sabato 7 febbraio 2015

ILVA - Dove sono finiti i soldi per i risarcimenti? - 1a parte

Pubblichiamo la prima parte di estratti da "Riva il gigante capitalista dai piedi di argilla"

L’analisi che in questo scritto facciamo del gruppo Riva mostra come si siano sviluppate  numerose operazioni all’insegna di “prendi i profitti e nascondili”. Operazioni continuate, forse ancora più alla grande, con oscure manovre societarie, nei mesi successivi all'avvio del procedimento a carico dei Riva per sottrarre patrimonio e profitti all’inchiesta in corso per disastro ambientale e a una vera messa a norma dell’azienda.
Questo sta avvenendo all’ombra di uno Stato e di governi che hanno puntato e puntano a tutelare gli interessi di Riva, e dimostra che la linea di Riva è stata quella, almeno fino all’altro giorno, di portare avanti una ristrutturazione per tenersi al massimo il nocciolo duro dell’Ilva e liberarsi del resto, per continuare a gestire proprietà e profitti.tutto questo è avvenuto, per dare agli operai Ilva e al movimento di lotta per la salute contro l’inquinamento armi di analisi effettive e non denunce generiche, perché si ragioni con la propria testa, da un punto di vista di classe;
per mostrare, attraverso la famiglia Riva, il funzionamento proprio di tutto il sistema capitalista e imperialista e far comprendere che l’azione di Riva è pienamente interna a questo sistema e niente affatto una questione di “particolare padrone cattivo”, di “questione Taranto”, ecc., come politici, ambientalisti e liberi e pensanti dicono.
Senza, quindi, linea e lotta politica, sociale anticapitalista, senza analisi anticapitalista (marxista) non si può, sull’immediato, difendere lavoro e salute e puntare realmente a un futuro diverso e migliore per gli operai e le masse popolari.

Riva ha agito e agisce non solo violando le leggi, contando per questo sulla complicità/collusione delle Istituzioni locali (vedi arresti a Taranto) e regionali, dei partiti, dei vertici sindacali, come di esponenti della Digos (vedi De Michele), della “benedizione” compiacente dei vertici della Chiesa; ma anche sulla base e l’osservanza delle stesse leggi del sistema attuale, di Stato e governi, fatte per difendere i profitti dei padroni. La stessa magistratura, fino alle inchieste in corso, ben poco aveva fatto contro il potere di Riva.
Senza, quindi, rovesciare questi governi e questo Stato non si può cambiare la situazione, perché solo con il potere operaio è possibile realmente cambiare la realtà.
Senza sindacato di classe gli operai non hanno una organizzazione di massa per difendersi e contrastare l’azione in corso di Riva e pesare sugli avvenimenti del prossimo futuro.
Senza politica di classe, partito di classe, gli operai non hanno un’organizzazione e una guida per rovesciare tutto il potere economico, politico dei padroni e costruire un futuro nelle proprie mani al servizio degli interessi della maggioranza delle masse popolari.

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L’impero economico dei Riva è come un grande gioco dell’oca

Slalom tra due continenti  - Per capire dove siano le redini dell’Ilva di Taranto bisogna risalire dalla Puglia a Milano, sede della Riva Fire, e da qui andare ancora più a nord, fino in Lussemburgo, dove hanno sede la Siderlux, la Stahlbeteili Gungen e la Utia, le società che controllano le aziende dei Riva sparse nel mondo. Ma non basta, perché dal Lussemburgo si deve rimbalzare ad Amsterdam, sede della Monomarch, la holding collocata in cima alle società lussemburghesi, e dall’Olanda bisogna prendere l’aereo, attraversare l’oceano e arrivare, dopo 9.900 chilometri, di fronte alle coste del Venezuela. A Curaçao.
Un lungo viaggio per poi scoprire che il secondo gruppo siderurgico europeo, con il 27,2 mln/t nel 2012 (dopo la Germania con 42,7 mln/t) e undicesimo nel mondo, con un fatturato di 10 miliardi di euro, 36 impianti produttivi in Italia, Germania, Francia, Belgio, Spagna, Grecia, Tunisia e Canada, e quasi 22mila dipendenti, è controllato da una società di soli seimila dollari, poco più di 4.600 euro (!).

