Ripercorriamo ancora una volta le tappe della vicenda dell'immunità penale, che non potrà che avere un finale che è già stato scritto...
La questione sulla così detta ‘immunità penale‘ per i gestori e/o proprietari dell’ex Ilva, è stata l’ultima tragica commedia alla quale abbiamo dovuto assistere sulle tante vicende che da almeno sette anni a questa parte riguardano il siderurgico tarantino. E quello che sta venendo fuori altro non è che la classica scoperta dell’acqua calda: ovvero che il Governo, nella persona del vicepremier Di Maio, e i vertici della multinazionale ArcelorMittal, sono da tempo in trattative per dipanare l’ennesima matassa, questa volta puramente legal-legislativa (passateci il termine) e, se si vuole, lessicalmente ingarbugliata.
(leggi l’articolo https://www.corriereditaranto.it/2019/06/25/ex-ilva-limmunita-resta-decadra-nel-tempo/)
Piccola premessa
Quello che partoriranno gli incontri ufficiali e ‘segreti’ tra le due parti, altro non sarà che un
piccolo topolino: ovvero una modifica alla norma recentemente approvata dal governo nel Decreto Crescita all’articolo 46. E cioè che la così detta ‘immunità penale’ decadrà nel tempo, essendo stata legata alla scadenza temporale di ogni singolo intervento presente nel Piano Ambientale (esattamente come previsto dalla nuova norma). Quello che sarà inserito, non è ancora chiaro se in un prossimo decreto legge o addirittura in un intervento apposito su Ilva, è la certezza penale per ArcelorMittal di non incorrere in interventi da parte della magistratura sui prodotti da altri nel passato.
Che detta così, significa tutto e niente. Visto che la legge non è mai retroattiva.
La vicenda è arcinota: la multinazionale dell’acciao ha in affitto (con obbligo di acquisto dopo due anni) gli impianti del sito tarantino, tra cui quelli dell’area a caldo ancora sottoposti a sequestro giudiziario con facoltà d’uso perché non a norma di legge. Questo in soldoni significa che, qualora non venga riconosciuto legalmente e penalmente che ArcelorMittal non abbia alcuna responsabilità per eventuali problematiche legate al risanamento ambientale di quegli impianti, il rischio di ritrovarsi i Carabinieri del NOE e il pool ambientale della Procura di Taranto ai cancelli del siderurgico dall’oggi al domani è pressochè certo, se non altamente probabile.
Del resto, tutti gli attori in campo sanno perfettamente che non c’è altra via d’uscita. Negli incontri avvenuti durante tutto lo scorso anno sino all’accordo sindacale del 6 settembre 2018, i vertici della multinazionale hanno sempre indicato come prerogativa assoluta per l’acquisto del gruppo Ilva che quella norma non venisse in alcun modo modificata. E all’epoca nessuno si azzardò a contestare ciò inscenando questioni morali ed etiche di ogni tipo. Perchè quella era la chiave di volta di tutta l’operazione. Bisognava opporsi all’epoca, non oggi.
(leggi il nostro articolo https://www.corriereditaranto.it/2019/05/02/mittal-immunita-penale-resta-cambia-lapplicazione3/)
Ricapitoliamo ancora una volta come stanno esattamente le cose
Il decreto legge del 30 aprile 2019 (n. 34 Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi“, più conosciuto come ‘Decreto Crescita‘, approvato venerdì scorso dalla Camera dopo che il Governo ha posto la fiducia, non ha visto tra le modifiche agli articoli una revisione del famoso art. 46. Riguardante una norma sull’ex Ilva, per ‘abolire’ la così detta ‘immunità penale’. Dunque, il testo non ha subito alcuna modifica rispetto a come è stato presentato e approvato dal Consiglio dei Ministri e pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 2 maggio (Serie Generale n.100 del 30-04-2019).
Lo ripetiamo ancora una volta dopo averlo scritto per primi lo scorso 2 maggio: la norma è stata riscritta, non abolita.
Dunque, ricapitoliamo ancora una volta la vicenda sperando che sia chiara una volta e per tutte.
Ricordiamo che la norma in questione fu introdotta anni addietro, con il decreto legge del 5 gennaio 2015, n. 1 “Disposizioni urgenti per l’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della citta’ e dell’area di Taranto” (pubblicato GU Serie Generale n.3 del 05-01-2015), convertito con modificazioni dalla Legge del 4 marzo 2015, n. 20 (in G.U. 05/03/2015, n. 53).
