(da notizie stampa) - L’Ilva anticiperebbe al 19 marzo la
chiusura dell’altoforno numero 5 per avviare i lavori di
ristrutturazione ambientale previsti dall’Aia (Autorizzazione integrata
ambientale). L’impianto resterebbe chiuso per tutto il 2015. Mentre continuerebbe a stare fermo, si parla fino ad agosto, l'altoforno 1, per i lavori dell'Aia non ancora terminati. L'ingente (circa 20 milioni) costo delle opere da pagare alle aziende dell’indotto impegnate in questi lavori di rifacimento, con il momento di crisi di liquidità attraversato dall’Ilva in amministrazione straordinaria impedirebbe accelerazioni.
Così, fino all’estate, l'Ilva potrebbe contare solo sulla produzione degli altoforni 2 e 4. La chiusura dell’altoforno 5 imporrà, comunque e a prescindere dalla data, lo stop ad altri reparti collegati nel ciclo integrale: acciaierie, colate continue, treni nastri.
L'anticipo della fermata dell'altoforno 5 (che garantisce il 40% della produzione di ghisa), il rinvio della ripresa dell'altoforno 1, potrebbe portare a incrementare i numeri dei lavoratori in contratto di solidarietà (ora con un tetto massimo di 3.350 lavoratori).
Mentre c'è la "spada di Damocle" della nascita a marzo della New company, per cui vi sono solo impegni generici finora sul passaggio di tutti i lavoratori.
La Fim Cisl, che fin dall'inizio ha dato un giudizio positivo del decreto Renzi, si dice già pronta a "discutere il rinnovo del contratto di solidarietà alla luce di questi cambiamenti".
Non consolanti sono anche le parole di Talò della Uilm che dice "dobbiamo sperare che ci siano le risorse... per avere meno problemi per ciò che riguarda produzione e lavoro... dobbiamo evitare che i numeri dei CdS aumentino...".
Entrambe sembrano mettere le mani avanti e sicuramente non stanno dicendo un NO chiaro a incremento di lavoratori in contratto di solidarietà e/o a sorprese negative che potrebbero venire dalla New company.
Fiom e Usb esprimono preoccupazioni perchè la contemporanea fermata dei due altoforni riduce di molto l'attività produttiva e può avere ricadute lavorative.
Qui, al di là se da parte dell'Ilva vi siano motivazioni che già anticipino un forte ridimensionamento della produzione, come di fatto è nella prospettiva di salvataggio solo di una parte dell'Ilva, la questione è che Fim e Uilm danno per scontato una ricaduta negativa sul lavoro e sul salario degli operai, mentre Fiom e Usb vanno alla coda della contrapposizione aziendale tra difesa del lavoro e difesa della salute.
Noi da tempo diciamo che "nessun operaio deve andare a casa, tutti gli operai devono essere impiegati durante la messa a norma degli impianti; salari salute e diritti non si toccano".
Se non si parte da questi punti fermi, il pallino continua ad averlo solo l'azienda e il governo.
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