pubblichiamo stralci della prima parte - la seconda parte dell'articolo la commenteremo in altra occasione.
Lo faremo attraverso le nostre forti certe e non per voci o sentito dire.
Le tante verità sulle gru del IV sporgente: punto uno, i bollettini meteo e l’accordo tra lavoratori, sindacati e azienda
La prima domanda a cui bisogna rispondere e che in molti si stanno ponendo negli ultimi giorni, è perché i tre lavoratori delle gru denominate ‘DM6’, ‘DM8’ e ‘DM5’ del reparto IMA1 del IV sporgente del porto di Taranto, nella serata di mercoledì erano ad oltre 60 metri di altezza a lavorare, prelevando il minerale da una nave, nonostante le condizioni meteo fossero andate peggiorando sempre più velocemente nel corso del pomeriggio.
Il perchè è presto detto. Dopo il tragico evento del 28 novembre 2012, quando un tornado colpì la
zona industriale di Taranto e il comune di Statte, causando la morte del gruista Francesco Zaccaria la cui cabina fu spazzata via, lavoratori, sindacati e azienda addivenirono ad un accordo che prevede di assumere decisioni sul far salire o meno i lavoratori sulle gru, a seconda dei bollettini meteo emessi dalla Protezione Ciivile. Qualora l’allerta annunci vento di burrasca con colore giallo, i lavoratori possono salire sulle gru e lavorare. Se invece il bollettino prevede vento ‘forte’ di burrasca (con colorazione che procede dall’arancione al rosso), i lavoratori restano a terra per svolgere attività di retrobanchina. Prima di quest’accordo, in caso di condizioni meteo avverse spesso e volentieri venivano semplicemente mandati a casa per ‘ferie’.
Secondo i due bollettini meteo di mercoledì 10 luglio da noi consultati (oltre che da altri lavoratori e sindacati) l’allerta meteo della Protezione Civile ha sempre segnalato allerta gialla. L’indagine avviata dalla Procura di Taranto, sta però verificando se tutti i bollettini meteo indicassero la stessa allerta e se quindi il violentissimo nubifragio abbattutosi nella prima serata di mercoledì su Taranto con folate di vento che hanno raggiunto i 120 kmh, non sia stato effettivamente previsto nemmeno dalle autorità preposte.
Detto ciò, i lavoratori che operano sulle gru del IV sporgente del porto di Taranto, hanno delle istruzioni ben precise in caso di condizioni meteo avverse. Chi opera sulle due gru chiamate ‘DM 5’ e ‘DM6’, qualora l’anemometro segnali raffiche di vento dai 60 kmh in su, ha l’obbligo di lasciare la cabina, andare a passerella, attivare il freno meccanico alla cabina, far scattare il blocco emergenza e scendere. Per la ‘DM8’ invece, la stessa operazione va fatta se l’anemometro segnala vento dai 72 kmh in poi.
Punto due: i problemi strutturali della cabina e del braccio della gru ‘DM5’
seconda domanda: perché il lavoratore Cosimo Massaro che operava sulla gru ‘DM5’ (la stessa sulla quale lavorava Francesco Zaccaria il 28 novembre 2012) non è riuscito a tornare indietro con la stessa velocità degli altri due colleghi che erano sulle gru ‘DM6’ e ‘DM8’, salvandosi anch’egli la vita?
Il motivo (che lì al IV sporgente conoscono tutti) anche qui è, ahinoi, presto detto.
La cabina della gru ‘DM5’, sin dal suo ‘ripristino’ nel 2014, è stata sempre più lenta nei movimenti rispetto alle altre. E non di poco. Per fare le stesse operazioni delle altre due gru, in pratica ci metteva il doppio del tempo. Questo perché, secondo tutte le fonti da noi consultate, dopo la tragedia del 2012 alla gru ‘DM5’ fu sostituita soltanto la cabina (che si staccò dalla struttura trascinando così in mare il giovane Zaccaria), senza che venissero attuati nel corso del tempo altri lavori di manutenzione. La problematica della poca velocità della cabina, pare sia stata sempre segnalata dai lavoratori all’azienda (capi turno, capi reparto e capi area) ed ai sindacati attraverso varie denunce (la maggior parte delle quali se non tutte verbali), ma la risposta aziendale sarebbe sempre stata quella di non essere in grado di risolvere quella problematica.