La norma fu inserita nel comma 6 dell’articolo 2 di quel decreto legge e testè affermava: “L’osservanza delle disposizioni contenute nel Piano Ambientale di cui al D.P.C.M. 14 marzo 2014, nei termini previsti dai commi 4 e 5 del presente articolo, equivale all’adozione ed efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione, previsti dall’articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, ai fini della valutazione delle condotte strettamente connesse all’attuazione dell’A.I.A. e delle altre norme a tutela dell’ambiente, della salute e dell’incolumita’ pubblica. Le condotte poste in essere in attuazione del Piano di cui al periodo precedente non possono dare luogo a responsabilita’ penale o amministrativa del commissario straordinario e dei soggetti da questo funzionalmente delegati, in quanto costituiscono adempimento delle migliori regole preventive in materia ambientale, di tutela della salute e dell’incolumita’ pubblica e di sicurezza sul lavoro“.
Cosa dunque è cambiato rispetto a quella norma? Le modifiche introdotte dall’articolo 46 del Decreto Crescita sono le seguenti:
a) al primo periodo, dopo la parola «Piano» e’ inserita la parola «Ambientale», le parole «nei termini previsti dai commi 4 e 5 del presente articolo» sono sostituite dalle parole «come modificato e integrato con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 settembre 2017» e le parole «e delle altre norme a tutela dell’ambiente,della salute e dell’incolumita’ pubblica» sono abrogate;
b) al secondo periodo, dopo la parola «Piano» e’ inserita la parola: «Ambientale», dopo le parole «periodo precedente» sono inserite le parole: «,nel rispetto dei termini e delle modalita’ ivi stabiliti,» e le parole«, di tutela della salute e dell’incolumita’ pubblica e di sicurezza sul lavoro» sono abrogate;
c) il terzo periodo e’ sostituito dal seguente: «La disciplina di cui al periodo precedente si applica con riferimento alle condotte poste in essere fino al 6 settembre 2019».
Di fatto dunque, la norma resta, seppur modificata. Come avevamo avuto modo di anticipare lo scorso maggio infatti, la norma viene circoscritta al Piano Ambientale e per questo sarà applicata impianto per impianto, ancorandosi ai tempi previsti dall’Aia per la messa a norma delle singole aree. Questo significa che mentre prima l’estensione riguardava l’attuazione del Piano Ambientale sino alla sua conclusione, adesso l’immunità scadrà ogni qual volta terminerà il termine previsto per l’attuazione di ogni singolo intervento.
Il nuovo iter parità dal 7 settembre, come specificato nel decreto. Questo è il motivo per il quale il vicepremier Di Maio afferma che scadrà il 6 settembre. Ma a cadere non sarà l’intera norma, ma soltanto quella del 2015.
Adesso si vuole inserire in questo discorso la tutela legale per l’azienda di fronte a responsabilità riconducibili a condotte delle precedenti gestioni, ma non fornisce anche uno “scudo” per le condotte future.
(leggi il nostro articolo https://www.corriereditaranto.it/2019/04/24/22ilva-limmunita-penale-resta-tale-e-quale-per-ora/)
L’incostituzionalià che ancora non c’è
Vogliamo ancora una volta ricordare e richiamare il parere dell’Avvocatura di Stato, chiamata in causa proprio dal vicepremier Di Maio in qualità di ministro dello Sviluppo economico la scorsa estate (prima di firmare l’accordo sindacale del 6 settembre), che si espresse anche sulla norma in questione.
Nella sua risposta al MiSE, l’Avvocatura ricordava che “tale disposizione, contenente una esenzione da responsabilità penale, è stata introdotta mediante decretazione d’urgenza e non è stata ancora oggetto di disamina da parte della Corte Costituzionale“. Pertanto, l’Avvocatura ricordava al vicepremier Di Maio che “ogni valutazione in ordine alla costituzionalità di una norma di legge compete alla Corte Costituzionale in sede di giudizio incidentale”.
