lunedì 9 marzo 2015

MENTRE LA MAGISTRATURA DI TARANTO CONDANNA 32 PERSONE PER LA MANIFESTAZIONE CONTRO RIVA DEL 30.3.2012, NESSUNA RAPRESSIONE ALLORA E ORA E' STATA FATTA VERSO IL CORTEO ORGANIZZATO DA AZIENDA E CAPI DI CARATTERE NEOCORPORATIVO E FASCISTA

Riportiamo un resoconto/commento di quella "adunata sediziosa" fatto allora da proletari comunisti.

Quanto è accaduto a Taranto nei giorni scorsi, e in particolare venerdì 30 marzo, non è solo una manifestazione della contraddizione: difesa dell’ambiente/difesa dei posti di lavoro, ma una scesa in campo aperto di padron Riva che usa mezzi eversivi per imporre i suoi interessi e la sua politica.
Chi legge i fatti come un contrasto tra lavoratori da un lato e cittadini, studenti, ambientalisti dall’altro, o chi esprime posizioni di sapore moralista sugli operai, chi enfatizza la manifestazione Ilva del 30 marzo, non ha capito ancora cosa è oggi il fascismo padronale.

Allora partiamo dai fatti.
Già lunedì 26 avvengono cose strane per gli operai. Vi è una convocazione da parte dei sindacati, con il beneplacido aziendale, di un assemblea di 4 ore con presidio sotto la prefettura sulla questione ambiente/lavoro. “Non è mai successo – dicono degli operai – che si utilizzino 4 ore per un’assemblea, neanche quando vi sono stati scioperi importanti si è fatto; anzi in questi casi a volte non c’è neanche informazione ”. Ma altre cose, che non succedono mai in occasione di scioperi, avvengono: messaggi agli operai sui telefonini per dire di andare all’assemblea esterna, bus messi a disposizione, invito dei capi ad andare, “comandata”, che normalmente durante gli scioperi sindacali viene gonfiata dalla direzione Ilva, ridotta ai minimi livelli.
Chi non va all’assemblea viene guardato e trattato male.

Ma il massimo arriva venerdì 30. I dirigenti e i capi si trasformano in attivisti/squadristi. Girano tra i lavoratori dicendo che il 30 devono TUTTI andare alla manifestazione sotto il tribunale, diffondono allarmismo affermando che se il giudice va avanti in questa inchiesta l’Ilva può chiudere; minacciano, ricattano: “vieni, altrimenti…”, “se chiudono dei reparti, il primo nella lista sarai tu”.
Il giovedì precedente poi compaiono nelle bacheche, alle portinerie dei volantini e locandine anonimi, firmati “I lavoratori dell’Ilva” o “lavoratori ILVA (Pensiero LIBERO)” - che fa venire in mente termini usati dalla destra, dai fascisti. In questi volantini si fa appello a “operai, capi squadra, impiegati, quadri, ditte” ad unirsi “a noi per difendere il tuo posto di lavoro contro le strumentalizzazioni fatte sulla nostra pelle…”, si parla di “offese” che ciascuno di loro subisce da parte di Enti che li chiamano ”assassini” e “ci augurano tutti i mali possibili, a noi e ai nostri familiari”, e si fa appello a non farsi condizionare “da chi oggi vuole solo il male del Nostro stabilimento”; quindi passando alla esaltazione di quanto fatto dall’azienda in termini di sicurezza, si parla di “risultati enormi”, di “enormi investimenti (per) rendere ecocompatibile lo Stabilimento”, si scrive che questi interventi “hanno reso oggi il nostro stabilimento punto di riferimento importante nel panorama internazionale”, che “l’azienda si sta muovendo nella giusta direzione in materia ambientale”; e, infine, in una logica corporativa, si dice che tutti questi attacchi esterni avvengono “solo perché questo Stabilimento lo guida un privato che si chiama “RIVA” e non lo Stato Italiano e non si parla mai di altri siti lavorativi e produttivi…”.
In un altro appello sempre anonimo uscito proprio il 30 marzo viene anche scritto che tutte le perizie fatte sono false e infondate, e si parla di “immorale strumentalizzazione dei bambini… la scuola DEVE essere luogo di studio e non culla di ideologie..”, e via dicendo (come se i morti di operai, cittadini, bambini a Taranto per tumori e malattie provocati dall’inquinamento fossero “ideologie…”).
Ancora una volta, questi toni, oltre che le cose scritte, si ritrovano solo in materiali e volantini di forze di estrema destra.

