venerdì 22 febbraio 2013

Dall'intervento a Genova del rappresentante della Rete per la sicurezza e salute sui posti si lavoro e territori

“.... L’Ilva è una questione nazionale, paradigma della questione salute e lavoro.
In questa storia, il carico da '90 ce l'hanno messo tutti.
Il ruolo del sindacato confederale, che non è diverso dai sindacati nazionali, per la linea della concertazione, accordi bidone, per il primato del profitto, del farsi carico della concorrenza dell'azienda, chiudendo gli occhi sulla sicurezza e ambiente; ma a questo va aggiunta la funzione del sindacato confederale al sud che non si limita al rapporto non conflittuale con l'azienda, ma è anche una grande clientela, vedi le assunzioni appaltate al sindacato.
Questo ha prodotto una particolare docilità delle OO.SS verso Riva, come l'inchiesta Archinà sta facendo venire alla luce, vale a dire un sistema Riva gestito come la vecchia democrazia cristiana.
La responsabilità dei sindacati confederali all’Ilva è altissima, la loro politica e azione ha permesso che si arrivasse a questo punto, in una fabbrica che già ha il primato dei morti sul lavoro: 47 nei 17 anni di gestione Riva. L’Ilva è diventata, per questi sindacati, una fabbrica in cui è quasi normale morire, ammalarsi di tumore, di fatto avallando l’idea di padron Riva degli infortuni come accidenti normali in una fabbrica di quasi 20 mila persone, non succedono gli incidenti anche in un paese di 20 mila abitanti? Tant’è che Emilio Riva, che non si è mai presentato nei processi, molti, a suo carico, si è voluto presentare al processo, su sua querela, contro la rappresentante dello Slai cobas considerata “mandante” di una scritta alla fabbrica “Riva assassino”, perché riteneva “sinceramente” ingiusto che lo si chiamasse “assassino”, lui che, come imprenditore, aveva solo il problema di produrre acciaio e non quello di badare alla città…
A questa azione di vera e propria complicità dei sindacati confederali si sono ribellati negli anni passati tre delegati Fiom, ma due hanno rischiato il licenziamento, rientrato solo con i buoni uffici di Vendola ma messi comunque fuori dalla fabbrica, uno in distacco sindacale per anni e l’altro mobbizzato in una struttura abbandonata dell’Ilva.. Due di questi ex delegati Fiom sono attualmente principali esponenti del Comitato lavoratori cittadini liberi e pensanti, e caricano oggi la denuncia dei sindacati tout curt anche della loro storia personale.
C’è l’azione del governo. Il governo, ai tempi di Berlusconi, ha fatto un Aia assolutamente insufficiente, con tecnici prezzolati da Riva stesso. Ora il governo Monti col decreto ha detto che l'Ilva è strategica e va mantenuta per forza, con la “forza”, fino ad essere militarizzata - come in effetti è avvenuto in vari giorni in cui alla fabbrica sia fuori che dentro vi erano carabinieri, polizia, guardia di finanza, digos a difesa della proprietà di Riva e a controllare gli operai. Questo vuol dire imporre che Riva comunque se la deve cavare e che l'attuale management deve essere reintegrato. L'Ilva è un modello per padroni e governo per imporre i loro diktat. Qui sì che si fa la “nazionalizzazione” della fabbrica, ma nel senso di garantire l'esistenza della fabbrica comunque sia! Mentre non si è affatto sbracciato per mettere soldi per la bonifica del territorio.
Poi vi è storicamente una componente antioperaia, i verdi, una parte degli ambientalisti, che guarda le cose con una lente di ingrandimento, e fa una descrizione di Taranto come di una città che sta morendo, per cui o chiude l'Ilva o non se ne viene a capo. Bagnoli fu chiusa perchè si diceva che era possibile una nuova economia, ma oggi chi va a Bagnoli può vedere cosa è rimasto, uno scheletro di fabbrica che continua ad inquinare, e dove c'era la classe operaia più avanzata, baluardo della lotta democratica e dei lavoratori, poi è diventata la terra di “sandokan”, della camorra.
La creazione di una desertificazione industriale, la cancellazione della fabbrica non produce bonifiche. Ma oggi dire che nocivo è il capitale e non la fabbrica sembra una bestemmia. Il buon senso sembra sparito.
Anche per la magistratura gli operai sono fantasmi, si parla di impianti e non di operai. Vi è un primitivismo giuridico, che fa diventare i problemi irrisolvibili e ha di fatto contribuito ad acutizzare una contraddizione tra cittadini e lavoratori che hanno pagato il costo più alto in termini di salute. Tutto questo ha portato ora ad un vicolo cieco: la magistratura oggettivamente dice che tutta la produzione è criminogena, creando di fatto un conflitto tra l'esistenza stessa di questa fabbrica e il resto.
La magistratura a Taranto negli anni passati ha fatto precedenti inchieste che potevano provocare altrettante azioni dirompenti, per esempio l’inchiesta sui parchi minerali, sull'amianto che aveva abbracciato l'intero ciclo dell'Ilva chiamando in correità tutti i dirigenti dell'Ilva per 30 anni.
Queste inchieste non hanno trovato intensità, chi si è costituito parte civile è rimasto deluso, la magistratura aveva sollevato dei macigni e poi nulla. Anche le istituzioni si erano ritirate dalla costituzione di parte civile fatta da Comune e Provincia in un primo momento.