Nel testo dell’Avvocatura venivano inoltre ricordate le motivazioni che portarono alla realizzazione del suddetto intervento normativo. Della disposizione l’Avvocatura aveva già avuto modo di occuparsi con parere del 14.9.2017, in particolare con riguardo alla problematica della sua applicabilità sotto il profilo temporale, rilevando che “l’eventuale futura modifica del suddetto piano (ex art. 1, comma 8.1 del D.L. n. 191/2015), e la variazione dei termini per la sua attuazione, postula che l’esimente di cui all’art. 2, comma 6 cit. operi per tutto l’arco remporale in cui “l’aggiudicatario sarà chiamato ad attuare le prescrizioni ambientali impartite dell’amministrazione. Detto arco temporale risulterà quindi coincidente con la data di scadenza dell’autorizzazime integrata ambientale in corso di validità (23.08.2023)”. Passaggio avrebbe già dovuto chiarire il dubbio sulla scadenza di tale norma. Originariamente introdotta nel 2015 e legata al Piano Ambientale del 2014 che sarebbe dovuto scadere il 30 marzo 2019, per l’Avvocatura di Stato la variazione temporale dell’attazione del Piano postula automaticamente il termine di scadenza della stessa immunità.
In realtà la Corte costituzionale, in occasione della sentenza n. 58 del 2018, si è già espressa criticamente nei riguardi del cosiddetto ‘decreto Ilva’ del 2015, che aveva consentito la prosecuzione dell’attività di impresa degli stabilimenti, in quanto di interesse strategico nazionale, nonostante il sequestro disposto dall’autorità giudiziaria per reati inerenti la sicurezza dei lavoratori, conseguentemente di chiarando illegittimi sia l’articolo 3 del decreto-legge 4 luglio 2015, n. 92, sia l’articolo 1, comma 2, della legge 6 agosto 2015, n. 132, e 21-octies del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83“. Non veniva però cassato dalla Corte il comma 6 dell’articolo 2, ovvero proprio quello sulla norma dell’immunità penale.
Eppure, gli ‘esimi costituzionalisti‘ presenti nella nostra città e in Regione hanno già dato per assodato che quella norma sarà giudicata incostituzionale dai giudici della Cassazione, quando essi si pronunceranno il prossimo ottobre dopo la richiesta di chiarimenti avanzata dal gip di Taranto Ruberto lo scorso febbraio.
(leggi l’articolo https://www.corriereditaranto.it/2019/06/19/2immunita-dal-mise-presto-soluzione-per-azienda2/)
Il solito vecchio copione di sempre
Dunque, ancora una volta, nelle vicende Ilva ognuno ha recitato la sua parte in un copione oramai arcinoto. Il governo, nella sua parte targata Movimento 5 Stelle, provando a recuperare parte dell’elettorato ha inscenato una sorta di scontro frontale con ArcelorMittal, sostenendo la tesi di aver cancellato l’immuità penale, onta indelebile dei governi tecnici targati Partito Democratico. Una tesi non vera, perché la norma è stata semplicemente riscritta. Eliminando la parte più ambigua di quella norma, sull’estensione dell’immunità in materia di rispetto della salute e degli incidenti sul luogo di lavoro. E inscenando una sorta di moto di orgoglio etico e morale in difesa dello Stato e della Legge Uguale per Tutti.
Dal canto suo, la multinazionale ha fatto altrettanto. Sapendo di avere il coltello dalla parte del manico, ha subito mostrato i muscoli, dichiarando senza giri di parole che senza un nuovo provvedimento, avrebbe abbandonato la gestione degli impianti. Fermando la produzione. In realtà i vertici di ArcelorMittal si sono spinti oltre, dichiarando la chiusura dello stabilimento di Taranto: cosa che in realtà non possono fare essendo ancora affittuari e non proprietari degli impianti dell’ex gruppo Ilva. Un mostrare i muscoli facilitato anche dal fatto di avere dalla propria parte oltre all’altra metà del governo targata Lega, tutto il mondo industriale italiano che ancora oggi vive e sopravvive grazie all’acciaio prodotto a Taranto e lavorato a Genova, Novi Ligure, Racconigi e in altri impianti sparsi per l’Italia.
