In questa storia, il carico da '90 ce l'hanno messo tutti.
Il ruolo del sindacato confederale, che non è diverso dai
sindacati nazionali, per la linea della concertazione, accordi bidone, per il
primato del profitto, del farsi carico della concorrenza dell'azienda,
chiudendo gli occhi sulla sicurezza e ambiente; ma a questo va aggiunta la
funzione del sindacato confederale al sud che non si limita al rapporto non
conflittuale con l'azienda, ma è anche una grande clientela, vedi le assunzioni
appaltate al sindacato.
Questo ha prodotto una particolare docilità delle OO.SS
verso Riva, come l'inchiesta Archinà sta facendo venire alla luce, vale a dire
un sistema Riva gestito come la vecchia democrazia cristiana.
La responsabilità dei sindacati confederali all’Ilva è
altissima, la loro politica e azione ha permesso che si arrivasse a questo
punto, in una fabbrica che già ha il primato dei morti sul lavoro: 47 nei 17
anni di gestione Riva. L’Ilva è diventata, per questi sindacati, una fabbrica
in cui è quasi normale morire, ammalarsi di tumore, di fatto avallando l’idea
di padron Riva degli infortuni come accidenti normali in una fabbrica di quasi
20 mila persone, non succedono gli incidenti anche in un paese di 20 mila
abitanti? Tant’è che Emilio Riva, che non si è mai presentato nei processi,
molti, a suo carico, si è voluto presentare al processo, su sua querela, contro
la rappresentante dello Slai cobas considerata “mandante” di una scritta alla
fabbrica “Riva assassino”, perché riteneva “sinceramente” ingiusto che lo si
chiamasse “assassino”, lui che, come imprenditore, aveva solo il problema di
produrre acciaio e non quello di badare alla città…
A questa azione di vera e propria complicità dei sindacati
confederali si sono ribellati negli anni passati tre delegati Fiom, ma due
hanno rischiato il licenziamento, rientrato solo con i buoni uffici di Vendola
ma messi comunque fuori dalla fabbrica, uno in distacco sindacale per anni e
l’altro mobbizzato in una struttura abbandonata dell’Ilva.. Due di questi ex
delegati Fiom sono attualmente principali esponenti del Comitato lavoratori
cittadini liberi e pensanti, e caricano oggi la denuncia dei sindacati tout
curt anche della loro storia personale.
C’è l’azione del governo. Il governo, ai tempi di
Berlusconi, ha fatto un Aia assolutamente insufficiente, con tecnici prezzolati
da Riva stesso. Ora il governo Monti col decreto ha detto che l'Ilva è
strategica e va mantenuta per forza, con la “forza”, fino ad essere
militarizzata - come in effetti è avvenuto in vari giorni in cui alla fabbrica
sia fuori che dentro vi erano carabinieri, polizia, guardia di finanza, digos a
difesa della proprietà di Riva e a controllare gli operai. Questo vuol dire
imporre che Riva comunque se la deve cavare e che l'attuale management deve
essere reintegrato. L'Ilva è un modello per padroni e governo per imporre i loro
diktat. Qui sì che si fa la “nazionalizzazione” della fabbrica, ma nel senso di
garantire l'esistenza della fabbrica comunque sia! Mentre non si è affatto
sbracciato per mettere soldi per la bonifica del territorio.
Poi vi è storicamente una componente antioperaia, i verdi,
una parte degli ambientalisti, che guarda le cose con una lente di ingrandimento,
e fa una descrizione di Taranto come di una città che sta morendo, per cui o
chiude l'Ilva o non se ne viene a capo. Bagnoli fu chiusa perchè si diceva che
era possibile una nuova economia, ma oggi chi va a Bagnoli può vedere cosa è
rimasto, uno scheletro di fabbrica che continua ad inquinare, e dove c'era la
classe operaia più avanzata, baluardo della lotta democratica e dei lavoratori,
poi è diventata la terra di “sandokan”, della camorra.
La creazione di una desertificazione industriale, la cancellazione
della fabbrica non produce bonifiche. Ma oggi dire che nocivo è il capitale e
non la fabbrica sembra una bestemmia. Il buon senso sembra sparito.
Anche per la magistratura gli operai sono fantasmi, si parla
di impianti e non di operai. Vi è un primitivismo giuridico, che fa diventare i
problemi irrisolvibili e ha di fatto contribuito ad acutizzare una
contraddizione tra cittadini e lavoratori che hanno pagato il costo più alto in
termini di salute. Tutto questo ha portato ora ad un vicolo cieco: la
magistratura oggettivamente dice che tutta la produzione è criminogena, creando
di fatto un conflitto tra l'esistenza stessa di questa fabbrica e il resto.
La magistratura a Taranto negli anni passati ha fatto
precedenti inchieste che potevano provocare altrettante azioni dirompenti, per
esempio l’inchiesta sui parchi minerali, sull'amianto che aveva abbracciato
l'intero ciclo dell'Ilva chiamando in correità tutti i dirigenti dell'Ilva per
30 anni.
