Cominciamo a pubblicare oggi, dal verbale del processo Ilva "Ambiente svenduto", le testimonianze sull'infortunio mortale delle gru del 28 novembre 2012, dove morì Zaccaria Francesco.
Oggi pubblichiamo quella di un tecnico incaricato dalla Procura delle indagini, e di un operaio Francesco sasso.
Domani pubblicheremo quelle di altri operai.
Domani pubblicheremo quelle di altri operai.
Queste testimonianze sono importanti, e tragiche nello stesso tempo. Perchè dimostrano le precise responsabilità dell'azienda, ciò che doveva essere fatto e non si faceva, la mancanza di dispositivi di sicurezza, lo stato disastroso e l'assenza di manutenzione delle gru, la pervica mancanza non solo di formazione ma anche di informazione agli operai - così non sapendo non potevano rivendicare diritti di sicurezza previsti anche dalla stessa normativa, fino alla mancanza di soccorsi.
Mercoledì 10 luglio un altro operaio, Cosimo Massaro, ha perso la vita nello stesso posto, con la stessa gru. Cosa ha fatto l'azienda in questi 7 anni? Cosa hanno fatto gli organi di controllo? eppure avevano fatto delle prescrizioni. Cosa hanno fatto e detto agli operai gruisti, al porto i sindacati, i delegati, gli Rls, a fronte di una situazione di permanenza di grave insicurezza e rischio vita?
DAI VERBALI:
TESTE ARCHITETTO ANGELO DI SUMMA, incaricato delle indagini per la ricostruzione degli eventi occorsi e segnatamente il decesso del signor Zaccaria Francesco e gli infortuni occorsi ai lavoratori Piergianni Simeone e Sasso Francesco.
Fra i vari documenti che abbiamo chiesto all’azienda, ce n’era uno in particolare, volevamo sapere quali erano le procedure che venivano seguite normalmente per le attività, un documento dove c’era riportato un ordine di servizio su cui riportava che già la mattina c’era molto vento. L’anemometro della gru è tarato – credo – per circa 67 chilometri orari. Quindi, siccome il dato di non operatività di quelle gru stabilito dall’Ispesl è di 72 chilometri orari, il dato inserito dalla stessa azienda, era inferiore e, quindi, gli operai potevano sentirsi – per così dire – più tranquilli...
Nel momento stesso in cui c’è stato l’evento, la cabina veniva proiettata in mare. La cabina scorre su
Fra i vari documenti che abbiamo chiesto all’azienda, ce n’era uno in particolare, volevamo sapere quali erano le procedure che venivano seguite normalmente per le attività, un documento dove c’era riportato un ordine di servizio su cui riportava che già la mattina c’era molto vento. L’anemometro della gru è tarato – credo – per circa 67 chilometri orari. Quindi, siccome il dato di non operatività di quelle gru stabilito dall’Ispesl è di 72 chilometri orari, il dato inserito dalla stessa azienda, era inferiore e, quindi, gli operai potevano sentirsi – per così dire – più tranquilli...
Nel momento stesso in cui c’è stato l’evento, la cabina veniva proiettata in mare. La cabina scorre su
due binari paralleli e praticamente è stata proiettata dal lato mare.
Invece il signor Morrone Vincenzo si trovava all’interno della cabina gru DM6 e accade la stessa cosa che è accaduta al DM5. La cabina è stata proiettata. Però, invece di cadere in mare, sotto c’era una nave, la Mary Mercuri. Però il Morrone ha avuto la prontezza, probabilmente impaurito dal vento che incalzava, non attenendosi a nessun tipo – diciamo – di diverso comportamento, è uscito fuori e ha fatto appena in tempo a salvarsi.
Invece, sulla cabina DM8 vi erano i lavoratori Sasso Francesco e Piergianni Simeone. Su questa gru, praticamente, la dinamica seguita è stata sempre la stessa. La cabina del DM8, così come la cabina del DM5 (dove si trovava l'operaio Zaccaria) e il DM6, è stata – sì – proiettata nella stessa maniera in direzione mare, però aveva i respingenti… i finecorsa che l’hanno bloccata, non è andata oltre.
I finecorsa servono a bloccare la cabina nel momento stesso in cui, per un motivo qualunque, arriva a fermarsi al limite e, in caso di imprudenza o di qualunque tipo di avaria, la cabina può fermarsi senza avere successivi – diciamo – inconvenienti come quello che si è verificato per le altre.