In mezzo si sono ritrovati i sindacati e i lavoratori. Che soltanto in queste settimane, con colpevole ritardo, si sono accorti di come i rapporti di forza stanno cambiando nella grande fabbrica, di fronte ad una proprietà in mano alla più grande multinazionale produttrice di acciaio. Giustamente i sindacati rivendicano un approccio diverso nei rapporti, oltre al rispetto dell’accordo sindacale dello scorso 6 settembre. Ma sanno sin troppo bene che quel profondo cambiamento che sarebbe dovuto avvenire al loro interno in tutti questi anni, è ancora lungi dall’essers concretizzato. In molti hanno mantenuto la mentaltà degli anni di Stato e dell’epoca del gruppo Riva. In troppi continuano ad essere dalla parte dei lavoratori di giorni e solerti amici dei nuovi padroni di notte. In tanti continuano nel cercare di favorire i propri tesserati e i propri amici degli amici degli amici. E’ da sempre tutta qui la loro debolezza e la loro mancanza di credibilità. Ed è in questo intreccio che oramai pare inestricabile la debolezza dei lavoratori, che ho anno ceduto a questo modo di fare oppure negli anni si sono rassegnati. O, peggio ancora, un’idea di solidarietà e di sentirti comunità non l’hanno mai avuta. Auguri
(leggi l’articolo https://www.corriereditaranto.it/2019/06/25/ex-ilva-limmunita-resta-decadra-nel-tempo/)
Piccola premessa
Quello che partoriranno gli incontri ufficiali e ‘segreti’ tra le due parti, altro non sarà che un
piccolo topolino: ovvero una modifica alla norma recentemente approvata dal governo nel Decreto Crescita all’articolo 46. E cioè che la così detta ‘immunità penale’ decadrà nel tempo, essendo stata legata alla scadenza temporale di ogni singolo intervento presente nel Piano Ambientale (esattamente come previsto dalla nuova norma). Quello che sarà inserito, non è ancora chiaro se in un prossimo decreto legge o addirittura in un intervento apposito su Ilva, è la certezza penale per ArcelorMittal di non incorrere in interventi da parte della magistratura sui prodotti da altri nel passato.
Che detta così, significa tutto e niente. Visto che la legge non è mai retroattiva.
La vicenda è arcinota: la multinazionale dell’acciao ha in affitto (con obbligo di acquisto dopo due anni) gli impianti del sito tarantino, tra cui quelli dell’area a caldo ancora sottoposti a sequestro giudiziario con facoltà d’uso perché non a norma di legge. Questo in soldoni significa che, qualora non venga riconosciuto legalmente e penalmente che ArcelorMittal non abbia alcuna responsabilità per eventuali problematiche legate al risanamento ambientale di quegli impianti, il rischio di ritrovarsi i Carabinieri del NOE e il pool ambientale della Procura di Taranto ai cancelli del siderurgico dall’oggi al domani è pressochè certo, se non altamente probabile.
Del resto, tutti gli attori in campo sanno perfettamente che non c’è altra via d’uscita. Negli incontri avvenuti durante tutto lo scorso anno sino all’accordo sindacale del 6 settembre 2018, i vertici della multinazionale hanno sempre indicato come prerogativa assoluta per l’acquisto del gruppo Ilva che quella norma non venisse in alcun modo modificata. E all’epoca nessuno si azzardò a contestare ciò inscenando questioni morali ed etiche di ogni tipo. Perchè quella era la chiave di volta di tutta l’operazione. Bisognava opporsi all’epoca, non oggi.
(leggi il nostro articolo https://www.corriereditaranto.it/2019/05/02/mittal-immunita-penale-resta-cambia-lapplicazione3/)
Ricapitoliamo ancora una volta come stanno esattamente le cose
Il decreto legge del 30 aprile 2019 (n. 34 Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi“, più conosciuto come ‘Decreto Crescita‘, approvato venerdì scorso dalla Camera dopo che il Governo ha posto la fiducia, non ha visto tra le modifiche agli articoli una revisione del famoso art. 46. Riguardante una norma sull’ex Ilva, per ‘abolire’ la così detta ‘immunità penale’. Dunque, il testo non ha subito alcuna modifica rispetto a come è stato presentato e approvato dal Consiglio dei Ministri e pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 2 maggio (Serie Generale n.100 del 30-04-2019).
Lo ripetiamo ancora una volta dopo averlo scritto per primi lo scorso 2 maggio: la norma è stata riscritta, non abolita.
Dunque, ricapitoliamo ancora una volta la vicenda sperando che sia chiara una volta e per tutte.
Ricordiamo che la norma in questione fu introdotta anni addietro, con il decreto legge del 5 gennaio 2015, n. 1 “Disposizioni urgenti per l’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della citta’ e dell’area di Taranto” (pubblicato GU Serie Generale n.3 del 05-01-2015), convertito con modificazioni dalla Legge del 4 marzo 2015, n. 20 (in G.U. 05/03/2015, n. 53).