Essendo più lenta delle altre, spesso negli ultimi 5 anni, la cabina della gru ‘DM 5’ in situazioni di vento forte si ancorava al binario di scorrimento bloccandosi ed impedendo al lavoratore di tornare indietro. Tecnicamente quindi, la cabina aveva un problema di traslazione.
Secondo la ricostruzione delle nostre fonti, è esattamente quello che è accaduto anche mercoledì sera. La cabina all’interno della quale si trovava il lavoratore Massaro si sarebbe bloccata mentre scorreva all’indietro. Dunque, l’anomalia di cui si parla in queste ore, non è dovuta solo e soltanto ai venti che andavano ad una velocità doppia del previsto, ma soprattutto ad un problema conosciuto e mai risolto da anni.
Come non bastasse, sempre dalle informazioni da noi raccolte, la ‘DM5’ pare avesse anche un altro problema: ovvero l’impossiblità di movimentare il braccio, che per una gru portuale è fondamentale nella fasi di ormeggio e disormeggio, in quanto deve essere tutto sollevato verso l’alto e con le emergenze previste inserite. Anche questo elemento era a conoscenza di lavoratori, sindacati e azienda. Ma a quanto pare anche in questo caso nulla sarebbe stato fatto.
Punto tre: cosa è accaduto nei momenti concitati della serata di mercoledì 10 luglio
Quando il tempo è iniziato a peggiorare, è partito l’ordine ai tre gruisti di scendere dalle rispettive gru. I due lavoratori della ‘DM6’ e della ‘DM8’ sono riusciti a scendere appena in tempo. La cabina della ‘DM5’ dove si trovava Massaro si sarebbe bloccata a metà strada senza più ripartire. A quel punto il 40enne sarebbe stato preso dal panico, soprattutto perché non voleva scendere dalla gru visto il vento sempre più intenso, con il rischio di essere trascinato via.
Allora, ripensando a quando accaduto all’amico e collega Zaccaria, secondo le testimonianze in nostro possesso, avrebbe deciso di lasciare la cabina e rifugiarsi nella sala motori (detta sala argani) della gru: il ragionamento aveva una sua logica. Visto che nel 2012 il tornado aveva sradicato dalla gru la cabina trascinandola in mare insieme al collega, trovare riparo nella sala motori della gru, lo avrebbe salvato. Ma quando è arrivata la folata di vento a 120 kmh, la struttura della gru ha ceduto spezzandosi, precipitando in mare e inabissandosi nello specchio di mare adiacente la banchina, portando con se Massaro e la sua speranza di salvarsi: a restare sui binari sono rimaste solo le carrelliere.
Ecco perché, quasi certamente, i soccorritori attualmente ancora al lavoro per provare ad avvicinarsi alla cabina individuata a 20 metri di profondità, al suo interno non troveranno il corpo senza vita di Massaro. Bisognerà, forse, cercarlo nella sala motori: nella speranza che il vento e il mare non l’abbiano trascinato via ancora più in profondità. E che i motori da un lato e la natura dall’altro, abbiano avuto pietà del suo corpo.
Punto quattro: il vero stato di manutenzione delle gru. E la realtà in cui operano i lavoratori e l’azienda.
La terza domanda, forse la più crudele e raggelante, è quale sia l’attuale stato di manutenzione delle gru del IV sporgente. Detto dei problemi della ‘DM5‘ (dalla quale nell’agosto del 2017 cadde una puleggia di enormi dimensioni che solo per puro caso non causò altre vittime), la ‘DM1’ attualmente resta l’unica a poter operare. La ‘DM2’ è da tempo in fase di demolizione (dopo che nel settembre del 2017 sotto sollecitazione dei lavoratori prima e dei sindacati poi, ne si decise la fermata viste le numerose anomalie tecniche e strutturali), mentre la ‘DM3’ è stata demolita tempo addietro.