Una precisazione per quanto riguarda i fine corsa: quelle realizzate per il DM8 – finecorsa – sono differenti da quella realizzata sia sul DM6 che sul DM5. Praticamente il DM8 rispettava pedissequamente quello che il progetto riportava – una cosa molto importante – mentre sia il DM6 e sia il DM5, invece, erano fatte in maniera completamente differente. Invece di essere fra i binari su cui scorreva – quindi interposto proprio al centro fra i binari – questo finecorsa sul DM5 era messo al di sopra, con due alette centrali che dovevano fungere da fermo. Stessa cosa sul DM6. Addirittura il DM6 non ne aveva uno: ne aveva due di questi finecorsa.
La DM5 appoggia su 48 ruote. Ogni gamba è dotata di 12 ruote delle quali 6 sono motrici, e 6 sono folli, per un totale di 12 motori che azionano il movimento di traslazione. Questo è il DM5. Ha un dispositivo di ancoraggio: sono delle tenaglie che sono interbloccate elettricamente. Poi dispone di un fungo interno, che può essere azionato direttamente dal lavoratore, fermo restando quello che abbiamo detto prima, che c’è l’anemometro che, quando arriva a una certa velocità, blocca in automatico il tutto. E poi c’è un altro dispositivo che il “blocco anti-uragano”.
La gru DM8 ha una caratteristica diversa. La gru è ben appoggiata… Invece che come il DM5 su 48, questa poggia su 68 ruote, ha suppergiù le stesse caratteristiche per quanto riguarda il blocco. Si può bloccare attraverso l’anemometro.
Il DM8 aveva il finecorsa secondo quello che prevedeva il progetto. Invece, la gru DM5 dove stava Zaccaria i finecorsa non erano secondo il progetto.
Noi abbiamo contestato una inadeguata manutenzione ed alterazione rispetto alle indicazioni di conformità sui perni delle ruote di traslazione della gru, ad esempio, i sistemi di bloccaggio sulle parti meccaniche, non sono conformi perché, ad esempio, c’è una piastra saldata sopra, che non ha nulla a che vedere con quella che è l’originalità dell’impianto. Poi attività manutentive sospese da tempo e non condotte a termine e non idonee, in corrispondenza della sommità della struttura c’era anche l’assenza di bullonature. Chiariamo: sono bulloni che non vanno solo avvitati, ma hanno dalla parte opposta un aggancio che impedisce loro di staccarsi. Poi abbiamo sulle scale le passerelle della gru: si riscontrava un’apertura sui binari di calpestio, assenza di corrimani o avanzato stato di deterioramento delle stesse, degli ancoraggi su dei parapetti.
Addirittura si vede il piano di calpestio, dove c’è un buco. Lì è un punto di passaggio dei lavoratori. C’era un sacco d’olio! Poi presenza di opere provvisionali in corrispondenza delle scale di accesso in sommità della gru, montata da tempo e in stato di abbandono, quindi, è come iniziare un determinato lavoro e poi non portarlo a termine. E poi c’era in qualche caso, l’assenza totale di estintori dei presidi o con manutenzione periodica scaduta. Poi c’è la sala argani, dove c’era presenza di sostanze oleose, grasse, pavimenti, insomma pericoloso pure per il lavoratore nel caso va a scivolare. E un’assenza di cartellonistica o dei presidi necessari per indicare le vie di esito in seguito ad un’emergenza. Questo è ciò che attiene alcuni aspetti legati alla manutenzione, alle condizioni.
Non c'era possibilità di apertura automatica del cancelletto di accesso alla cabina operatore gru. Evidentemente non funzionava il sistema di chiusura di sicurezza, quindi, uno lo poteva aprire tranquillamente anche in assenza della cabina stessa.
C’è della ruggine su elementi strutturali, il problema della ruggine si evince in quasi tutti gli elementi che ho appena citato: è presente dappertutto; quella è una palese mancanza di totale manutenzione.
Poi c’era un libero accesso in locali ad elevato rischio di elettroduzione. La cabina elettrica, praticamente aperta, con un’indicazione ovviamente sulla porta d’accesso, chiaramente indicante “cabina elettrica”.
