso che gli operai sono in difesa, sono confusi. Ma sono soprattutto in difesa, e allora questa difesa ha due ragioni principali: da un lato il sindacalismo aziendalista che non è solo “nocivo” ma inutile, perchè non porta neanche una mezza piattaforma ai Tavoli, non li ha portati prima e ora meno che mai, e invece fa alcuni scioperi, come l'ultimo della Cisl, apertamente aziendalisti, a favore del padrone, dei capi. Questo chiaramente è un grosso problema per la classe operaia.
Però, dall'altra parte, e ce lo dobbiamo dire, l'altra messa in difesa è frutto del clima, di quelle forze, legittime, che ci sono qui a Taranto che dicono la fabbrica deve chiudere, che colpevolizzano gli operai che non lo dicono.
Quindi, questi due aspetti ostacolano. Ci siamo dati la zappa sui piedi.
Io lo dico anche a chi il 29 novembre farà la manifestazione per dire: chiusura della fabbrica, che, ripeto, vuol dire cancellazione della classe operaia.
Nel momento in cui questa classe operaia non ha la possibilità di essere la classe che lotta, che fa gli scioperi, che blocca dentro e che blocca fuori, è come se noi ci stiamo scavando il terreno con le nostre stesse mani.
Andiamo un po' indietro. Siamo al 50° anniversario dell'Autunno caldo. Bene, nel '69 nelle piattaforme dei contratti metalmeccanici, edili, chimici, dove più c'erano i problemi di inquinamento e sicurezza scrivevano: (nella piattaforma dei chimici) “Costituzione di una commissione operaia, eletta e controllata dall’assemblea degli operai della fabbrica, per controllare il taglio dei tempi, la nocività, gli organici. Essa farà anche uso di medici e tecnici di fiducia”; (nella piattaforma degli edili) “Gli operai riuniti in assemblea sono gli unici ad avere il diritto di esercitare un controllo sulle condizioni di lavoro antinfortunistiche”.
Cioè, nella piattaforme operaie negli anni 70, e anche a Taranto anche se in tono minore, gli operai dicevano quello che si doveva fare sia sul fronte della sicurezza, per evitare morti e infortuni,sia sul fronte dell'ambiente, della nocività.
Si potrebbe dire: “va bene, ma i tempi ora sono cambiati e questo non è più possibile”. Ma domandiamoci perchè gli operai ora non hanno quella forza, quel coraggio di dire: noi possiamo...
Ma io vado spesso a sentire le udienze al processo Ilva, udienze che si svolgono in un deserto – ma questo è un altro problema; qui ci sono state le testimonianze di alcuni operai Ilva, delegati Ilva. Sentitele queste testimonianze, leggetele, ve le mandiamo. Queste testimonianze dicono come gli operai erano quelli che proponevano, gli operai dicevano come era possibile evitare le emissioni, l'inquinamento del terreno, delle acque, ecc. Il problema è che questa situazione è cambiata, nel senso che ora c'è una situazione di confusione, di preoccupazione.
Noi abbiamo l'esempio vicino di Bagnoli, che dimostra che succede se la fabbrica chiude. Nessuno di noi può non vedere cosa è successo a Bagnoli, e a Taranto succederebbe mille volte di più per l'estensione che ha l'Ilva. A Bagnoli a quasi più di 30 anni di distanza, chiusa la fabbrica, tolti gli impianti, la struttura, è rimasta una zona totalmente ancora inquinata. Ma questo non solo a Bagnoli.
Non so chi ha visto di voi quel buon film-documentario sulla Mittal fatto da un registra francese. La
seconda volta che c'è stata a Taranto la sua proiezione è intervenuto un ex operaio siderurgico, poi parlamentare europeo, Édouard Martin,, che a fronte di alcune domande sul problema: chiudere l'Ilva/riconversione, diceva: “nella mia Regione, la Lorraine, negli anni 60/70 c'erano 100mila lavoratori nel settore siderurgico, oggi alla fine della storia sono rimasti 5mila. E questo ha significato la devastazione economica e sociale della regione”. Ma io aggiungo, vedendo Piombino, in parte Livorno che c'è una devastazione anche ideologica, anche di coscienza. A Piombino, città rossa, ora anche gli operai hanno votato Lega.
Ma andiamo al discorso che è stato anche fatto: nazionalizzazione/riconversione.
Molto brevemente. Alcune cose le hanno già dette chi mi ha preceduto: “Momento. La nazionalizzazione vuol dire che lo Stato si prende aziende decotte, le rimette su e dopo un po' di anni le restituisce al privato”. Ma c'è la nostra storia, al storia dell'Italsider che era pubblica, c'era eccome un intervento pubblico. Ma ci sono stati più morti, sia dentro la fabbrica che fuori nei primi decenni dell'Ilva, quando ancora era pubblica.
A parte il fatto che lo Stato avrebbe comunque il problema della “crisi di mercato”. Non è che solo perchè interviene lo Stato il mercato improvvisamente compra l'acciaio, non c'è più il problema dei dazi, della crisi di sovrapproduzione che loro stessi hanno provocato, ecc.. Lo avrebbero uguale questo problema. Allora, o stiamo parlando di uno Stato che impone che tutti prendano l'acciaio italiano, alla Salvini maniera, o altrimenti la nazionalizzazione non è la panacea.
Noi abbiamo detto: Mittal, un altro padrone, la nazionalizzazione, intervento dello Stato... Il problema è che chiunque venga, nessuno operaio deve uscire fuori, nessuno operaio deve essere messo in cassintegrazione, nessun padrone o Stato non deve fare le bonifiche reali dentro e fuori la fabbrica. Ma se si vede l'intervento dello Stato come la panacea di tutti in problemi, è sbagliato.
Un ultimissima cosa è il problema della riconversione. Diciamoci almeno tra di noi le cose come stanno. Qualcuno prima ha detto: per gli F35 lo Stato sta spendendo miliardi, mentre per lavoro, la riconversione, nuova occupazione non c'è niente – se non il “cantiere Taranto” che chi di noi l'ha letto non sa se ridere o piangere per le proposte che lì vi sono. Se si parla di riconversione, controllo pubblico, diciamo che ci vuole almeno un'altra parola, perchè riconversione, controllo pubblica, economia a misura dei lavoratori, della gente, dei bambini, vuol dire potere in mano agli operai, vuol dire potere proletario. Allora, per piacere, o diciamo la parola “rivoluzione”, quando parliamo di riconversione a misura dei lavoratori, del popolo, o ci stiamo prendendo in giro! O si dice: Ok, queste cose sono possibili, ma sono possibili con un potere nelle mani degli operai – e questo potere non te lo dà né Conte, ne un altro. Allora bisogna fare la rivoluzione proletaria per prendere questo potere e rovesciare chi ci dà morte. Allora, diciamo questo, altrimenti faremo altre assemblee, altri convegni e continueremo da un lato a morire, dall'altro forse ad avere la città col più grande numero di cassintegrati che non faranno le bonifiche. Se stanno fuori, i cassintegrati andranno a finire a fare dei corsi inutile come già hanno fatto e non faranno alcuna bonifica; se stanno dentro, invece, le bonifiche le devono fare e le faranno.'
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