Impianto ritenuto pericoloso perché non attuate tutte le prescrizioni previste. Nei piani di Mittal chiuderà dopo revamping Afo5.
Il gup Pompeo Carriere che due giorni fa ha rigettato la richiesta di dissequestro provvisorio dell’impianto Altoforno 2 dell’ex Ilva di Taranto, oggi ArcelorMittal Italia, disposto nel 2015 dopo l’incidente che costò la vita all’operaio Alessandro Morricella. Nel corso dell’udienza preliminare del processo sulla morte dell’operaio, i periti del giudice avrebbero accertato il mancato adempimento delle prescrizioni per mettere l’Afo 2 in sicurezza. Da qui il rigetto del dissequestro e quindi l’obbligo dello spegnimento. “Alcune delle prescrizioni a suo tempo imposte – si legge infatti nel decreto della pm Antonella De Luca, fatto notificare in giornata ai nuovi proprietari dell’Ilva – risultano attuate o non attuate soltanto in parte“. Il pm Antonella De Luca ha affidato al custode giudiziario, Barbara Valenzano, la definizione del cronoprogramma per lo spegnimento dell’Afo 2.

In seguito al rigetto del gup, è pertanto tornato in vita l’originario sequestro preventivo: da qui la comunicazione odriena della Procura ad ArcelorMittal di dare avvio delle operazioni di spegnimento.
... A quanto si è appreso, tanto la gestione commissariale quanto la stessa ArcelorMittal stanno preparando la richiesta di sospensiva del provvedimento della Procura per dare il via immediato ai 
lavori di messa in sicurezza dell’altoforno.
Ma soprattutto il vicepremieri Di Maio ha dichiarato di essere in contatto con la Procura di Taranto alla quale avrebbe chiesto la sospensione del provvedimento di spegnimento.
Ricordiamo che durante la conferenza stampa dello scorso 7 novembre, Matthieu Jehl, vicepresidente di ArcelorMittal e Ceo di Am InvestCo Italy, a precisa domanda dei gironalisti, dichiarò che l’altoforno 2 sarà definitivamente chiuso dopo il revamping dell’Altoforno 5, il più grande d’Europa.

Una ricostruzione della storia sul giornale Corriere di Taranto a cura di Gianmario Leone

L’incontro in Procura del marzo 2018
Il marzo dello scorso anno pm della Procura di Taranto che indagano sui reati ambientali e sul lavoro, tennero due vertici con il procuratore capo della Repubblica di Taranto, Carlo Maria Capistro e i commissari Ilva, ai quali furono spiegate le novità emerse dal pronunciamento della Corte di Cassazione sul decreto del 2015, bocciato dalla Consulta perché non garantiva il bilanciamento tra i vari diritti del rispetto della salute, dell’ambiente e delle norme a tutela dei lavoratori nei luoghi di lavoro, ma tutelava solo il diritto d’impresa. Pertanto il procuratore capo ribadì sia ai pm, e poi ai commissari, che il pronunciamento della Corte costituzionale contro il decreto «Salva Ilva» del 2015 era un passo importante nel bilanciamento dei valori costituzionali che la legge deve tutelare, ma nello stesso tempo non doveva diventare un nuovo scontro tra la magistratura e l’Ilva in Amministrazione Straordinaria.
Inoltre, fu anche spiegato nei due incontri che la produzione poteva continuare perché il dissequestro di Afo 2 non avvenne a seguito del decreto oggi dichiarato incostituzionale, ma grazie ad un accordo finalizzato all’adempimento di prescrizioni per la messa in sicurezza. Prescrizioni su cui il comitato tecnico regionale e i Vigili del Fuoco e Barbara Valenzano, custode  giudiziario degli impianti dell’area a caldo del siderurgico, dettero il loro ok.
Il disservizio dello scorso novembre
Il disservizio impiantistico all’Altoforno 2 di martedì 13 novembre 2081, portò la Fiom Cgil di Taranto ha chiesto all’azienda un incontro urgente, per discutere dei profili di sicurezza dei lavoratori ed ai piani di emergenza eventualmente attivati. Il sindacato dei metalmeccanici della Cgil inoltre, stigmatizzava come a fronte di un evento di assoluta rilevanza, non sia avvenuta da parte dell’azienda nessuna comunicazione alle Rappresentanze dei lavoratori e che addirittura alcune informazioni generiche siano state apprese dalla nota stampa diffusa poco dopo l’evento da ArcelorMittali Italia. Per motivi di sicurezza le valvole bleeder furono aperte da cui uscì un denso fumo nero accompagnato da un boato iniziale.
La vicenda giudiziaria
A distanza di quattro anni, lo scorso maggio il gup del tribunale di Taranto Pompeo Carriere ha rinviato a giudizio 7 imputati (sei persone fisiche e l’Ilva in amministrazione straordinaria per quanto attiene la responsabilità amministrativa) nell’ambito dell’inchiesta sulla morte di Alessandro Morricella, l’operaio 35enne dell’ex Ilva di Taranto deceduto il 12 giugno del 2015, quattro giorni dopo essere stato travolto da fiamme e ghisa incandescente mentre misurava la temperatura di colata dell’altoforno 2 dello stabilimento di Taranto. Rispondono dell’ipotesi di cooperazione in omicidio colposo l’ex direttore generale Massimo Rosini, l’ex direttore dello stabilimento Ruggero Cola, il direttore dell’area ghisa Vito Vitale, il capo area Salvatore Rizzo, il capo turno Saverio Campidoglio e il tecnico del campo di colata Domenico Catucci. La prima udienza è fissata per l’1 ottobre prossimo. Inizialmente il pm Antonella De Luca aveva iscritto nel registro degli indagati dieci persone. L’altoforno 2 fu sottoposto a sequestro, ma poi il governo intervenne con un decreto per sospendere gli effetti del provvedimento. Alcuni imputati rispondono anche di violazione delle misure in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro.