domenica 24 febbraio 2013

Gli asili a Teleperformance - ma è proprio una bella soluzione per le donne?

Nei giorni scorsi la Cgil,, insieme ai candidati alle elezioni,del PD - che si presentano a questi lavoratori sempre e solo in occasione di tornate elettorali - e insieme al dirigente dell'azienda, ha presentato il progetto di costruzione di asili nido aziendali alla Teleperformance. 
Pelillo, candidato PD,ha detto: “Mi interesserò inoltre – ha annunciato Michele Pelillo – del progetto di asilo nido aziendale presentato alla Regione Puglia”. Dal 2006 (anno di nascita di Teleperformance a Taranto), ad oggi, si contano circa 800 nascite da famiglie in cui almeno uno dei due genitori è lavoratore nel call center. “Il mio obiettivo – ha concluso il candidato del PD – sarà anche quello di rispondere alle tante mamme lavoratrici del call center (il 70%, molte con età inferiore ai 35 anni), che hanno la necessità di conciliare i tempi di vita con quelli del lavoro”.
 
 
E' a vantaggio delle lavoratrici questa iniziativa che vede uniti azienda, sindacati confederali e aspiranti al governo? Abbiamo forti dubbi.

Riportiamo un articolo, anche ironico, apparso sul Corriere della Sera, giorni fa. E chiamiamo soprattutto le lavoratrici a capire se questa degli "asili aziendali" non nasconde un'altra fregature verso le donne.


Perché chiudersi in un ghetto con creature e pc se c’è l’occasione per svicolare in ufficio e pensare, per qualche ora al giorno, solo a se stesse?

di Elisabetta Andreis
 
Una premessa, forse doverosa: non punto a cuccare. Ma quando lavoro, vividdio, voglio vedere maschi. Papà o non papà non importa, ma per favore senza figli abbarbicati ai polpacci.
Oppure donne, va bene, ma nella loro dimensione lavorativa, da libere cittadine, non nelle loro funzioni materne, col pensiero che corre attiguo a pannolini e scarpette.
    Del resto il lavoro non è l’unica occasione legittimata che ci capita per frequentare anche (o soprattutto, e finalmente) NON mamme?
E poi: perché avvicinare le creature al computer fino a metterle nella stanza di fianco, se c’è l’occasione per svicolare in ufficio e pensare, per qualche ora al giorno, solo a se stesse? Perché costruire ambienti vicini, attaccati, simbioticamente connessi?
Eppure è proprio questo che fa Piano C, un nuovo splendido concetto di coworking destinato a chi, genitore, vuole avere lavoro, casa e figli in un unico spazio, ancorché diviso dal muro.
Il concetto è, in potenza, molto comodo. Anzi perfetto, per come è congegnato. Una stanza con 14 postazioni di lavoro, un’altra con babysitter per i bambini da 0 a 3 anni, un’altra ancora per quelli più grandi, intrattenuti con laboratori organizzati ad hoc. E poi, per la casa: il servizio SalvaTempo, con maggiordomi in borghese che sbrigano commissioni tipo lavanderia, bollette e spesa. E infine la cucina, le sale riunioni, persino l’aula per lo yoga e il corso di canto e gorgheggi.
    Dov’è l’Andreis, che l’aspettano per l’intervista sui disabili a Milano? Ohh niente, è qui di fianco a dare un bacio ad Anita, la sua quarta figlia, quella che ha un anno e cammina sulle ginocchia.
    Oppure: ohh niente, sta facendo un break giocando ai Pokemon, Giacomo l’ha vista attraverso il vetro e l’ha arpionata colpendola alle spalle mentre lei stava scrivendo un pezzo...

... ci conviene cercare la conciliazione nell’unione tra le nostre due, tre, dieci facce? Non è invece più furbo tenerle, finché possiamo, separate a compartimenti stagni?
Mi si ribadirà: i bambini son più contenti, ad averci di fianco e incrociarci tra una riunione, un’intervista e un documento. Ma ne siamo poi convinti davvero? E’ meglio così che non, invece, lavorare full immersion in un posto totalmente ‘altro’ dal loro per poi essere, quando si torna a casa, col sorriso e senza telefonini tutte per pappe, compiti e trottole bay-blade?
A me il coworking per genitori/mamme pare una soluzione estrema, un ghetto cui pensare se proprio non si hanno alternative per figli (un nido comunale? Una mamma dirimpettaia con cui far rete per tenere a turno la prole? Un nonno disponibile mentre noi lavoriamo?) e per noi stesse (l’azienda proprio non ci vuole più? Non possiamo rientrare e combattere da dentro?).
Forse però sbaglio. Una donna su 4, in Italia, lascia il lavoro entro il primo anno di vita di suo figlio, non lo dimentico. Là fuori nulla di quello che potremmo ottenere è scontato. E la priorità sono senz’altro i figli...

    ...Se “Piani” come questo sono un modo per fermare l’emorragia di donne dai posti che prima dei bambini, sempre di corsa, si sono guadagnate, beh, ben vengano. Ma l’auspicio è che poche ne abbiano bisogno

22.2.13

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