La ‘DM7’ invece, collassò su stessa portando con sè altri due lavoratori (per fortuna senza gravi conseguenze) la sera dell’11 dicembre 2014. Per terminare le operazioni di recupero dell’intera struttura (se ne occupò la società Micoperi) ci vollero quasi 2 anni.
Senza dimenticare il blackout elettrico che si verificò sempre nel dicembre del 2014, per un guasto alla cabina elettrica che alimenta il secondo e il terzo sporgente del porto di Taranto in concessione all’Ilva. A causa di quel guasto, per due pomeriggi di seguito i lavoratori, recuperati dai Vigili del fuoco in entrambe le occasioni, erano rimasti bloccati sulle gru a 60 metri di altezza per quasi due ore. A seguito di quell’incidente fu deciso di far installare sui mezzi batterie di riserva che entrano in funzione in caso di black out.
Nel maggio 2017 invece, ARPA Puglia dispose il fermo della gru C.M. 14/Bis nel molo Ovest. Le RLS e RSU di USB avevano denunciato che la gru, che scorre su binari ed è dotata di fine corsa anticollisione a microonde verso altre gru scorrenti sulle stesse vie di corsa, durante la sua messa in funzione, evidenziava delle forti vibrazioni della cabina. Durante il sopralluogo i tecnici, dopo aver effettuato una serie di prove, confermarono quanto denunciato, evidenziando anche delle sfasature di calibrazione della corona e del pignone, segno di un cattivo stato di conservazione ed efficienza.
Poco più di un anno fa invece, nel maggio 2018, sempre sullo stesso sporgente si verificò un altro incidente mortale. A perdere la vita in quella circostanza fu Angelo Fuggiano, dipendente di una ditta dell’appalto. Insieme ad alcuni colleghi stava sostituendo la fune alla gru ‘DM6’ ferma per manutenzione, quando la carrucola che stava utilizzando si è staccò dall’alloggiamento, colpendo con violenza il 28enne alla spalla. Vani i soccorsi, seppure immediati: l’operaio morì poco dopo.
Senza dimenticare, ovviamente, il duplice infortunio mortale che si verificò all’Ilva il 12 giugno del 2003. Nell’incidente morirono Paolo Franco e Pasquale D’Ettorre, due giovani operai originari rispettivamente di San Marzano e Fragagnano. Gli operai furono travolti e uccisi da una delle gru, con il ferimento di altri 12 lavoratori. Inoltre, il braccio staccatosi dalla gru finì la sua folle corsa contro un minibus per il trasporto operai, fortunatamente vuoto in quel momento. Secondo quanto stabilì la perizia disposta dalla pubblica accusa, il crollo della gru fu determinato dall’impiego di un contrappeso provvisorio di valore eccessivo. In sostanza, non sarebbe stato fatto un calcolo esatto dell’effettiva resistenza della struttura in caso di carico aggiuntivo. Il processo si concluse con una serie di condanne nel 2010.
I problemi strutturali delle gru
Il primo problema è perchè una gru che a detta dell’azienda è dotata di appositi strumenti di emergenza detti ‘anti uragano‘, non avrebbe dovuto spezzarsi anche a fronte di un’improvvisa folata di vento a 120 kmh. Se ciò è avvenuto è evidente che la strumentazione di emergenza tale non è. Allo stesso modo, se la cabina della ‘DM5’ si è fermata a metà strada, i dispositivi di sicurezza tali non erano.
Il secondo problema è quanto accaduto alle altre due gru, la ‘DM6’ e la ‘DM8’, che ad un certo punto hanno iniziato a muoversi, andandosi a schiantare con le carrelliere della ‘DM5’ (ovvero la base che poggia sul cemento della banchina), cosa che di fatto ha permesso alle due gru di fermarsi e non di non precipitare in mare anch’esse: altrimenti a quest’ora probabilmente avremmo avuto non uno ma ben tre morti sul lavoro.
Com’è stato possibile ciò? Secondo le fonti da noi consultate, i binari delle gru pare siano difformi rispetto allo standard richiesto: in pratica non sarebbero lineari. Il che sarebbe gravissimo. Oltre a venir meno anche per queste due gru dei sistemi di sicurezza e ‘anti uragano’.