La gru DM5 è del 1974. Il decreto 81 che si occupa di sicurezza, prevede una responsabilità particolare per i progettisti che devono realizzare strutture e impianti conformemente a quelle che sono le norme di sicurezza per la prevenzione e sicurezza dei lavoratori. La stessa regola vale pure per i fabbricanti, il ché vuole dire che io progetto in un modo e tu lo devi realizzare rispettando gli stessi criteri. E questi due elementi sono elementi fondamentali. Noi abbiamo chiesto il 12/12/2012 all’Ilva, copia sia del manuale d’uso e degli elaborati grafici progettuali, ovviamente riferiti a quello originale. Ciò che ci ha dato l’Ilva è l’ultimo documento di cui erano in possesso.
Per quanto attiene il DM5, noi ci siamo soffermati sul mancato utilizzo del fermo anti-uragano, che era previsto e che peraltro, sulla stessa cabina, come anche sulle altre, ve ne era la presenza, anche se sullo stesso DM5 si è trovato solo l’alloggiamento del perno ma il perno stesso no.
Il dispositivo del blocco, si trova posizionato sulla cabina questo perno. È un blocco meccanico che il lavoratore deve innestare manualmente, uscendo dalla cabina ce l’ha a una distanza di meno di un metro credo.
Sulla cabina del DM5 era posizionato lo spinotto di ancoraggio ma il perno non c’era, no! Sulla cabina DM2 che poi è stata esaminata, lì vi era il fermo anti-uragano e la gru DM2, non era stata interessata, quel giorno, dall’evento.
Questo fermo anti-uragano ha una su funzionalità, comunque dagli accertamenti era sconosciuta a tutti. Abbiamo sentito 7 gruisti e anche le persone offese, Sasso e Piergianni.
Abbiamo chiesto all’Ilva, tutta la documentazione relativa alla attività di formazione degli operai e non c’è la minima traccia di una indicazione o comunque di un argomento trattato, che riporti all’utilizzo di questo meccanismo. Sugli atti forniti dall’Ilva, non c’era nessun rigo in cui si riportava questa specifica formazione sui dispositivi di sicurezza presenti in cabina, relativi al blocco anti-uragano, da utilizzare in caso di emergenza.
Poi, l’apertura del fine corsa della cabina in merito alla gru DM5. Praticamente la cabina viene proiettata in direzione mare, incontra questo finecorsa, solleva le due alette. Qui, sul DM5 ripeto, ce ne era solo uno. Sul DM6 ce n’erano addirittura due ma hanno fatto la stessa fine, ovviamente non conformi a quanto era stato progettato. Solo in quella del DM8, il finecorsa era stato realizzato secondo il progetto. Data la stessa velocità del vento, però uno ha tenuto e l’altro no.
Inoltre, in relazione alle condizioni meteo, non era stato predisposto un piano di evacuazione, un piano di emergenza ad hoc. Tale procedura è prevista unicamente ai fini ambientali.
Il Marzo del 2012 c’è un ordine di servizio che, comunque, era stato solo affisso in bacheca, riporta solo due righe - questo ordine di servizio ci è stato fornito successivamente all’evento.
Questo ordine di servizio descrive la procedura da seguire in condizioni di avverse meteo. Considera un vento pari a 72 chilometri orari e dice che i gruisti devono scendere dalle macchine e le macchine devono essere posizionate alla minima distanza possibile tra loro.
Ordine di servizio, del 9 febbraio 2012, a firma dell'Ing. Di Noi, affisso in bacheca, chi lo vuole leggere lo legge, non viene assolutamente preso in considerazione dall’aggiornamento della pratica operativa del 8 marzo 2012.
Facciamo le prescrizioni e l’Ilva questa volta, con un aggiornamento del 03 Luglio 2013, inserisce nel piano di emergenza di reparto, condizioni meteo avverse. Ovviamente noi ce ne accorgiamo... Però non riportava quali fossero tutte le modalità e le azioni da compiere da parte dell’operatore, perché non ritrovavamo l’uso del perno o blocco anti-uragano. Il 25 luglio 2013, l'Ilva questa volta, inserisce un punto che dice: azione da compiere da parte dell’operatore: “Inserire il perno di blocca – precisa – qualificato come da verbale Spesal, come indicato nel manuale d’uso e manutenzione della macchina”.
