Nei giorni scorsi la Cgil,, insieme ai candidati alle elezioni,del PD - che si presentano a questi lavoratori sempre e solo in occasione di tornate elettorali - e insieme al dirigente dell'azienda, ha presentato il progetto di costruzione di asili nido aziendali alla Teleperformance.
Pelillo, candidato PD,ha detto: “Mi interesserò inoltre – ha annunciato Michele Pelillo
– del progetto di asilo nido aziendale presentato alla Regione Puglia”.
Dal 2006 (anno di nascita di Teleperformance a Taranto), ad oggi, si
contano circa 800 nascite da famiglie in cui almeno uno dei due genitori
è lavoratore nel call center. “Il mio obiettivo – ha concluso il
candidato del PD – sarà anche quello di rispondere alle tante mamme
lavoratrici del call center (il 70%, molte con età inferiore ai 35
anni), che hanno la necessità di conciliare i tempi di vita con quelli
del lavoro”.
E' a vantaggio delle lavoratrici questa iniziativa che vede uniti azienda, sindacati confederali e aspiranti al governo? Abbiamo forti dubbi.
Riportiamo un articolo, anche ironico, apparso sul Corriere della Sera, giorni fa. E chiamiamo soprattutto le lavoratrici a capire se questa degli "asili aziendali" non nasconde un'altra fregature verso le donne.
" Perché
chiudersi in un ghetto con creature e pc se c’è l’occasione per
svicolare in ufficio e pensare, per qualche ora al giorno, solo a se
stesse?
di
Elisabetta Andreis
Una
premessa, forse doverosa: non punto a cuccare. Ma quando lavoro,
vividdio, voglio vedere maschi. Papà o non papà non importa, ma per
favore senza figli abbarbicati ai polpacci.
Oppure
donne, va bene, ma nella loro dimensione lavorativa, da libere
cittadine, non nelle loro funzioni materne, col pensiero che corre
attiguo a pannolini e scarpette.
Del resto il lavoro
non è l’unica occasione legittimata che ci capita per frequentare
anche (o soprattutto, e finalmente) NON mamme?
E
poi: perché avvicinare le creature al computer fino a metterle nella
stanza di fianco, se c’è l’occasione per svicolare in ufficio e
pensare, per qualche ora al giorno, solo a se stesse? Perché
costruire ambienti vicini, attaccati, simbioticamente connessi?
Eppure
è proprio questo che fa Piano C, un nuovo splendido concetto di
coworking destinato a chi, genitore, vuole avere lavoro, casa e figli
in un unico spazio, ancorché diviso dal muro.
Il
concetto è, in potenza, molto comodo. Anzi perfetto, per come è
congegnato. Una stanza con 14 postazioni di lavoro, un’altra con
babysitter per i bambini da 0 a 3 anni, un’altra ancora per quelli
più grandi, intrattenuti con laboratori organizzati ad hoc. E poi,
per la casa: il servizio SalvaTempo, con maggiordomi in borghese che
sbrigano commissioni tipo lavanderia, bollette e spesa. E infine la
cucina, le sale riunioni, persino l’aula per lo yoga e il corso di
canto e gorgheggi.
Dov’è l’Andreis,
che l’aspettano per l’intervista sui disabili a Milano? Ohh
niente, è qui di fianco a dare un bacio ad Anita, la sua quarta
figlia, quella che ha un anno e cammina sulle ginocchia.
Oppure: ohh niente,
sta facendo un break giocando ai Pokemon, Giacomo l’ha vista
attraverso il vetro e l’ha arpionata colpendola alle spalle mentre
lei stava scrivendo un pezzo...
... ci conviene cercare la conciliazione nell’unione tra le nostre due, tre, dieci facce? Non è invece più furbo tenerle, finché possiamo, separate a compartimenti stagni?
Mi
si ribadirà: i bambini son più contenti, ad averci di fianco e
incrociarci tra una riunione, un’intervista e un documento. Ma ne
siamo poi convinti davvero? E’ meglio così che non, invece,
lavorare full immersion in un posto totalmente ‘altro’ dal loro
per poi essere, quando si torna a casa, col sorriso e senza
telefonini tutte per pappe, compiti e trottole bay-blade?
A
me il coworking per genitori/mamme pare una soluzione estrema, un
ghetto cui pensare se proprio non si hanno alternative per figli (un
nido comunale? Una mamma dirimpettaia con cui far rete per tenere a
turno la prole? Un nonno disponibile mentre noi lavoriamo?) e per noi
stesse (l’azienda proprio non ci vuole più? Non possiamo rientrare
e combattere da dentro?).
Forse
però sbaglio. Una donna su 4, in Italia, lascia il lavoro entro il
primo anno di vita di suo figlio, non lo dimentico. Là fuori nulla
di quello che potremmo ottenere è scontato. E la priorità sono
senz’altro i figli...
...Se “Piani” come
questo sono un modo per fermare l’emorragia di donne dai posti che
prima dei bambini, sempre di corsa, si sono guadagnate, beh, ben
vengano. Ma l’auspicio è che poche ne abbiano bisogno
22.2.13
Nessun commento:
Posta un commento