Inoltre, sempre le nostre fonti assicurano che non sono mai state fatte negli anni prove di evacuazione per simulare situazioni di emergenza. Nè sono state mai realizzate prove per verificare la reale sicurezza delle gru e delle strumentazioni ‘anti uragano’.
Punto cinque: perché si continua a lavorare in quell’area come se tutto fosse normale?
Tutto questo ci porta alla quarta e forse più importante domanda: com’è possibile che da anni si continui a lavorare in un’area che con tutte queste problematicità evidenzia la sua totale mancanza di sicurezza per i lavoratori? La risposta che ci è stata fornita da lavoratori e fonti sindacali è la seguente: in realtà quelle gru, ‘in piedi’ da 60 anni, hanno finito il loro ciclo di vita. Ciò che le mantiene in funzione, e quindi operanti ancora oggi, sarebbero certificazioni continue che l’azienda otterrebbe dopo verifiche alle strutture di alcune ditte incaricate di tale compito. E che garantirebbero la sicurezza delle gru. Nonostante tutti i problemi su citati e riscontrati negli anni dai lavoratori.
Perchè allora, se tutto ciò è vero, si continua a lavorare non in sicurezza? Perchè i quasi 50 gruisti del reparto IMA 1 del IV sporgente accettano di salire su quelle gru? Le risposte forniteci sono tante. C’è chi, non a torto, si fida dell’azienda e crede alle certificazioni di sicurezza. C’è chi sceglie di salire perchè stante la situazione delicata, ha più facilità nell’ottenere permessi e ferie; c’è chi nonostante le denunce è stato di fatto isolato e messo a tacere, a fronte del rischio di un licenziamento per abbandono del posto di lavoro (qualora un gruista si rifiutasse categoricamente si salire) o il trasferimento nei reparti più difficili dell’ex Ilva, quelli che costituiscono il così detto ‘cuore nero’ del siderurgico: il reparto cokeria, l’area altiforni, l’area acciaieria e il parco minerali. E c’è chi invece negli anni ha scelto, soprattutto dopo la tragedia del 2012, di farsi spostare lo stesso in altri reparti dell’azienda: e visto quanto accaduto mercoledì e lo scorso anno, non ha avuto tutti i torti.
Le tante verità sulle gru del IV sporgente: punto uno, i bollettini meteo e l’accordo tra lavoratori, sindacati e azienda
La prima domanda a cui bisogna rispondere e che in molti si stanno ponendo negli ultimi giorni, è perché i tre lavoratori delle gru denominate ‘DM6’, ‘DM8’ e ‘DM5’ del reparto IMA1 del IV sporgente del porto di Taranto, nella serata di mercoledì erano ad oltre 60 metri di altezza a lavorare, prelevando il minerale da una nave, nonostante le condizioni meteo fossero andate peggiorando sempre più velocemente nel corso del pomeriggio.
Il perchè è presto detto. Dopo il tragico evento del 28 novembre 2012, quando un tornado colpì la
zona industriale di Taranto e il comune di Statte, causando la morte del gruista Francesco Zaccaria la cui cabina fu spazzata via, lavoratori, sindacati e azienda addivenirono ad un accordo che prevede di assumere decisioni sul far salire o meno i lavoratori sulle gru, a seconda dei bollettini meteo emessi dalla Protezione Ciivile. Qualora l’allerta annunci vento di burrasca con colore giallo, i lavoratori possono salire sulle gru e lavorare. Se invece il bollettino prevede vento ‘forte’ di burrasca (con colorazione che procede dall’arancione al rosso), i lavoratori restano a terra per svolgere attività di retrobanchina. Prima di quest’accordo, in caso di condizioni meteo avverse spesso e volentieri venivano semplicemente mandati a casa per ‘ferie’.
Secondo i due bollettini meteo di mercoledì 10 luglio da noi consultati (oltre che da altri lavoratori e sindacati) l’allerta meteo della Protezione Civile ha sempre segnalato allerta gialla. L’indagine avviata dalla Procura di Taranto, sta però verificando se tutti i bollettini meteo indicassero la stessa allerta e se quindi il violentissimo nubifragio abbattutosi nella prima serata di mercoledì su Taranto con folate di vento che hanno raggiunto i 120 kmh, non sia stato effettivamente previsto nemmeno dalle autorità preposte.