Poi c’era un problema legato anche ad una verifica puntuale della gru, al di là dei certificati dei documenti di verifica della stessa, perché, praticamente, pur essendo stata installata la gru nel DM5 nel ‘74, avendo pertanto più di venti anni di vita, sebbene richiesta, nessuna valutazione risulta in atti, relativa alla valutazione della vita residua. Nella documentazione di verifica periodica effettuata dall’Arpa non riusciamo a trovare questo elemento di valutazione di vita residua. La verifica Arpa era stata effettuata nel Luglio 2012.
Questa certificazione deve servire a sapere quanti cicli di lavorazione e quanti anni ancora la macchina può continuare ad operare.
Dopodiché l’Ilva, ha effettuato una valutazione di vita residua, il 10 Gennaio del 2013, dopo l’incidente (quindi dopo 39 anni, molto dopo i 20 anni prescritti dalla normativa).
TESTE FRANCESCO SASSO – assunto in Ilva il 15 ottobre del 2001, al porto da giugno del 2012, con mansioni di gruista.
Invece, sulla cabina DM8 vi erano i lavoratori Sasso Francesco e Piergianni Simeone. Su questa gru, praticamente, la dinamica seguita è stata sempre la stessa. La cabina del DM8, così come la cabina del DM5 (dove si trovava l'operaio Zaccaria) e il DM6, è stata – sì – proiettata nella stessa maniera in direzione mare, però aveva i respingenti… i finecorsa che l’hanno bloccata, non è andata oltre.
I finecorsa servono a bloccare la cabina nel momento stesso in cui, per un motivo qualunque, arriva a fermarsi al limite e, in caso di imprudenza o di qualunque tipo di avaria, la cabina può fermarsi senza avere successivi – diciamo – inconvenienti come quello che si è verificato per le altre.
Una precisazione per quanto riguarda i fine corsa: quelle realizzate per il DM8 – finecorsa – sono differenti da quella realizzata sia sul DM6 che sul DM5. Praticamente il DM8 rispettava pedissequamente quello che il progetto riportava – una cosa molto importante – mentre sia il DM6 e sia il DM5, invece, erano fatte in maniera completamente differente. Invece di essere fra i binari su cui scorreva – quindi interposto proprio al centro fra i binari – questo finecorsa sul DM5 era messo al di sopra, con due alette centrali che dovevano fungere da fermo. Stessa cosa sul DM6. Addirittura il DM6 non ne aveva uno: ne aveva due di questi finecorsa.
La DM5 appoggia su 48 ruote. Ogni gamba è dotata di 12 ruote delle quali 6 sono motrici, e 6 sono folli, per un totale di 12 motori che azionano il movimento di traslazione. Questo è il DM5. Ha un dispositivo di ancoraggio: sono delle tenaglie che sono interbloccate elettricamente. Poi dispone di un fungo interno, che può essere azionato direttamente dal lavoratore, fermo restando quello che abbiamo detto prima, che c’è l’anemometro che, quando arriva a una certa velocità, blocca in automatico il tutto. E poi c’è un altro dispositivo che il “blocco anti-uragano”.
La gru DM8 ha una caratteristica diversa. La gru è ben appoggiata… Invece che come il DM5 su 48, questa poggia su 68 ruote, ha suppergiù le stesse caratteristiche per quanto riguarda il blocco. Si può bloccare attraverso l’anemometro.
Il DM8 aveva il finecorsa secondo quello che prevedeva il progetto. Invece, la gru DM5 dove stava Zaccaria i finecorsa non erano secondo il progetto.
Noi abbiamo contestato una inadeguata manutenzione ed alterazione rispetto alle indicazioni di conformità sui perni delle ruote di traslazione della gru, ad esempio, i sistemi di bloccaggio sulle parti meccaniche, non sono conformi perché, ad esempio, c’è una piastra saldata sopra, che non ha nulla a che vedere con quella che è l’originalità dell’impianto. Poi attività manutentive sospese da tempo e non condotte a termine e non idonee, in corrispondenza della sommità della struttura c’era anche l’assenza di bullonature. Chiariamo: sono bulloni che non vanno solo avvitati, ma hanno dalla parte opposta un aggancio che impedisce loro di staccarsi. Poi abbiamo sulle scale le passerelle della gru: si riscontrava un’apertura sui binari di calpestio, assenza di corrimani o avanzato stato di deterioramento delle stesse, degli ancoraggi su dei parapetti.
