lunedì 15 luglio 2019

Morti delle gru: GLI OPERAI VI CONDANNANO!

Leggete le testimonianze terribili degli operai di quel giorno in cui morì sulla gru Zaccaria, il 28 novembre 2012 - la stessa su cui ora è morto l'operaio Cosimo Massaro.
Leggete! Perchè esse sono un'analisi, una denuncia inchiodante di come il capitale agisce per difendere solo i suoi profitti, fregandose e schiacciando la vita degli operai che per il padrone sono solo una merce che però, a differenza delle altre, dà pluslavoro e plusvalore.
Leggete! Come il capitale non solo distrugge il fisico degli operai, ma anche per chi sopravvive, ne distrugge comunque la vita. Vari operai non sono più tornati a lavorare sulle gru, sono stati distrutti nella volontà, sicurezza in sè stessi. 
Leggete! Queste testimonianze mostrano in modo nudo e crudo il ruolo servile, vile dei capi, che fanno carriera sulla pelle degli operai, che in pieno rischio sicurezza dicono agli operai di continuare comunque a lavorare; perchè la vita degli operai non vale, ma la difesa della produzione capitalista sì, vale soldi e solsi.
Leggete! Come gli operai muoiono. Per niente: perchè non ci sono dispositivi per la messa in sicurezza, non ci sono ordini di servizio, non ci sono corsi di formazione, ecc. ecc. perchè si risparmia su tutto.
Leggete! Come l'azienda, i padroni, i capi truffano, su meccanismi di sicurezza inesistenti, su disposizioni, ordini di servizio, che fanno uscire improvvisamente il giorno dopo gli infortuni mortali, ecc.; in un sistema giudiziario che "ne prende atto", ma non li chiude in galera, e si dilunga in uno stanco processo, dal 2014.
Leggete! Come, nello stesso tempo, le chiare testimonianze degli operai dimostrino, invece, che in una fabbrica in cui gli operai possano controllare, decidere, in cui al primo posto non c'è il profitto del padrone, sia possibilissimo lavorare in sicurezza. A conferma della verità scientifica che "Nocivo è il capitale non la fabbrica".
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DEPOSIZIONE DEL TESTIMONE PIERGIANNI SIMEONE, Operaio Ilva gruista
Siamo arrivati alle sette di mattina, abbiamo fatto l’armamento con tutta la squadra praticamente, sono salito sul DM8, inizialmente sono salito da solo. Poi, dopo tre quarti d’ora, siccome c’era da fare una manovra, perché c’era l’affossamento della benna in stiva, mi hanno chiamato ed è salito Sasso, che era un gruista che ancora stavo facendo addestramento.
Dopo circa un quarto d’ora, venti minuti, abbiamo visto che il vento aumentava e ho segnalato alla manutenzione di andare via perché non potevamo fare nessuna manovra perché gli anemometri intervenivano alla macchina.
Sul DM8 l’anemometro era di due tipi, un preallarme e l’allarme effettivo. Praticamente superati i 55/60 scattava un piccolo allarme in cabina e 70 la macchina si bloccava. Quel giorno arrivavano
raffiche, la macchina ogni cinque minuti incominciava a bloccare. Io incitavo alla manutenzione di andare via perché pioveva. Dicevo agli operai che stavano sulla nave, perché seguivano i movimenti del carrello, che non potevo fare nessuna manovra perché la macchina si bloccava. Quindi la manutenzione è andata via e noi siamo andati a passerella, vuole dire che con la cabina ci recavamo al posto di partenza dove stavano le scale. Dove c’era un cancelletto che si entrava.
Siamo rimasti a in cabina e, siccome stava il vento, siamo rimasti lì fermi. Fino a che è successo il tornado. Intorno alle undici meno venti incominciammo a sentire dei rumori che erano delle lamiere che si incominciavano a staccare di sotto alla macchina, praticamente. Nel frattempo abbiamo visto che si spostava da sola la macchina, io, per istinto, ho incominciato a schiacciare tutti i pulsanti, i funghi di emergenza. Praticamente non era la macchina che si spostava: era la nave che stava andando… Cioè che si erano staccate le funi, quindi si stava spostando la nave. Io, per effetto ottico praticamente, ho visto questa cosa qua. Però nel frattempo che incitavo sulla radio, la radio era spenta perché si era scollegato tutto. Quindi siamo andati prima a scontro lato terra, che sarebbe verso la strada, e poi praticamente sembrava che la cabina avesse un motore a benzina, perché è partita ad una velocità pazzesca!
La cabina è stata risucchiata, quel vento praticamente ci ha risucchiati verso il mare. Ci siamo afferrati, però la cabina non ha sostenuto l’emergenza perché era troppo il vento.
Sasso si trovava vicino la porta che stavamo uscendo, e io mi trovavo di fronte al monitor e mi sono afferrato ad un passamano che c’era in cabina. Ho detto “Siamo spacciati” perché non è mai successa una cosa del genere. Quando siamo arrivati a scontro, non so quanti minuti sono passati prima di riprendere coscienza, perché io mi sono trovato a terra col quadro elettrico dietro la schiena, in mezzo ai vetri. La cabina praticamente miracolosamente si era fermata contro il respingente sicuramente.
Poi ho visto la cabina di Morrone che stava di fronte a me sul DM6, che praticamente era schiacciata sulla nave. Pensavo che Morrone stava dentro la cabina. Zaccaria si trovava dietro.
Quella mattina non abbiamo ricevuto degli avvisi di allerta meteo prima di a salire sulla gru o anche durante, né qualche responsabile dell’azienda ci ha detto di scendere dagli scaricatori in quella mattinata. Nessuno ci ha detto di scendere.
Non conoscevo la pratica operativa datata 18 Novembre 2005 e poi aggiornata all’8 Marzo 2012. Dopo che sono tornato dall'infortunio nel Marzo 2013 l’ho visto. Era esposto in bacheca.
Prima del 28 novembre, giorno in cui poi muore il povero Zaccaria, non avevo mai visto questo ordine in bacheca. Da quello che mi hanno raccontato l’hanno affisso in ufficio nei giorni successivi all’evento. Tra l’altro noi eravamo gruisti del quarto sporgente, non c’è nessuna bacheca al quarto sporgente.
Non mi è mai stato spiegato questo dispositivo di antiuragano. Ne sono venuto a conoscenza dopo l’incidente di queste cose qua, che noi non abbiamo mai usato.
I gruisti anziani non ci hanno mai detto di usare questa cosa, né qualche responsabile dell’azienda.
Non ho mai seguito dei corsi di formazione circa i rischi specifici cui andavo incontro quale gruista. Io ero dieci anni che lavoravo là. L’unico rischio che avevo inizialmente era la paura dell’altezza, basta.
In quella mattinata nessuno dell’azienda ci ha detto di scendere dagli scaricatori. Quella mattina siamo scesi da soli io e Francesco aiutandoci uno con l’altro. Ci abbiamo messo circa un'ora e mezza. Nessuno ci ha contattato, ci ha portato soccorso. Solo all’ultima rampa c’era il Dottore Di Noi, capo reparto.
Noi urlavamo per venire a salvarci, praticamente.