Detto ciò, i lavoratori che operano sulle gru del IV sporgente del porto di Taranto, hanno delle istruzioni ben precise in caso di condizioni meteo avverse. Chi opera sulle due gru chiamate ‘DM 5’ e ‘DM6’, qualora l’anemometro segnali raffiche di vento dai 60 kmh in su, ha l’obbligo di lasciare la cabina, andare a passerella, attivare il freno meccanico alla cabina, far scattare il blocco emergenza e scendere. Per la ‘DM8’ invece, la stessa operazione va fatta se l’anemometro segnala vento dai 72 kmh in poi.
Punto due: i problemi strutturali della cabina e del braccio della gru ‘DM5’
seconda domanda: perché il lavoratore Cosimo Massaro che operava sulla gru ‘DM5’ (la stessa sulla quale lavorava Francesco Zaccaria il 28 novembre 2012) non è riuscito a tornare indietro con la stessa velocità degli altri due colleghi che erano sulle gru ‘DM6’ e ‘DM8’, salvandosi anch’egli la vita?
Il motivo (che lì al IV sporgente conoscono tutti) anche qui è, ahinoi, presto detto.
La cabina della gru ‘DM5’, sin dal suo ‘ripristino’ nel 2014, è stata sempre più lenta nei movimenti rispetto alle altre. E non di poco. Per fare le stesse operazioni delle altre due gru, in pratica ci metteva il doppio del tempo. Questo perché, secondo tutte le fonti da noi consultate, dopo la tragedia del 2012 alla gru ‘DM5’ fu sostituita soltanto la cabina (che si staccò dalla struttura trascinando così in mare il giovane Zaccaria), senza che venissero attuati nel corso del tempo altri lavori di manutenzione. La problematica della poca velocità della cabina, pare sia stata sempre segnalata dai lavoratori all’azienda (capi turno, capi reparto e capi area) ed ai sindacati attraverso varie denunce (la maggior parte delle quali se non tutte verbali), ma la risposta aziendale sarebbe sempre stata quella di non essere in grado di risolvere quella problematica.
Essendo più lenta delle altre, spesso negli ultimi 5 anni, la cabina della gru ‘DM 5’ in situazioni di vento forte si ancorava al binario di scorrimento bloccandosi ed impedendo al lavoratore di tornare indietro. Tecnicamente quindi, la cabina aveva un problema di traslazione.
Secondo la ricostruzione delle nostre fonti, è esattamente quello che è accaduto anche mercoledì sera. La cabina all’interno della quale si trovava il lavoratore Massaro si sarebbe bloccata mentre scorreva all’indietro. Dunque, l’anomalia di cui si parla in queste ore, non è dovuta solo e soltanto ai venti che andavano ad una velocità doppia del previsto, ma soprattutto ad un problema conosciuto e mai risolto da anni.
Come non bastasse, sempre dalle informazioni da noi raccolte, la ‘DM5’ pare avesse anche un altro problema: ovvero l’impossiblità di movimentare il braccio, che per una gru portuale è fondamentale nella fasi di ormeggio e disormeggio, in quanto deve essere tutto sollevato verso l’alto e con le emergenze previste inserite. Anche questo elemento era a conoscenza di lavoratori, sindacati e azienda. Ma a quanto pare anche in questo caso nulla sarebbe stato fatto.
Punto tre: cosa è accaduto nei momenti concitati della serata di mercoledì 10 luglio
Quando il tempo è iniziato a peggiorare, è partito l’ordine ai tre gruisti di scendere dalle rispettive gru. I due lavoratori della ‘DM6’ e della ‘DM8’ sono riusciti a scendere appena in tempo. La cabina della ‘DM5’ dove si trovava Massaro si sarebbe bloccata a metà strada senza più ripartire. A quel punto il 40enne sarebbe stato preso dal panico, soprattutto perché non voleva scendere dalla gru visto il vento sempre più intenso, con il rischio di essere trascinato via.