Addirittura si vede il piano di calpestio, dove c’è un buco. Lì è un punto di passaggio dei lavoratori. C’era un sacco d’olio! Poi presenza di opere provvisionali in corrispondenza delle scale di accesso in sommità della gru, montata da tempo e in stato di abbandono, quindi, è come iniziare un determinato lavoro e poi non portarlo a termine. E poi c’era in qualche caso, l’assenza totale di estintori dei presidi o con manutenzione periodica scaduta. Poi c’è la sala argani, dove c’era presenza di sostanze oleose, grasse, pavimenti, insomma pericoloso pure per il lavoratore nel caso va a scivolare. E un’assenza di cartellonistica o dei presidi necessari per indicare le vie di esito in seguito ad un’emergenza. Questo è ciò che attiene alcuni aspetti legati alla manutenzione, alle condizioni.
Non c'era possibilità di apertura automatica del cancelletto di accesso alla cabina operatore gru. Evidentemente non funzionava il sistema di chiusura di sicurezza, quindi, uno lo poteva aprire tranquillamente anche in assenza della cabina stessa.
C’è della ruggine su elementi strutturali, il problema della ruggine si evince in quasi tutti gli elementi che ho appena citato: è presente dappertutto; quella è una palese mancanza di totale manutenzione.
Poi c’era un libero accesso in locali ad elevato rischio di elettroduzione. La cabina elettrica, praticamente aperta, con un’indicazione ovviamente sulla porta d’accesso, chiaramente indicante “cabina elettrica”.
La gru DM5 è del 1974. Il decreto 81 che si occupa di sicurezza, prevede una responsabilità particolare per i progettisti che devono realizzare strutture e impianti conformemente a quelle che sono le norme di sicurezza per la prevenzione e sicurezza dei lavoratori. La stessa regola vale pure per i fabbricanti, il ché vuole dire che io progetto in un modo e tu lo devi realizzare rispettando gli stessi criteri. E questi due elementi sono elementi fondamentali. Noi abbiamo chiesto il 12/12/2012 all’Ilva, copia sia del manuale d’uso e degli elaborati grafici progettuali, ovviamente riferiti a quello originale. Ciò che ci ha dato l’Ilva è l’ultimo documento di cui erano in possesso.
Per quanto attiene il DM5, noi ci siamo soffermati sul mancato utilizzo del fermo anti-uragano, che era previsto e che peraltro, sulla stessa cabina, come anche sulle altre, ve ne era la presenza, anche se sullo stesso DM5 si è trovato solo l’alloggiamento del perno ma il perno stesso no.
Il dispositivo del blocco, si trova posizionato sulla cabina questo perno. È un blocco meccanico che il lavoratore deve innestare manualmente, uscendo dalla cabina ce l’ha a una distanza di meno di un metro credo.
Sulla cabina del DM5 era posizionato lo spinotto di ancoraggio ma il perno non c’era, no! Sulla cabina DM2 che poi è stata esaminata, lì vi era il fermo anti-uragano e la gru DM2, non era stata interessata, quel giorno, dall’evento.
Questo fermo anti-uragano ha una su funzionalità, comunque dagli accertamenti era sconosciuta a tutti. Abbiamo sentito 7 gruisti e anche le persone offese, Sasso e Piergianni.
Abbiamo chiesto all’Ilva, tutta la documentazione relativa alla attività di formazione degli operai e non c’è la minima traccia di una indicazione o comunque di un argomento trattato, che riporti all’utilizzo di questo meccanismo. Sugli atti forniti dall’Ilva, non c’era nessun rigo in cui si riportava questa specifica formazione sui dispositivi di sicurezza presenti in cabina, relativi al blocco anti-uragano, da utilizzare in caso di emergenza.
Poi, l’apertura del fine corsa della cabina in merito alla gru DM5. Praticamente la cabina viene proiettata in direzione mare, incontra questo finecorsa, solleva le due alette. Qui, sul DM5 ripeto, ce ne era solo uno. Sul DM6 ce n’erano addirittura due ma hanno fatto la stessa fine, ovviamente non conformi a quanto era stato progettato. Solo in quella del DM8, il finecorsa era stato realizzato secondo il progetto. Data la stessa velocità del vento, però uno ha tenuto e l’altro no.