La norma fu inserita nel comma 6 dell’articolo 2 di quel decreto legge e testè affermava: “L’osservanza delle disposizioni contenute nel Piano Ambientale di cui al D.P.C.M. 14 marzo 2014, nei termini previsti dai commi 4 e 5 del presente articolo, equivale all’adozione ed efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione, previsti dall’articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, ai fini della valutazione delle condotte strettamente connesse all’attuazione dell’A.I.A. e delle altre norme a tutela dell’ambiente, della salute e dell’incolumita’ pubblica. Le condotte poste in essere in attuazione del Piano di cui al periodo precedente non possono dare luogo a responsabilita’ penale o amministrativa del commissario straordinario e dei soggetti da questo funzionalmente delegati, in quanto costituiscono adempimento delle migliori regole preventive in materia ambientale, di tutela della salute e dell’incolumita’ pubblica e di sicurezza sul lavoro“.
Cosa dunque è cambiato rispetto a quella norma? Le modifiche introdotte dall’articolo 46 del Decreto Crescita sono le seguenti:
a) al primo periodo, dopo la parola «Piano» e’ inserita la parola «Ambientale», le parole «nei termini previsti dai commi 4 e 5 del presente articolo» sono sostituite dalle parole «come modificato e integrato con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 settembre 2017» e le parole «e delle altre norme a tutela dell’ambiente,della salute e dell’incolumita’ pubblica» sono abrogate;
b) al secondo periodo, dopo la parola «Piano» e’ inserita la parola: «Ambientale», dopo le parole «periodo precedente» sono inserite le parole: «,nel rispetto dei termini e delle modalita’ ivi stabiliti,» e le parole«, di tutela della salute e dell’incolumita’ pubblica e di sicurezza sul lavoro» sono abrogate;
c) il terzo periodo e’ sostituito dal seguente: «La disciplina di cui al periodo precedente si applica con riferimento alle condotte poste in essere fino al 6 settembre 2019».
Di fatto dunque, la norma resta, seppur modificata. Come avevamo avuto modo di anticipare lo scorso maggio infatti, la norma viene circoscritta al Piano Ambientale e per questo sarà applicata impianto per impianto, ancorandosi ai tempi previsti dall’Aia per la messa a norma delle singole aree. Questo significa che mentre prima l’estensione riguardava l’attuazione del Piano Ambientale sino alla sua conclusione, adesso l’immunità scadrà ogni qual volta terminerà il termine previsto per l’attuazione di ogni singolo intervento.
Il nuovo iter parità dal 7 settembre, come specificato nel decreto. Questo è il motivo per il quale il vicepremier Di Maio afferma che scadrà il 6 settembre. Ma a cadere non sarà l’intera norma, ma soltanto quella del 2015.
Adesso si vuole inserire in questo discorso la tutela legale per l’azienda di fronte a responsabilità riconducibili a condotte delle precedenti gestioni, ma non fornisce anche uno “scudo” per le condotte future.
(leggi il nostro articolo https://www.corriereditaranto.it/2019/04/24/22ilva-limmunita-penale-resta-tale-e-quale-per-ora/)
L’incostituzionalià che ancora non c’è
Vogliamo ancora una volta ricordare e richiamare il parere dell’Avvocatura di Stato, chiamata in causa proprio dal vicepremier Di Maio in qualità di ministro dello Sviluppo economico la scorsa estate (prima di firmare l’accordo sindacale del 6 settembre), che si espresse anche sulla norma in questione.
Nella sua risposta al MiSE, l’Avvocatura ricordava che “tale disposizione, contenente una esenzione da responsabilità penale, è stata introdotta mediante decretazione d’urgenza e non è stata ancora oggetto di disamina da parte della Corte Costituzionale“. Pertanto, l’Avvocatura ricordava al vicepremier Di Maio che “ogni valutazione in ordine alla costituzionalità di una norma di legge compete alla Corte Costituzionale in sede di giudizio incidentale”.
Nel testo dell’Avvocatura venivano inoltre ricordate le motivazioni che portarono alla realizzazione del suddetto intervento normativo. Della disposizione l’Avvocatura aveva già avuto modo di occuparsi con parere del 14.9.2017, in particolare con riguardo alla problematica della sua applicabilità sotto il profilo temporale, rilevando che “l’eventuale futura modifica del suddetto piano (ex art. 1, comma 8.1 del D.L. n. 191/2015), e la variazione dei termini per la sua attuazione, postula che l’esimente di cui all’art. 2, comma 6 cit. operi per tutto l’arco remporale in cui “l’aggiudicatario sarà chiamato ad attuare le prescrizioni ambientali impartite dell’amministrazione. Detto arco temporale risulterà quindi coincidente con la data di scadenza dell’autorizzazime integrata ambientale in corso di validità (23.08.2023)”. Passaggio avrebbe già dovuto chiarire il dubbio sulla scadenza di tale norma. Originariamente introdotta nel 2015 e legata al Piano Ambientale del 2014 che sarebbe dovuto scadere il 30 marzo 2019, per l’Avvocatura di Stato la variazione temporale dell’attazione del Piano postula automaticamente il termine di scadenza della stessa immunità.