A questo martellamento cartaceo, si unisce il martellamento diretto dei capi. Il venerdì 30 è di fatto una “libera uscita” forzata per chi sta in fabbrica. Gli operai sono intimoriti o minacciati, o confusi dall’allarmismo diffuso sul rischio dei posti di lavoro.
Venerdì avviene un incredibile capovolgimento: mentre quando vi sono scioperi sindacali l’Ilva punisce gli operai, togliendogli una parte del premio di produzione, il 30 gli operai rischiano di essere puniti SE NON partecipano alla manifestazione.
Si parla di ferie forzate per chi osa dire che non andrà alla manifestazione. Agli operai delle ditte dell’appalto Ilva – ai cui padroni la direzione Ilva ha mandato un “messaggio” che fa capire che potrebbero perdere l’appalto se il venerdì lavorano – le aziende hanno dette che è inutile che vadano in fabbrica tanto non si lavora. Vengono richiamati operai in cassintegrazione solo per la giornata del 30 marzo per essere rimessi in cig il 2 aprile, lo stesso vengono richiamati in fabbrica gli operai che hanno il turno di riposo; gli operai che hanno fatto il turno di notte sono costretti a rimanere per andare alla manifestazione; la giornata è pagata dall’azienda che paga anche gli straordinari.
Di fatto venerdì 30 viene attuata una sorta di serrata aziendale.
In tutto questo i delegati e sindacalisti o sono spariti o sono penose pecorelle. Il giovedì mattina, al 1° turno, mentre lo Slai cobas per il sindacato di classe strappava da tutte le bacheche delle portinerie i volantini dei capi, i sindacalisti della Fiom facevano finta che non stesse accadendo nulla.

Anche all’interno dell’Ilva, solo dove vi sono operai dello slai cobas per il sindacato di classe si contrasta attivamente l’azione dei capi. Un esempio importante è all’area del porto, in cui basta un solo operaio dello Slai cobas che dice “NO”, manda una lettera alla direzione per dire che lui, domani, venerdì, lavorerà normalmente, quindi spedisce il delegato uilm a chiedere al capo con quale rappresentanza sindacale l’Ilva ha stabilito le “ferie forzate”, perché l’ordine viene rimangiato e TUTTO il reparto non va alla manifestazione e lavora normalmente.