La sua cassaforte - A Curacao, isole vergini britanniche, dove vi sono “spiagge bianche, palme, resort di lusso e casette colorate stile olandese... regno dello scuba diving tra i caldi fondali dell’isola caraibica”, nell’edificio di Kaya Wfg Mensing 36, è conservato l’atto di registrazione della società Luxpack Nv srl, fondata l’11 gennaio 1996, in mano alla famiglia Riva, che a cascata, controlla di fatto tutto l’impero dei Riva. Presidente è Adriano Riva, classe 1931 e stranamente identificato come cittadino canadese, fratello di Emilio Riva patron del gruppo.
Tra gli amministratori della Luxpack figura anche la Ant Management, una società olandese che crea e amministra trust, fondazioni, Llc e società anonime nei più svariati paradisi fiscali del mondo.
A Curaçao, allo stesso indirizzo della Luxpack risultano domiciliate altre due società: la Rivas Nv e la Rivas Investment Nv, quest’ultima amministrata proprio dalla Ant Management. Nell’isola sono anche registrate – o sono state registrate fino a poco tempo fa – la Riva Private Foundation, la Riva Nv e la Riva Investments Nv (società tutte chiaramente riconducibili alla famiglia Riva).
Curaçao è un vero paradiso fiscale: le società residenti pagano un’imposta sugli utili del 27,5%, mentre le società off shore costituite prima del 2002 versano un’aliquota tra il 2,4 e il 3%. Dividendi, interessi e royalties sono esenti da qualsiasi ritenuta fiscale.
Ma il viaggio non è finito, ha ancora un’altra tappa, e deve far ritorno in Europa.
Gli inquirenti, che stanno indagando sui paradisi fiscali dei Riva, hanno scoperto che la Luxpack è a sua volta posseduta da un trust con sede a Jersey, il Master Trust.
Qui a Jersey è il regno finanziario della famiglia Riva, la sua cassaforte.  

Le holding europee - Scendendo un gradino più in basso, al di sotto della Master Trust e della Luxpack c’è la finanziaria olandese Monomarch Holding Bv (controllata al 100% dalla Luxpack); anche questa società è presieduta da Adriano Riva da giugno 1998. La Monomarch ha un capitale di un milione di euro e attività per 320 milioni.
La holding olandese controlla il 100% della Utia, società lussemburghese di cui sempre Adriano Riva è amministratore delegato.  Il 3 agosto 2012 la Monomarch ha immesso 24 milioni di franchi svizzeri nell’Utia per coprire perdire per un totale di 52,3 milioni di franchi svizzeri.
L’Utia detiene il 39,9% della Riva Fire che a sua volta ha il 100% di due società di Lussemburgo, la Stahlbeteili Gungen e la Siderlux, e controlla – direttamente (con il 61,62%) e indirettamente (con il 25,38% della Siderlux) – l’87% del capitale dell’Ilva.