Ad emergenza reale non corrisponde un'emergenza della messa a norma, e ogni ritardo acutizza le contraddizioni.
Il difficile rapporto tra lotta in fabbrica e in città non ha trovato ancora soluzione.
L'azione della Rete nazionale per la sicurezza e la salute sui posti di lavoro e sul territorio è di riuscire ad affrontare questo problema, affinchè le realtà operaie e popolari avanzate possano costruire un'altra strada.
L’altro problema è l’unità degli operai tra i vari stabilimenti Ilva. Un sindacato che si chiamasse minimamente tale, nei momenti di contraddizione e contrasto tra gli altri stabilimenti e Taranto, avrebbe organizzato una delegazione di operai di Taranto per andare a parlare direttamente agli operai di Cornigliano, di Novi Ligure, e viceversa, delegazioni da Cornigliano, Novi Ligure per venire a vedere con i loro occhi quello che succedeva e succede all’Ilva di Taranto. Ma non c’è stato nulla di tutto questo e i sindacati confederali sono stati prima a guardare la manifestazione il 30 marzo organizzata da Riva come una marcia militarizzata di soldatini in sua difesa, e poi, in particolare Fim e Uilm, hanno loro organizzato scioperi filo aziendali.
Bisogna dire, però, che tra gli operai dal 30 marzo la situazione è cambiata. Oggi la maggioranza degli operai non è con Riva, è convinta che la fabbrica deve essere messa a norma. Vi è stata la mobilitazione del 27 novembre con l’invasione in massa degli operai della fabbrica costringendo poi il Direttore dello stabilimento a scendere e a parlare di fronte a migliaia di operai

Questo “guerra” di classe in fabbrica non si può affrontare con la logica del Comitato liberi e pensanti in cui anche gli operai dicono ‘noi siamo soprattutto cittadini’; ma se si toglie alla fabbrica la sua avanguardia che dovrebbe trasformare la lotta degli operai, non si sta affermando l'autonomia operaia ma la si sta negando, perchè autonomia vuol dire cambiare lo stato di cose esistenti, in cui, in fabbrica, un elemento importante è la costruzione del sindacato di classe. Ma su questo il Comitato LP dice che i sindacati tout court, non solo i sindacati confederali, sono la “rovina dell’Italia” (ma questo non lo dice anche Berlusconi?), per cui “tutti i gatti sono bigi”. Dire, come fa il Comitato liberi e pensanti: “La morte non guarda al 730”, vuol dire chiamare in campo soprattutto quella parte della città, ceto medio, che considera comunque la città il bene da tutelare contro la fabbrica.
In città comunque l’attenzione resta alta, vi è stata una grande manifestazione di circa 15mila persone il 15 dicembre.

Nello stesso tempo ancora in città è irrisolto il problema della mobilitazione del quartiere Tamburi, dove in ogni famiglia vi è un morto, un vivo e un semivivo che non “vive” senza lavoro e salario. E' evidente che se tutto viene ricondotto ai guai provocati dall'Ilva si riduce la lotta sociale e di classe, non si lotta per il lavoro. Ma noi non possiamo avere un doppio danno: attacco alla salute e mancanza di lavoro.
Si parla di “economia alternativa”, per esempio si parla del fotovoltaico. Ma andate a Lecce, a Foggia e vedrete lì l'opposizione della gente al fotovoltaico, la desertificazione di intere zone, lo schiavismo degli immigrati che ci lavorano.
E’ una favola che a Taranto, quando l’economia era di “cozze e calamari”, si stava bene. Questa è una favola nera. L’allora Italsider a Taranto fu la risposta ad una rivolta di tanti lavoratori che avevano perso il lavoro, della popolazione che stava alla fame, una rivolta che durò giorni, in cui ci furono due morti; e furono il Pci e la Cgil, che chiesero un’industria ad alta occupazione, e questa grande fabbrica poteva essere o automobilistica o siderurgica.
E’ necessaria oggi un’operazione verità che si trasformi in un’operazione di unità.

L'azione che si sta facendo come Rete Nazionale per la sicurezza e salute sui posti di lavoro e territori è quella di un contro messaggio: unità, lotta differente, altrimenti la lotta non ha vincenti ma ha solo perdenti.
Quando diciamo manifestazione nazionale della Rete, che naturalmente affronta tutti i problemi e chiama a raccolta tutti coloro che su questo terreno sono già attivi, pensiamo ad una manifestazione diversa, in un giorno feriale, alla fabbrica per incontrare e confrontarsi con gli operai, ai Tamburi per parlare con gli abitanti, per finire al cimitero, perchè il cimitero dei Tamburi dove ci sono operai, che pur non lavorando in Ilva, pur non vivendo ai Tamburi, lavorano nel punto più vicino ai parchi minerali…”.

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