L’organizzazione della manifestazione del venerdì è sotto regia aziendale. L’azienda mette a disposizione bus interni ed esterni per cammellare gli operai. Si vedono striscioni tutti della stessa fattura, fatti in serie, fondo bianco e scritte nere, sembrano usciti poche ore prima dalla stamperia (dell’Ilva); non c’è una bandiera rossa; gli operai ricevono un kit dall’azienda, comprensivo di fischietti, trombette, ecc.; stranamente le tute, i caschi degli operai sono puliti e sembrano nuovi (anche quelli degli operai dell’indotto, che normalmente hanno tutt’altra pulizia).
E comincia la “marcia”. Giacchè il Tribunale è stato vietato (a tutti) dalla questura, la manifestazione dell’Ilva si concentra sotto la prefettura e si mostra poi nelle strade centrali della città. Il clima nei grossi pezzi dei capi ha un esplicito indirizzo eversivo (in cui il paragone è con la marcia dei 40mila della Fiat o peggio). I toni sono da “chiamata alle armi” e sono ben caratterizzati dagli striscioni “a marchio di fabbrica”: “Noi non ci stiamo - giù le mani dal nostro stabilimento”, “…dopo tutti a casa del sindaco e del gip”, “NO alle speculazioni personali sulla pelle dei lavoratori”, “fuori le bugie dalle aule della giustizia”, ecc. ; gli atteggiamenti dei capi sono arroganti e ostentati: un giornalista di “Piazza pulita”, Sortino, che anni fa fece un buon documentario sulla situazione di inquinamento dell’Ilva, viene trattato male. Si tratta di un’adunata sediziosa di carattere neocorporativo e fascista, fatta ricattando e minacciando i lavoratori.
Nei pezzi degli operai, invece, sembra la “marcia della paura”, nei due sensi, sia per il clima creato dall’azienda, sia per la confusione/preoccupazione sulla possibile chiusura dello stabilimento.
Il più esplicito elogio alla manifestazione viene dai legali di Riva: “Il dato più importante di questa giornata è emerso dal corteo degli 8000 operai che hanno lanciato un messaggio chiaro alle istituzioni. Un richiamo a non perdere di vista i valori che contano e fra questi c’è il lavoro”.
Ma anche il Prefetto, che il 30 incontra una delegazione della manifestazione, ha parole di elogio “per il senso di responsabilità e per la civiltà dimostrata” (!?).
I numeri della manifestazione vengono gonfiati, a differenza di quanto accade normalmente negli scioperi e cortei operai, questura, giornali compiacenti, azienda sono tutti uniti a sparare cifre che arrivano fino a 8mila. In realtà i numeri sono molto inferiori, e lo sono soprattutto quelli degli operai; chiaramente capi, quadri e impiegati di Ilva e appalto sono al completo, quindi sui 2.500, poi vi sono molti operai delle ditte (più ricattati per il posto di lavoro), gli operai dell’Ilva non sono più di 1000. Certo, comunque sono tanti, troppi per questa manifestazione. Ed è vero che non si vedeva un corteo dell’Ilva così grosso da decenni.
Ma alla fabbrica nei giorni prima è diverso. Basta parlare con gli operai, basta che gli operai possano parlare liberamente, e il buon senso di classe viene fuori, come viene fuori la denuncia del clima interno, dei capi, come dei sindacati confederali e dei sindacalisti conniventi o latitanti. I compagni dello slai cobas per il sindacato di classe alle portinerie fanno capannelli, comizi volanti, discussioni, gli operai appoggiano e dicono che è vero che i primi ad essere colpiti nella salute e a volte nella vita sono loro, che è giusto che Riva paghi, che l’allarme che l’Ilva può chiudere è stato usato anche quando i sindacati hanno accettato una ingiustificata cassintegrazione, che se si molla su un diritto, si molla su tutto, ecc. Davanti alla fabbrica sono stati isolati e ridicolizzati imbarazzati e pavidi sindacalisti, soprattutto della Fiom.
Alcuni operai scrivono che si sono vergognati di vedere loro compagni di lavoro piegare la testa, di vedere stracciati diritti democratici; altri dicono orgogliosi che loro hanno scelto di non andare alla manifestazione; pochi, ma coraggiosi, vengono al Tribunale in appoggio all’inchiesta della magistratura; altri ancora denunciano il clima di ansia in fabbrica e l’inquinamento in fabbrica che “si taglia con il coltello, molte volte abbiamo difficoltà a respirare a causa dei cattivi odori provenienti da strane sostanze… per non parlare della presenza un po’ ovunque dell’amianto…”.

In questi giorni l’inquinamento più grave non sta tanto nell’aria, negli scarichi a mare e nei terreni, ma in ciò che sta succedendo in fabbrica, nell’azione combinata azienda/capi; ed è questa che va contrastata a tutti i livelli.

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