DEPOSIZIONE DEL TESTIMONE ANDRISANI IVAN. Operaio Ilva gruista.

Il 28 novembre ero mi trovavo in mensa. Ero disponibile in attesa di lavoro. Ero presente durante l'incidente. Ho visto le macchine, il tornado che prendeva tutt’e tre le gru. Traslavano tra di loro, si urtavano, tornavano indietro, erano delle macchine impazzite!
Non ho mai sentito parlare di un dispositivo antiuragano sulle gru di quel tipo, né delle ganasce antibufera.
Non ho mai effettuato corsi di formazione da gruista, né sui rischi specifici a cui andava incontro il gruista, ma solo corsi generici, su comportamenti aziendali, elmetto, tenute di lavoro e dispositivi, mascherina e quant’altro.
Sono diventato gruista perché sono andato insieme ad un ex gruista, mi ha fatto vedere come funzionava e da lì è partito diciamo il mio percorso.

In dieci anni di servizio mi è capitato un paio di volte di trovare la cabina spostata da quello che è l’ingresso passerella-cabina, spostata avanti o indietro rispetto alla posizione del cancelletto di accesso. In quelle occasioni sono sceso, ho avvisato l’ufficio e poi tramite manovre di manutenzione, con un richiamo di bypass tornava indietro da passerella, venivano degli elettricisti manutentori che richiamavano la cabina in posizione di passerella. Nel momento in cui la cabina esce fuori cancelletto, non si apre neanche il cancelletto. Dove vado? Cado giù! Quindi poi chiami e qualcuno ti riporti alla passerella. Ma sarà successo un paio di volte.
L’unico dispositivo d'emergenza che un gruista ha è il fungo di emergenza, che nel momento in cui lo schiaccia è finito tutto, non può fare più niente. Blocca la traslazione e altre manovre, benne, carrelli e quant’altro. Ma non per la sicurezza dell’uomo. Serve per fermare la macchina. La cabina si può muovere.
Anche se va via la luce all’epoca si staccavano anche le portali che noi avevamo. Rimanevamo soli, diciamo. Mi è capitato di essere rimasto in blackout e non ho potuto neanche chiedere aiuto. Le portali perdevano o perdono anche loro la corrente.
Quella mattina mai sentito parlare di allerta meteo. Non ero a conoscenza di procedure da adottare in caso di emergenza meteo. Quando è arrivata la raffica di vento che ha provocato quello che sappiamo, panico totale! Nessuna norma di sicurezza, né raccoglimento, né un punto di attesa per raccogliere quello che era successo. Panico totale! Ognuno poteva fare quello che voleva! C’è gente che è scappata a casa. Io che sono rimasto fino all’ultimo, sperando di rivedere il mio collega, Zaccaria, quel giorno mi è venuto a prendere da casa per andare insieme a lavoro.

DEPOSIZIONE DEL TESTIMONE DE PACE FABIO, operaio Ilva gruista

Non conoscevo il dispositivo, il blocco antiuragano, ne le ganasce antibufera.
Non ho mai effettuato dei corsi di formazione in relazione ai rischi specifici cui il gruista doveva essere esposto.
La nostra sicurezza era la cabina, cioè noi vedevamo come nella cabina il posto più sicuro della gru. E poi l’unico dispositivo che permetteva di bloccare tutta la macchina era una emergenza a fungo rosso.
Le macchine del secondo sporgente non avevano freni, si può dire. Io ricordo benissimo, per esempio il DM4, svariate volte anche con un vento di 30/40 chilometri orari, traslavano da sole. Come anche il DM5: aveva un problema sul binario dove scorreva il carrello, che ci permetteva di prendere il materiale in stiva, faceva sempre un rumore assordante. Questo l’abbiamo sempre segnalato, però non è mai stato risolto questo problema.
La macchina è formata da un braccio mobile. Su questo braccio mobile scorreva un carrello dove era attaccata una benna che ci permetteva di raccogliere il materiale nelle stive. Ogni volta, in un determinato punto, sempre sopra la nostra testa era a fine corsa della cabina sul braccio mobile, ogni volta si sentiva questo rumore che per noi era fastidiosissimo perché stare lì cinque ore e mezza e sentire questo rumore assordante comunque di ferraglia, era fastidioso. Quindi noi chiedevamo che questo problema si potesse risolvere, però non venivano risolti.
In caso di condizioni meteo avverse non c’era una procedura che si seguiva, nel senso che non c’era un iter da seguire. Tant’è che parecchie volte, quando scattava l’anemometro, ci chiedevano di ripristinare l’anemometro. Perché l’anemometro bloccava soltanto la traslazione della macchina, però ti permetteva di lavorare, di continuare a scaricare il materiale dalla stiva e portarlo in tramoggia. Ci chiedevano di continuare a lavorare, di cercare di lavoricchiare anche quando l’anemometro segnalava il vento forte.
La macchina cessava la traslazione quando il vento superava i 55 chilometri orari. Però non era uguale per tutte le macchine. Il DM8 – non si sa perché – a 60 chilometri orari non interveniva. E noi, come gruisti, chiedevamo: “Ma come mai il DM5 interviene o al DM6 interviene e alle altre macchine no?”. E ci dicevano, i capi turno, che in base a dove tirava il vento le macchine coprivano gli altri anemometri.
Una volta che la macchina si fermava, noi chiedevamo di andare almeno a passerella. Perché parecchie volte ci sono state delle pressioni: “Dai, rimani a braccio fisso. Non andare a passerella perché altrimenti perdi tempo poi a ritornare sul punto dove devi lavorare” e quindi ci facevano questo tipo di pressioni i capi turno.
Tutti i gruisti sapevano di queste criticità del DM5, l'abbiamo sempre segnalato al capo reparto, al capo turno. Ad esempio una volta chiesi, fermai la macchina perché ero infastidito di questa situazione che si prolungava per… Parliamo di mesi. Fermai la macchina e scesi. Mi presi tutte le mie responsabilità di quello che stavo facendo. Però un mio collega riarmò la macchina e finì là questa vicenda. Però tutti i gruisti sapevano benissimo le criticità delle macchine, soprattutto al secondo sporgente e anche del quarto sporgente. Adesso ne sto ricordando altre: ad esempio, quando si effettuava la bennata all’improvviso, certe volte, si ammainavano da sole i cavi, le funi. Questa per noi non era una cosa buona perché, evidentemente, in sala argani c’era qualcosa che non funzionava bene.