Mentre la magistratura va avanti, Riva riorganizza le sue società -  Alla fine del 2012, in piena bufera giudiziaria, le società lussemburghesi dei Riva sono state oggetto di alcune operazioni che hanno modificato l’assetto del controllo dell’Ilva.
Fino allo scorso anno il 25,38% dell’Ilva era controllato dalla Stahlbeteili Gungen - che oltre alla quota nell’Ilva e al 25% della Riva Energia, controlla gli impianti dei Riva in Canada, Belgio, Spagna, Germania e Francia. Amministratore della Stahlbeteili è Fabio Riva, colpito da mandato di arresto europeo per associazione per delinquere e disastro ambientale e in attesa di essere estradato da Londra, dove si era rifugiato (data la collocazione della “testa” dell’impero Riva nelle isole britanniche - è evidente come l’Inghilterra sia un posto sicuro!).
Il 26 luglio ‘12 - l’acciaieria di Taranto viene sequestrata e il fondatore del gruppo, l’ottantaseienne Emilio, finisce agli arresti domiciliari. Lo stesso provvedimento tocca al figlio Nicola e a sei dirigenti… La famiglia Riva, il cui business dipende per i due terzi dall’Ilva, sceglie come presidente un uomo delle istituzioni, del tutto digiuno di acciaio e di impresa, come l’ex prefetto di Milano Bruno Ferrante.
Proprio quel giorno, il 26 luglio, nelle stanze ovattate di uno studio notarile lussemburghese, prende il via il progetto di fusione fra la StahlbeteiliGungen Holding e la Parfinex, una società lussemburghese dei Riva. Razionalizzazione prevista da tempo? La coincidenza della data è casuale?
Il 5 ottobre 2012 – quando è in corso lo scontro tra magistratura e governo sull’Aia e sul sequestro degli impianti e prodotti - in Lussemburgo, prende il via lo scorporo dalla Stahlbeteili Gungen Holding del 25,38% dell’Ilva che viene conferito alla Siderlux, l’altra società controllata al 100% da Riva fire. Mentre nella Stahlbeteili Gungen restano soprattutto le attività estere dei Riva.
Il 17 ottobre 2012 - l’assemblea di Riva Fire sancisce la cessione del ramo di azienda che produce e commercializza i prodotti lunghi a favore della controllata Riva Forni Elettrici, a cui peraltro passano anche riserve per 320,6 milioni di euro di Riva Fire. A quest’ultima resta, quindi, il business dei laminati piani a freddo e a caldo.
Ma nella Parfinex c’erano soldi dell’Ilva!
Infatti  tra il 1996 e il 1997 600 milioni di dollari sono spostati dall’Ilva alla controllata lussemburghese Parfinex. Nel 1996 Parfinex viene ricapitalizzata con 98 milioni di dollari provenienti dall’Ilva International Spa e l’anno successivo altri quattro aumenti di capitale a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro trasferiscono ulteriori 500 milioni dall’Ilva. Dove sono finiti quei soldi, considerando che nel 2012 Parfinex è stata fusa con la Stahlbeteiligungen?
Inoltre. Le società lussemburghesi del gruppo (Ilva International SA, Stahlbeteiligungen Holding, Utia e Parfinex) non hanno dipendenti e da alcuni primi indizi risulterebbero gestite dall’Italia: si tratta quindi di società fasulle, esterovestite, utili solo per le conseguenze fiscali.
Infatti, la Stahlbeteiligungen Holding (Stahl) ha effettuato nel 2006 due prestiti all’Ilva per un totale di 470,5 milioni di euro e nel 2012 ha prestato altri 363,7 milioni alla Riva Fire. Non è ancora chiaro se queste operazioni abbiano una motivazione industriale o se, come è più probabile, siano servite soltanto ad abbattere gli utili dell’Ilva e della Riva Fire attraverso il pagamento degli interessi passivi e a ridurre quindi il carico fiscale.
Vale a dire a nascondere i veri profitti fatti sullo sfruttamento degli operai dell’Ilva!
Ora, come conseguenza di tutti questi movimenti, l’Ilva è controllata per il 61,62% dalla Riva Fire, per il 25,38% dalla Siderlux - posseduta a sua volta dalla stessa Riva Fire – per il 10,05% dalla Valbruna Nederland, società olandese della famiglia Amenduni, e per il 2,95% dalla Allbest, un’altra società lussemburghese (che aveva nel 2007 acquistato la sua quota proprio dagli Amenduni e che ha la sede legale negli uffici della Utia) dove per un intreccio di società tra gli azionisti compare la famiglia Ligresti.
Dunque, l’Ilva è controllata per l’87% del capitale dalla Riva Fire, la quale, risalendo negli intrecci delle società, è posseduta per il 39,9% dalla Luxpack di Curaçao attraverso le società lussemburghesi e la holding olandese. Ma a chi è intestato il restante pacchetto del 60,1% della Riva Fire? Dietro c’è sempre la famiglia milanese, ma la proprietà è stata schermata da una società fiduciaria. Infatti il 35,1% della Riva Fire è nelle mani della Stahlbridge Srl, ma se vi va a vedere di chi è questa società si scopre che la totalità del capitale è intestata fiduciariamente alla Carini società fiduciaria di amministrazione e revisione di Milano. La stessa Carini fiduciaria controlla anche il restante pacchetto del 25% della Riva Fire. Una quota nei paradisi fiscali, un’altra dietro il paravento di una fiduciaria.

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