Inoltre, in relazione alle condizioni meteo, non era stato predisposto un piano di evacuazione, un piano di emergenza ad hoc. Tale procedura è prevista unicamente ai fini ambientali.
Il Marzo del 2012 c’è un ordine di servizio che, comunque, era stato solo affisso in bacheca, riporta solo due righe - questo ordine di servizio ci è stato fornito successivamente all’evento.
Questo ordine di servizio descrive la procedura da seguire in condizioni di avverse meteo. Considera un vento pari a 72 chilometri orari e dice che i gruisti devono scendere dalle macchine e le macchine devono essere posizionate alla minima distanza possibile tra loro.
Ordine di servizio, del 9 febbraio 2012, a firma dell'Ing. Di Noi, affisso in bacheca, chi lo vuole leggere lo legge, non viene assolutamente preso in considerazione dall’aggiornamento della pratica operativa del 8 marzo 2012.
Facciamo le prescrizioni e l’Ilva questa volta, con un aggiornamento del 03 Luglio 2013, inserisce nel piano di emergenza di reparto, condizioni meteo avverse. Ovviamente noi ce ne accorgiamo... Però non riportava quali fossero tutte le modalità e le azioni da compiere da parte dell’operatore, perché non ritrovavamo l’uso del perno o blocco anti-uragano. Il 25 luglio 2013, l'Ilva questa volta, inserisce un punto che dice: azione da compiere da parte dell’operatore: “Inserire il perno di blocca – precisa – qualificato come da verbale Spesal, come indicato nel manuale d’uso e manutenzione della macchina”.
Poi c’era un problema legato anche ad una verifica puntuale della gru, al di là dei certificati dei documenti di verifica della stessa, perché, praticamente, pur essendo stata installata la gru nel DM5 nel ‘74, avendo pertanto più di venti anni di vita, sebbene richiesta, nessuna valutazione risulta in atti, relativa alla valutazione della vita residua. Nella documentazione di verifica periodica effettuata dall’Arpa non riusciamo a trovare questo elemento di valutazione di vita residua. La verifica Arpa era stata effettuata nel Luglio 2012.
Questa certificazione deve servire a sapere quanti cicli di lavorazione e quanti anni ancora la macchina può continuare ad operare.
Dopodiché l’Ilva, ha effettuato una valutazione di vita residua, il 10 Gennaio del 2013, dopo l’incidente (quindi dopo 39 anni, molto dopo i 20 anni prescritti dalla normativa).
TESTE FRANCESCO SASSO – assunto in Ilva il 15 ottobre del 2001, al porto da giugno del 2012, con mansioni di gruista.
Il 28 novembre del 2012 io ero in addestramento e mi hanno mandato in addestramento al DM8, con Simone Piergianni.
Siamo saliti sopra, però non dovevamo svolgere attività lavorativa al momento perché avevamo la benna infossata nel materiale, nella stiva della nave; dovevano provare a sbloccarla, a liberare la benna, poi siccome non ce la faceva la macchina, se ne andava in blocco perché tirava i cavi e se ne andava in blocco perché era pesante, c’era troppo materiale e non riusciva a salire la benna, ci hanno fatto aspettare a passerella, vicino le scale, aspettavamo disposizioni.
A un certo punto abbiamo visto il vento forte che era fortissimo, che da passerella ci spostò con la cabina prima a lato terra e poi una volta portati al lato terra al braccio fisso, andammo a sbattere forte al braccio mobile, la cabina si incartocciò tutta ed io incastrato con l’altro collega... La velocità era fortissima!
Siamo andati a finire la prima volta contro il braccio fisso, a finecorsa del braccio fisso, poi dal braccio fisso ci siamo fatti tutto il braccio fino al braccio mobile e siamo arrivati a finecorsa, ci siamo incartocciati. Più o meno sarà una trentina di metri, e poi un’altra ventina-trentina saranno una sessantina di metri, 50-60 metri, quanto la lunghezza di tutto il braccio.
Quella mattina non abbiamo ricevuto degli avvisi di allerta meteo, mai sentita questa cosa qua prima! All’interno dell’attrezzatura c’è un anemometro, quando stavamo fermi a passerella già segnava cento chilometri orari.
Comunque a me nessuno mi aveva detto che magari ad una certa velocità si dovrebbe scendere, nessuno lo sapeva.