Queste inchieste non hanno trovato intensità, chi si è costituito
parte civile è rimasto deluso, la magistratura aveva sollevato dei macigni e
poi nulla. Anche le istituzioni si erano ritirate dalla costituzione di parte
civile fatta da Comune e Provincia in un primo momento.
Ad emergenza reale non corrisponde un'emergenza della messa
a norma, e ogni ritardo acutizza le contraddizioni.
Il difficile rapporto tra lotta in fabbrica e in città non
ha trovato ancora soluzione.
L'azione della Rete nazionale per la sicurezza e la salute
sui posti di lavoro e sul territorio è di riuscire ad affrontare questo
problema, affinchè le realtà operaie e popolari avanzate possano costruire
un'altra strada.
L’altro problema è l’unità degli operai tra i vari
stabilimenti Ilva. Un sindacato che si chiamasse minimamente tale, nei momenti
di contraddizione e contrasto tra gli altri stabilimenti e Taranto, avrebbe
organizzato una delegazione di operai di Taranto per andare a parlare
direttamente agli operai di Cornigliano, di Novi Ligure, e viceversa, delegazioni
da Cornigliano, Novi Ligure per venire a vedere con i loro occhi quello che
succedeva e succede all’Ilva di Taranto. Ma non c’è stato nulla di tutto questo
e i sindacati confederali sono stati prima a guardare la manifestazione il 30
marzo organizzata da Riva come una marcia militarizzata di soldatini in sua
difesa, e poi, in particolare Fim e Uilm, hanno loro organizzato scioperi filo
aziendali.
Bisogna dire, però, che tra gli operai dal 30 marzo la
situazione è cambiata. Oggi la maggioranza degli operai non è con Riva, è convinta
che la fabbrica deve essere messa a norma. Vi è stata la mobilitazione del 27
novembre con l’invasione in massa degli operai della fabbrica costringendo poi
il Direttore dello stabilimento a scendere e a parlare di fronte a migliaia di
operai
Questo “guerra” di classe in fabbrica non si può affrontare con
la logica del Comitato liberi e pensanti in cui anche gli operai dicono ‘noi
siamo soprattutto cittadini’; ma se si toglie alla fabbrica la sua avanguardia
che dovrebbe trasformare la lotta degli operai, non si sta affermando l'autonomia
operaia ma la si sta negando, perchè autonomia vuol dire cambiare lo stato di
cose esistenti, in cui, in fabbrica, un elemento importante è la costruzione
del sindacato di classe. Ma su questo il Comitato LP dice che i sindacati tout
court, non solo i sindacati confederali, sono la “rovina dell’Italia” (ma
questo non lo dice anche Berlusconi?), per cui “tutti i gatti sono bigi”. Dire,
come fa il Comitato liberi e pensanti: “La morte non guarda al 730”, vuol dire
chiamare in campo soprattutto quella parte della città, ceto medio, che
considera comunque la città il bene da tutelare contro la fabbrica.
In città comunque l’attenzione resta alta, vi è stata una
grande manifestazione di circa 15mila persone il 15 dicembre.
Nello stesso tempo ancora in città è irrisolto il problema
della mobilitazione del quartiere Tamburi, dove in ogni famiglia vi è un morto,
un vivo e un semivivo che non “vive” senza lavoro e salario. E' evidente che se
tutto viene ricondotto ai guai provocati dall'Ilva si riduce la lotta sociale e
di classe, non si lotta per il lavoro. Ma noi non possiamo avere un doppio
danno: attacco alla salute e mancanza di lavoro.
Si parla di “economia alternativa”, per esempio si parla del
fotovoltaico. Ma andate a Lecce, a Foggia e vedrete lì l'opposizione della
gente al fotovoltaico, la desertificazione di intere zone, lo schiavismo degli
immigrati che ci lavorano.
E’ una favola che a Taranto, quando l’economia era di “cozze
e calamari”, si stava bene. Questa è una favola nera. L’allora Italsider a
Taranto fu la risposta ad una rivolta di tanti lavoratori che avevano perso il
lavoro, della popolazione che stava alla fame, una rivolta che durò giorni, in
cui ci furono due morti; e furono il Pci e la Cgil, che chiesero un’industria
ad alta occupazione, e questa grande fabbrica poteva essere o automobilistica o
siderurgica.
E’ necessaria oggi un’operazione verità che si trasformi in
un’operazione di unità.
L'azione che si sta facendo come Rete Nazionale per la
sicurezza e salute sui posti di lavoro e territori è quella di un contro
messaggio: unità, lotta differente, altrimenti la lotta non ha vincenti ma ha
solo perdenti.
Quando diciamo manifestazione nazionale della Rete, che
naturalmente affronta tutti i problemi e chiama a raccolta tutti coloro che su
questo terreno sono già attivi, pensiamo ad una manifestazione diversa, in un
giorno feriale, alla fabbrica per incontrare e confrontarsi con gli operai, ai
Tamburi per parlare con gli abitanti, per finire al cimitero, perchè il cimitero
dei Tamburi dove ci sono operai, che pur non lavorando in Ilva, pur non vivendo
ai Tamburi, lavorano nel punto più vicino ai parchi minerali…”.
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