giovedì 4 luglio 2019

FORMAZIONE OPERAIA - COMPRENDIAMO LE ARGOMENTAZIONI DI MARX PER COMBATTERE POI GLI ODIERNI "WESTON" - Su "salario prezzo e profitto" - 4° parte

Proseguiamo l'esposizione del testo di Marx attraverso le parole stesse di Marx perchè esse sono le più chiare e popolari - inteso, rivolte agli operai possibili - ed è importante che gli operai e gli altri fruitori del corso si approprino direttamente dei contenuti del testo.
Sarà alla conclusione dell'esposizione dei suoi concetti base che potremo usarli come armi utili all'obiettivo del corso; cioè armi della lotta per il salario, armi per la lotta di classe, combattendo, come è necessità dell'oggi, gli odierni "Weston", cioè a dire i portavoci coscienti o incoscienti del capitale.

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Marx, per confutare il "dogma" per cui "I prezzi delle merci vengono determinati o regolati dai salari", scrive: "gli operai di fabbrica, i minatori, i carpentieri navali e altri operai inglesi, il cui lavoro è relativamente ben pagato, battono tutte le altre nazioni per il basso prezzo dei loro prodotti, mentre, per esempio, l'operaio agricolo inglese, il cui lavoro è pagato relativamente male, è battuto da quasi tutte le altre nazioni per l'alto
prezzo dei suoi prodotti.". Quindi "a parte alcune eccezioni più apparenti che reali, in media il lavoro pagato bene produce le merci più a buon mercato, e il lavoro pagato male produce le merci care". Tutto il contrario, quindi, di quello che afferma Weston secondo cui "i prezzi delle merci non sono determinanti dai prezzi del lavoro", per cui se aumenta il salario aumenterebbe di conseguenza il prezzo delle merci.

Ma prosegue Marx: “Che cosa intendiamo dire quando affermiamo che i prezzi delle merci sono determinati dai salari? Poichè i salari non sono che un termine per designare il prezzo del lavoro, intendiamo dire con ciò che i prezzi delle merci sono determinati dal prezzo del lavoro. Poichè "prezzo" è valore di scambio… espresso in denaro, la cosa si riduce a dire che "il valore della merce è determinato dal valore del lavoro", oppure che "il valore del lavoro è la misura generale del valore".
Ma allora come viene determinato a sua volta il "valore del lavoro"? Qui arriviamo a un punto morto...”.
Prima egli (Weston) ci ha detto che i salari regolano i prezzi delle merci e che perciò i prezzi devono salire quando salgono i salari. Poi ha fatto un mezzo giro per mostrarci che un aumento dei salari non servirebbe a niente perchè i prezzi delle merci sono saliti, e perchè i salari di fatto sono misurati dai prezzi delle merci per le quali essi vengono spesi. Incominciamo dunque con l'affermazione che il valore del lavoro determina il valore della merce, e terminiamo con l'affermazione che il valore della merce determina il valore del lavoro. Ci aggiriamo dunque in un circolo vizioso e non arriviamo a nessuna conclusione… perchè determiniamo un valore per mezzo di un altro valore che, a sua volta, ha bisogno di essere determinato…
La prima domanda che dobbiamo porci è la seguente: - Che cos'è il valore di una merce? Come viene esso determinato?”.
Se una quantità di una merce (per es. un quarter di grano) si può scambiare con un’altra quantità di un’altra merce (per es. ferro), si dice che il valore dell’una e il suo controvalore nell’altra merce “sono uguali a una terza cosa, che non è né grano né ferro, poichè ammetto che essi esprimono la stessa grandezza in due forme diverse.”
Qual’è, allora, la “terza cosa”? “Quale è – scrive Marx - la sostanza sociale comune a tutte le merci? E' il lavoro. Per produrre una merce bisogna impiegarvi o incorporarvi una quantità determinata di lavoro, e non dico soltanto di lavoro, ma di lavoro sociale… Ma, come si misura la quantità di lavoro? Secondo il tempo che dura il lavoro, misurandolo a ore, a giorni, ecc. Naturalmente, per impiegare questa misura tutti i generi di lavoro vengono ridotti a lavoro medio o semplice come loro unità di misura.
Arriviamo dunque a questa conclusione: una merce ha un valore, perchè è una cristallizzazione di lavoro sociale… I valori relativi delle merci sono dunque determinati dalle corrispondenti quantità o somme di lavoro impiegate, realizzate, fissate in esse. Le quantità di merci corrispondenti l'una all'altra, che possono essere prodotte nello stesso tempo di lavoro, sono uguali. Oppure, il valore di una merce sta al valore di un'altra come la quantità di lavoro fissata nell'una sta alla quantità di lavoro fissata nell'altra”.