Che sul DM8 esiste un dispositivo antiuragano l’ho saputo dopo che è successo il fatto
Non ho mai seguito dei corsi di formazione sulla sicurezza in relazione ai rischi specifici a cui doveva essere esposto come gruista
Quando scattava l’anemometro facevamo il reset e continuavamo a lavorare, vedevo gli altri che lavoravano.
Non sapevo se c’erano delle procedure da seguire in caso di emergenza. Non sapevo se vi erano dei dispositivi di sicurezza in caso di emergenza.
Dopo l’evento del tornado, in cui siamo rimasti incastrati nella cabina non abbiamo ricevuto soccorsi. Dopo mezz’ora, tre quarti d’ora di vento ed acqua che entrava nella cabina, eravamo tutti insanguinati, il collega che parlava al telefono con qualcun altro e disse che c’era la scala dietro, siamo riusciti ad uscire di fianco alla cabina c’era un buco che potevamo uscire, c’era una scala che portava sopra il braccio, infatti siamo riusciti ad uscire e siamo saliti sopra e piano piano ci siamo aggrappati, ci siamo mantenuti l’uno con l’altro e siamo arrivati giù, siamo scesi giù, nessuno però ci ha soccorso, siamo arrivati proprio giù da soli, tutti insanguinati, tutti spezzati, nessuno che ci ha soccorso!
Siamo saliti sopra, però non dovevamo svolgere attività lavorativa al momento perché avevamo la benna infossata nel materiale, nella stiva della nave; dovevano provare a sbloccarla, a liberare la benna, poi siccome non ce la faceva la macchina, se ne andava in blocco perché tirava i cavi e se ne andava in blocco perché era pesante, c’era troppo materiale e non riusciva a salire la benna, ci hanno fatto aspettare a passerella, vicino le scale, aspettavamo disposizioni.
A un certo punto abbiamo visto il vento forte che era fortissimo, che da passerella ci spostò con la cabina prima a lato terra e poi una volta portati al lato terra al braccio fisso, andammo a sbattere forte al braccio mobile, la cabina si incartocciò tutta ed io incastrato con l’altro collega... La velocità era fortissima!
Siamo andati a finire la prima volta contro il braccio fisso, a finecorsa del braccio fisso, poi dal braccio fisso ci siamo fatti tutto il braccio fino al braccio mobile e siamo arrivati a finecorsa, ci siamo incartocciati. Più o meno sarà una trentina di metri, e poi un’altra ventina-trentina saranno una sessantina di metri, 50-60 metri, quanto la lunghezza di tutto il braccio.
Quella mattina non abbiamo ricevuto degli avvisi di allerta meteo, mai sentita questa cosa qua prima! All’interno dell’attrezzatura c’è un anemometro, quando stavamo fermi a passerella già segnava cento chilometri orari.
Comunque a me nessuno mi aveva detto che magari ad una certa velocità si dovrebbe scendere, nessuno lo sapeva.
Che sul DM8 esiste un dispositivo antiuragano l’ho saputo dopo che è successo il fatto
Non ho mai seguito dei corsi di formazione sulla sicurezza in relazione ai rischi specifici a cui doveva essere esposto come gruista
Quando scattava l’anemometro facevamo il reset e continuavamo a lavorare, vedevo gli altri che lavoravano.
Non sapevo se c’erano delle procedure da seguire in caso di emergenza. Non sapevo se vi erano dei dispositivi di sicurezza in caso di emergenza.
Dopo l’evento del tornado, in cui siamo rimasti incastrati nella cabina non abbiamo ricevuto soccorsi. Dopo mezz’ora, tre quarti d’ora di vento ed acqua che entrava nella cabina, eravamo tutti insanguinati, il collega che parlava al telefono con qualcun altro e disse che c’era la scala dietro, siamo riusciti ad uscire di fianco alla cabina c’era un buco che potevamo uscire, c’era una scala che portava sopra il braccio, infatti siamo riusciti ad uscire e siamo saliti sopra e piano piano ci siamo aggrappati, ci siamo mantenuti l’uno con l’altro e siamo arrivati giù, siamo scesi giù, nessuno però ci ha soccorso, siamo arrivati proprio giù da soli, tutti insanguinati, tutti spezzati, nessuno che ci ha soccorso!
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