DEPOSIZIONE DEL TESTIMONE BRUNO SANTE, operaio Ilva, gruista

Ho visto questo tornado alzarsi all’improvviso. Vedevo le macchine che camminavano avanti e indietro come se erano impazzite. Si muovevano a destra e sinistra sui binari, senza controllo.
C’è un anemometro all’interno di queste macchine che, ad una certa velocità del vento dovrebbe bloccare la macchina. Che poi si bloccava solo la traslazione sui binari, non tutta la funzione della macchina. Infatti noi spesso, quando succedeva che si bloccava l’anemometro, continuavamo a lavorare da fermi, ci facevano lavorare da fermi sulla stiva.
Non sono a conoscenza dell’esistenza di un dispositivo antiuragano, né delle ganasce antibufera, l’ho saputo dopo il tornado.
L’azienda non mi ha mai fatto effettuare, svolgere dei corsi di formazione in relazione ai rischi specifici cui, quale gruista. Chiamavo l’ufficio, veniva la manutenzione e portavano la cabina in posizione di nuovo per potere accedere.
Il giorno del tornado, non ci hanno dato delle indicazioni, delle istruzioni. In quel momento ci siamo un po’ sparpagliati, ci siamo persi di vista, perché era una situazione un po’ strana. Non sapevamo da che parte andare praticamente! L’azienda non ha dato degli avvisi di allerta meteo quella mattina, i ragazzi che lavoravano erano tranquillamente sulle macchine.
La gru DM5, in generale, benissimo non andava, come tutto il resto delle gru che stavano lì. Erano molte le problematiche. Tipo i carrelli che saltavano quando lavoravamo, tipo quando c’era un po’ più di vento le macchine camminavano da sole e non si fermavano neanche in caso di arresto con il fungo emergenza, continuavano a camminare tranquillamente.
Non ero a conoscenza di una procedura operativa da seguire in caso di emergenza. L'ordine di servizio, firmato da Di Noi, capo reparto, l’ho visto dopo il tornado, esposto nella mensa. Prima non l’avevo mai visto.
Quella mattina, nessuna istruzione. Nessuno ci ha detto niente. Ci siamo trovati così, sparpagliati, chi fuori, chi dentro, chi davanti all’entrata nel secondo, chi al quarto, non c’era un controllo.
Ho visto sempre la gru che si spostava a destra e a sinistra sui binari senza controllo, e aveva la benna incastrata nella stiva. In questo movimento di avanti e indietro si sono addirittura strappate le funi d’acciaio, col fatto che la benna era bloccata in stiva. Ho visto che la cabina si era accartocciata, praticamente; alla gru DM5 ho visto che mancava la cabina. Ho visto i respingenti che erano due pezzettini di ferro che si erano sollevati, non so nemmeno se si chiamavano “respingenti” perché non penso che quelli erano dei respingenti, perché non hanno fatto da respingente. Se erano respingenti, Francesco stava qua con noi ancora, e stava parlando con noi!
I respingenti e la trave che mancava erano montati al DM8, dove la cabina è rimasta, a prova dell’efficacia dei respingenti e della trave.
Dopo l’evento, ho chiesto di cambiare reparto perché non mi sentivo più sicuro su quelle macchine.

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