Marx continua affrontando un’altra errata concezione: “Voi dovete ad ogni modo tener presente che la remunerazione del lavoro e la quantità del lavoro sono cose del tutto diverse…”.
Quando scambiamo due merci perché hanno lo stesso valore “perchè sono la cristallizzazione di uguali quantità di lavoro medio, perchè rappresentano tanti giorni o tante settimane di lavoro fissato in ognuno di essi. Determinando in questo modo i valori relativi dell'oro e del grano, ci riferiamo noi, in un modo qualunque, ai salari degli operai agricoli o dei minatori? Menomamente…”. Benchè i valori delle merci scambiate sono uguali, i salari degli operai che hanno prodotto l’una e l’altra merce possono essere differenti o anche se fossero uguali “essi possono divergere secondo tutti i rapporti possibili dai valori delle merci che essi hanno prodotto”.
Quindi “La determinazione dei valori delle merci secondo le quantità relative di lavoro che sono fissate in esse, è quindi completamente diversa dal metodo tautologico della determinazione dei valori delle merci secondo il valore del lavoro, cioè secondo i salari
Nel calcolo del valore di scambio di una merce, alla quantità di lavoro impiegato da ultimo per la sua produzione dobbiamo ancora aggiungere la quantità di lavoro anteriormente incorporata nella materia prima della merce, e il lavoro impiegato per i mezzi di lavoro, gli strumenti, le macchine, i fabbricati, necessari per realizzare il lavoro. Per esempio, il valore di una certa quantità di filati di cotone è la cristallizzazione della quantità di lavoro che è stato aggiunto al cotone durante il processo di filatura, della quantità di lavoro già precedentemente realizzata nel cotone stesso, della quantità di lavoro incorporata nel carbone, negli oli e nelle altre sostanze ausiliarie impiegate, e della quantità di lavoro fissata nella macchina a vapore, nei fusi, nell'edificio della fabbrica, e così via”.

Marx poi torna alla spiegazione precedente secondo cui la sostanza sociale comune a tutte le merci è il lavoro… ma il lavoro sociale. Perchè
Potrebbe sembrare – scrive Marx - che, se il valore di una merce viene determinato dalla quantità di lavoro impiegata per la produzione di essa, ne derivi che, quanto più un operaio è pigro e maldestro, tanto maggior valore abbiano le merci da lui prodotte, dato che il tempo di lavoro necessario per la produzione di esse è in tal caso più lungo”. Ma non è così “Quando diciamo che il valore di una merce è determinato dalla quantità di lavoro in essa incorporata o cristallizzata, intendiamo la quantità di lavoro necessaria per la sua produzione in un determinato stato sociale, in determinate condizioni sociali medie di produzione, con una determinata intensità media sociale e una determinata abilità media del lavoro impiegato”.

Inoltre “La quantità di lavoro necessaria per produrre una merce varia continuamente col variare delle forze produttive del lavoro impiegato. Quanto più grandi sono le forze produttive del lavoro, tanto maggiore è la quantità di prodotti che si producono in un determinato tempo di lavoro; e quanto minori sono le forze produttive del lavoro, tanto meno verrà prodotto nello stesso tempo”
le forze produttive del lavoro devono dipendere essenzialmente:
Primo. Dalle condizioni naturali del lavoro, dalla fertilità del suolo, dalla ricchezza del sottosuolo, ecc.
Secondo. Dal miglioramento progressivo delle forze di lavoro sociali, che deriva dalla produzione su grande scala, dalla concentrazione del capitale e dalla coordinazione del lavoro, dalla divisione del lavoro, dalle macchine, dai metodi di lavoro perfezionati, dall'applicazione di forze naturali chimiche e d'altro genere, dalla riduzione del tempo e dello spazio grazie ai mezzi di comunicazione e di trasporto, e da tutte le altre invenzioni per mezzo delle quali la scienza piega le forze della natura al servizio del lavoro, e che sviluppano il carattere sociale o cooperativo del lavoro stesso. Più le forze produttive del lavoro sono grandi, tanto meno lavoro viene impiegato in una determinata quantità di prodotti, e perciò tanto minore è il valore del prodotto. Più le forze produttive del lavoro sono piccole, tanto più lavoro viene impiegato nella stessa quantità di prodotti, e perciò tanto maggiore è il loro valore. Possiamo dunque stabilire come legge generale quanto segue:
I valori delle merci sono in ragione diretta del tempo di lavoro impiegato per la produzione di esse, e in ragione inversa delle forze produttive del lavoro impiegato”.

Tornando ai prezzi delle merci e alle cause del loro aumento o diminuzione – per ulteriormente ribadire che non dipendono dal salario – Marx scrive: “Il prezzo di mercato esprime soltanto la quantità media di lavoro sociale necessario, in condizioni medie di produzione, per fornire al mercato una certa quantità di un determinato articolo. Esso viene calcolato secondo la quantità totale di una merce di una determinata specie.
In questo senso il prezzo di mercato di una merce coincide con il suo valore. Invece le oscillazioni dei prezzi di mercato, che talvolta superano il valore, o il prezzo naturale, tal altra volta gli sono inferiori, dipendono dalle oscillazioni della domanda e dell'offerta… Ma domanda ed offerta devono costantemente tendere a equilibrarsi, quantunque ciò avvenga soltanto perchè una oscillazione viene compensata da un'altra, un aumento da una caduta e viceversa”.
Se dunque nel complesso e tenendo conto di lunghi periodi di tempo ogni specie di merce è venduta al suo valore, è assurdo supporre che il profitto, - non il profitto realizzato nei singoli casi, ma il profitto costante e abituale delle diverse industrie, - derivi dal sopraccaricare i prezzi delle merci, o dal fatto che esse sono vendute a un prezzo notevolmente superiore al loro valore. L'inconsistenza di questa opinione diventa evidente se la si generalizza. Ciò che uno guadagna costantemente come venditore, dovrebbe perderlo costantemente come compratore”.
Quindi, per spiegare la natura generale dei profitti, dovete partire dal principio che le merci in media sono vendute ai loro valori reali, e che i profitti provengono dal fatto che le merci si vendono ai loro valori, cioè proporzionalmente alla quantità di lavoro che in esse è incorporata”.

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