Allora, ripensando a quando accaduto all’amico e collega Zaccaria, secondo le testimonianze in nostro possesso, avrebbe deciso di lasciare la cabina e rifugiarsi nella sala motori (detta sala argani) della gru: il ragionamento aveva una sua logica. Visto che nel 2012 il tornado aveva sradicato dalla gru la cabina trascinandola in mare insieme al collega, trovare riparo nella sala motori della gru, lo avrebbe salvato. Ma quando è arrivata la folata di vento a 120 kmh, la struttura della gru ha ceduto spezzandosi, precipitando in mare e inabissandosi nello specchio di mare adiacente la banchina, portando con se Massaro e la sua speranza di salvarsi: a restare sui binari sono rimaste solo le carrelliere.
Ecco perché, quasi certamente, i soccorritori attualmente ancora al lavoro per provare ad avvicinarsi alla cabina individuata a 20 metri di profondità, al suo interno non troveranno il corpo senza vita di Massaro. Bisognerà, forse, cercarlo nella sala motori: nella speranza che il vento e il mare non l’abbiano trascinato via ancora più in profondità. E che i motori da un lato e la natura dall’altro, abbiano avuto pietà del suo corpo.
Punto quattro: il vero stato di manutenzione delle gru. E la realtà in cui operano i lavoratori e l’azienda.
La terza domanda, forse la più crudele e raggelante, è quale sia l’attuale stato di manutenzione delle gru del IV sporgente. Detto dei problemi della ‘DM5‘ (dalla quale nell’agosto del 2017 cadde una puleggia di enormi dimensioni che solo per puro caso non causò altre vittime), la ‘DM1’ attualmente resta l’unica a poter operare. La ‘DM2’ è da tempo in fase di demolizione (dopo che nel settembre del 2017 sotto sollecitazione dei lavoratori prima e dei sindacati poi, ne si decise la fermata viste le numerose anomalie tecniche e strutturali), mentre la ‘DM3’ è stata demolita tempo addietro.
La ‘DM7’ invece, collassò su stessa portando con sè altri due lavoratori (per fortuna senza gravi conseguenze) la sera dell’11 dicembre 2014. Per terminare le operazioni di recupero dell’intera struttura (se ne occupò la società Micoperi) ci vollero quasi 2 anni.
Senza dimenticare il blackout elettrico che si verificò sempre nel dicembre del 2014, per un guasto alla cabina elettrica che alimenta il secondo e il terzo sporgente del porto di Taranto in concessione all’Ilva. A causa di quel guasto, per due pomeriggi di seguito i lavoratori, recuperati dai Vigili del fuoco in entrambe le occasioni, erano rimasti bloccati sulle gru a 60 metri di altezza per quasi due ore. A seguito di quell’incidente fu deciso di far installare sui mezzi batterie di riserva che entrano in funzione in caso di black out.
Nel maggio 2017 invece, ARPA Puglia dispose il fermo della gru C.M. 14/Bis nel molo Ovest. Le RLS e RSU di USB avevano denunciato che la gru, che scorre su binari ed è dotata di fine corsa anticollisione a microonde verso altre gru scorrenti sulle stesse vie di corsa, durante la sua messa in funzione, evidenziava delle forti vibrazioni della cabina. Durante il sopralluogo i tecnici, dopo aver effettuato una serie di prove, confermarono quanto denunciato, evidenziando anche delle sfasature di calibrazione della corona e del pignone, segno di un cattivo stato di conservazione ed efficienza.
Poco più di un anno fa invece, nel maggio 2018, sempre sullo stesso sporgente si verificò un altro incidente mortale. A perdere la vita in quella circostanza fu Angelo Fuggiano, dipendente di una ditta dell’appalto. Insieme ad alcuni colleghi stava sostituendo la fune alla gru ‘DM6’ ferma per manutenzione, quando la carrucola che stava utilizzando si è staccò dall’alloggiamento, colpendo con violenza il 28enne alla spalla. Vani i soccorsi, seppure immediati: l’operaio morì poco dopo.
