(dal Corriere della sera) - "Per entrare
nel capitale dell'Ilva sono in campo, almeno informalmente due ipotesi: la prima fa capo al colosso indiano
ArcelorMittal e la seconda al gruppo italiano Arvedi in alleanza con i
brasiliani di Csn. La siderurgia europea è affetta in questo momento da
sovracapacità produttiva e tutte le mosse dei grandi player vanno lette
(anche) in quest'ottica.
Mittal potrebbe in linea teorica insediarsi a
Taranto per evitare che vada in mano ai concorrenti ma di pari passo
potrebbe anche agire cinicamente e ridimensionarlo. Il gruppo del resto
possiede altri due impianti analoghi in Europa, in Francia e in Romania,
anche se entrambi non si fanno preferire a Taranto quanto ad efficienza
e tecnologia.".
Quindi in questa ipotesi non c'è il mantenimento così come ora dell'Ilva, nè tantomeno il suo risanamento. Lo scopo di Arcelor Mittal è quello di "fregare" la concorrenza, avere più peso nell'economia mondiale; il forte ridimensionamento è certo, anche per la sovracapacità della produzione dell'acciaio, in cui vi è anche una lotta tra i vari capitalismi per difendere le proprie quote produttive.
(dal CdS) - "Accanto a Mittal dovrebbe sbarcare in Puglia come alleato
anche il gruppo Marcegaglia ma il suo impegno quantitativo non è
considerato sufficiente per presidiare gli interessi nazionali. Da qui
l'idea che la Cassa Depositi e Prestiti possa prendere una quota azionaria a termine per
garantire il sistema Italia ovvero che Mittal non ridimensioni Taranto e
completi il risanamento ambientale. L'ipotesi di un intervento della
Cassa in teoria vale anche per l'ipotesi Ar-vedi ma questa seconda
cordata nell'entourage di Renzi si presta a un maggiore scetticismo vuoi
per l'indebitamento del gruppo Arvedi vuoi per il profilo dei
brasiliani che non sembrano essere un soggetto dalle spalle così forti
quanto Mittal. È chiaro che così configurato l'intervento dello Stato in
IIva assomiglierebbe a una sorta di golden share (*) ma segnerebbe anche
un secco ritorno al passato. Non va dimenticato poi che lo statuto
della Cdp le vieta (opportunamente) di prendere quote azionarie in
società che siano in perdita. E lo stesso vale per il Fondo strategico
italiano.
(*) Con il termine golden share si indica l'istituto giuridico in forza del quale uno Stato, durante e a seguito di un processo di privatizzazione (o vendita di parte del capitale) di un'impresa pubblica, si riserva poteri speciali che possono essere esercitati dal governo
durante il processo medesimo. Fra questi poteri si segnalano quello di
riservare allo Stato stesso un certo quantitativo azionario, nonché
quello di nominare un proprio membro nel consiglio di amministrazione
della società oggetto di privatizzazione che, a differenza degli altri
componenti dell'organo di governo dell'impresa, goda di poteri più ampi.
Arcelor Mittal e/o Arvedi, Marcegaglia, nessuno vuole (o può) accollarsi i debiti dell'Ilva, Vogliono acquisire, eventualmente, la fabbrica ma senza zavorre miliardarie.
A liberarli di queste "zavorre", compresi le problematiche ambientali e i lavoratori in esubero a fronte del ridimensionamento, ci dovrebbe pensare lo Stato. Quindi, l'intervento dello Stato, a scanso di ogni illusione che i fautori della "nazionalizzazione" tentano di alimentare, non sarebbe affatto a garanzia della collettività (lavoratori e popolazione di Taranto), ma a garanzia dei nuovi padroni.
Nessuno poi risolve il "rebus" del fatto che i Riva sono ancora proprietari dell'Ilva e non intendono farsi espropriare l'azienda di famiglia. E che i governi, compreso Renzi, per quanto decreti abbiano fatto e facciano, non ne fanno uno per espropriare i Riva e requisire i miliardi di profitti, fatti con il sudore e sangue dei lavoratori, che hanno provocato malattie e morte di tanti cittadini e bellamente sottratti al fisco,
Ma la "nazionalizzazione", l'"intervento dello Stato"- uno Stato che, non dimentichiamo mai, è al servizio solo e soltanto dei padroni, e Renzi, quasi più di Berlusconi, ce lo sta ogni giorno ben ricordando... - sembrano ormai delle parole che mettono d'accordo tutti.
Dall'USB che ne fa la soluzione auspicata di tutti i mali dell'Ilva, alla FIOM che chiede al governo di "assumere un ruolo diretto nella ricapitalizzazione, nella definizione dei nuovi assetti proprietari, nella gestione implementando il commissariamento, attingendo alle risorse del Fondo strategico nazionale".
Ma non solo. Ora questi sindacati possono dire di essere in buona compagnia. Vi sono, infatti, i "nuovi arrivi": dalla Uil che ora per bocca del segretario regionale, Pugliese, auspica la nazionalizzazione; al vecchio Lamberto Dini (vedi chi si risente...) che certamente se ne intende di operazioni del tipo "aggiusto la fabbrica con i soldi dello Stato e poi la svendo a un nuovo padrone", visto che fu proprio lui, nel 1995, da presidente del consiglio, a regalare l'allora Italsider a Riva; infine allo stesso Renzi che da qualche giorno parla di "proposta nuova per l'Ilva" alludendo a un intervento più concreto dello Stato.
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