In realtà la Corte costituzionale, in occasione della sentenza n. 58 del 2018, si è già espressa criticamente nei riguardi del cosiddetto ‘decreto Ilva’ del 2015, che aveva consentito la prosecuzione dell’attività di impresa degli stabilimenti, in quanto di interesse strategico nazionale, nonostante il sequestro disposto dall’autorità giudiziaria per reati inerenti la sicurezza dei lavoratori, conseguentemente di chiarando illegittimi sia l’articolo 3 del decreto-legge 4 luglio 2015, n. 92, sia l’articolo 1, comma 2, della legge 6 agosto 2015, n. 132, e 21-octies del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83“. Non veniva però cassato dalla Corte il comma 6 dell’articolo 2, ovvero proprio quello sulla norma dell’immunità penale.
Eppure, gli ‘esimi costituzionalisti‘ presenti nella nostra città e in Regione hanno già dato per assodato che quella norma sarà giudicata incostituzionale dai giudici della Cassazione, quando essi si pronunceranno il prossimo ottobre dopo la richiesta di chiarimenti avanzata dal gip di Taranto Ruberto lo scorso febbraio.
(leggi l’articolo https://www.corriereditaranto.it/2019/06/19/2immunita-dal-mise-presto-soluzione-per-azienda2/)
Il solito vecchio copione di sempre
Dunque, ancora una volta, nelle vicende Ilva ognuno ha recitato la sua parte in un copione oramai arcinoto. Il governo, nella sua parte targata Movimento 5 Stelle, provando a recuperare parte dell’elettorato ha inscenato una sorta di scontro frontale con ArcelorMittal, sostenendo la tesi di aver cancellato l’immuità penale, onta indelebile dei governi tecnici targati Partito Democratico. Una tesi non vera, perché la norma è stata semplicemente riscritta. Eliminando la parte più ambigua di quella norma, sull’estensione dell’immunità in materia di rispetto della salute e degli incidenti sul luogo di lavoro. E inscenando una sorta di moto di orgoglio etico e morale in difesa dello Stato e della Legge Uguale per Tutti.
Dal canto suo, la multinazionale ha fatto altrettanto. Sapendo di avere il coltello dalla parte del manico, ha subito mostrato i muscoli, dichiarando senza giri di parole che senza un nuovo provvedimento, avrebbe abbandonato la gestione degli impianti. Fermando la produzione. In realtà i vertici di ArcelorMittal si sono spinti oltre, dichiarando la chiusura dello stabilimento di Taranto: cosa che in realtà non possono fare essendo ancora affittuari e non proprietari degli impianti dell’ex gruppo Ilva. Un mostrare i muscoli facilitato anche dal fatto di avere dalla propria parte oltre all’altra metà del governo targata Lega, tutto il mondo industriale italiano che ancora oggi vive e sopravvive grazie all’acciaio prodotto a Taranto e lavorato a Genova, Novi Ligure, Racconigi e in altri impianti sparsi per l’Italia.
In mezzo si sono ritrovati i sindacati e i lavoratori. Che soltanto in queste settimane, con colpevole ritardo, si sono accorti di come i rapporti di forza stanno cambiando nella grande fabbrica, di fronte ad una proprietà in mano alla più grande multinazionale produttrice di acciaio. Giustamente i sindacati rivendicano un approccio diverso nei rapporti, oltre al rispetto dell’accordo sindacale dello scorso 6 settembre. Ma sanno sin troppo bene che quel profondo cambiamento che sarebbe dovuto avvenire al loro interno in tutti questi anni, è ancora lungi dall’essers concretizzato. In molti hanno mantenuto la mentaltà degli anni di Stato e dell’epoca del gruppo Riva. In troppi continuano ad essere dalla parte dei lavoratori di giorni e solerti amici dei nuovi padroni di notte. In tanti continuano nel cercare di favorire i propri tesserati e i propri amici degli amici degli amici. E’ da sempre tutta qui la loro debolezza e la loro mancanza di credibilità. Ed è in questo intreccio che oramai pare inestricabile la debolezza dei lavoratori, che ho anno ceduto a questo modo di fare oppure negli anni si sono rassegnati. O, peggio ancora, un’idea di solidarietà e di sentirti comunità non l’hanno mai avuta. Auguri
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