Senza dimenticare, ovviamente, il duplice infortunio mortale che si verificò all’Ilva il 12 giugno del 2003. Nell’incidente morirono Paolo Franco e Pasquale D’Ettorre, due giovani operai originari rispettivamente di San Marzano e Fragagnano. Gli operai furono travolti e uccisi da una delle gru, con il ferimento di altri 12 lavoratori. Inoltre, il braccio staccatosi dalla gru finì la sua folle corsa contro un minibus per il trasporto operai, fortunatamente vuoto in quel momento. Secondo quanto stabilì la perizia disposta dalla pubblica accusa, il crollo della gru fu determinato dall’impiego di un contrappeso provvisorio di valore eccessivo. In sostanza, non sarebbe stato fatto un calcolo esatto dell’effettiva resistenza della struttura in caso di carico aggiuntivo. Il processo si concluse con una serie di condanne nel 2010.
I problemi strutturali delle gru
Il primo problema è perchè una gru che a detta dell’azienda è dotata di appositi strumenti di emergenza detti ‘anti uragano‘, non avrebbe dovuto spezzarsi anche a fronte di un’improvvisa folata di vento a 120 kmh. Se ciò è avvenuto è evidente che la strumentazione di emergenza tale non è. Allo stesso modo, se la cabina della ‘DM5’ si è fermata a metà strada, i dispositivi di sicurezza tali non erano.
Il secondo problema è quanto accaduto alle altre due gru, la ‘DM6’ e la ‘DM8’, che ad un certo punto hanno iniziato a muoversi, andandosi a schiantare con le carrelliere della ‘DM5’ (ovvero la base che poggia sul cemento della banchina), cosa che di fatto ha permesso alle due gru di fermarsi e non di non precipitare in mare anch’esse: altrimenti a quest’ora probabilmente avremmo avuto non uno ma ben tre morti sul lavoro.
Com’è stato possibile ciò? Secondo le fonti da noi consultate, i binari delle gru pare siano difformi rispetto allo standard richiesto: in pratica non sarebbero lineari. Il che sarebbe gravissimo. Oltre a venir meno anche per queste due gru dei sistemi di sicurezza e ‘anti uragano’.
Inoltre, sempre le nostre fonti assicurano che non sono mai state fatte negli anni prove di evacuazione per simulare situazioni di emergenza. Nè sono state mai realizzate prove per verificare la reale sicurezza delle gru e delle strumentazioni ‘anti uragano’.
Punto cinque: perché si continua a lavorare in quell’area come se tutto fosse normale?
Tutto questo ci porta alla quarta e forse più importante domanda: com’è possibile che da anni si continui a lavorare in un’area che con tutte queste problematicità evidenzia la sua totale mancanza di sicurezza per i lavoratori? La risposta che ci è stata fornita da lavoratori e fonti sindacali è la seguente: in realtà quelle gru, ‘in piedi’ da 60 anni, hanno finito il loro ciclo di vita. Ciò che le mantiene in funzione, e quindi operanti ancora oggi, sarebbero certificazioni continue che l’azienda otterrebbe dopo verifiche alle strutture di alcune ditte incaricate di tale compito. E che garantirebbero la sicurezza delle gru. Nonostante tutti i problemi su citati e riscontrati negli anni dai lavoratori.
Perchè allora, se tutto ciò è vero, si continua a lavorare non in sicurezza? Perchè i quasi 50 gruisti del reparto IMA 1 del IV sporgente accettano di salire su quelle gru? Le risposte forniteci sono tante. C’è chi, non a torto, si fida dell’azienda e crede alle certificazioni di sicurezza. C’è chi sceglie di salire perchè stante la situazione delicata, ha più facilità nell’ottenere permessi e ferie; c’è chi nonostante le denunce è stato di fatto isolato e messo a tacere, a fronte del rischio di un licenziamento per abbandono del posto di lavoro (qualora un gruista si rifiutasse categoricamente si salire) o il trasferimento nei reparti più difficili dell’ex Ilva, quelli che costituiscono il così detto ‘cuore nero’ del siderurgico: il reparto cokeria, l’area altiforni, l’area acciaieria e il parco minerali. E c’è chi invece negli anni ha scelto, soprattutto dopo la tragedia del 2012, di farsi spostare lo stesso in altri reparti dell’azienda: e visto quanto accaduto mercoledì e lo scorso anno, non ha avuto tutti i torti.
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